Il Dalai lama fa l’elogio della non violenza
Dopo due giornate a Losanna imperniate sulla spiritualità, il Dalai lama si è dedicato, giovedì a Ginevra, al pragmatismo politico. Schierandosi contro l'uso della violenza e per il mantenimento del Tibet nella Repubblica popolare cinese, il dignitario religioso ha inaugurato una conferenza sino-tibetana.
“È nell’interesse di tutti trovare una soluzione realista nella questione tibetana”. Anche in quello di Pechino, poiché il Tibet è importante per l’immagine della Cina, ha dichiarato davanti ai giornalisti il Dalai lama.
Benché fra le parti non sia stato avviato alcun dialogo ufficiale, il religioso in esilio si dice “molto ottimista” a lungo termine. Egli ha assicurato di avere incontrato nell’ultimo anno centinaia di intellettuali cinesi che gli hanno espresso solidarietà per la causa tibetana.
“Un risultato simile non si ottiene con la violenza”, ha sottolineato. Il Dalai lama si è detto certo che il futuro della Cina può solo essere democratico.
Denominata “Finding Common Ground”, la conferenza di due giorni organizzata dal Movimento internazionale della riconciliazione e dall’Associazione svizzera degli amici del Tibet mira a sensibilizzare la popolazione cinese. Vi prendono parte un centinaio di intellettuali cinesi e tibetani.
Da pista di ghiaccio a tempio buddista
La visita di cinque giorni in Svizzera del Dalai lama era iniziata martedì a Losanna, che per l’occasione si è trasformata in una sorta di capitale dei tibetani in esilio. Le sue lezioni di buddismo articolate su due giorni hanno riscosso un enorme successo.
Alla pista di pattinaggio di Malley , trasformata in un tempio, c’era il tutto esaurito. Oltre 13mila persone hanno seguito la conferenze pubblica conclusiva della massima autorità del buddismo tibetano. Gente venuta da tutta l’Europa, come pure dall’Asia e dagli Stati Uniti, fra cui anche oltre duemila tibetani in esilio. Una grande folla eterogenea, spinta da un comune desiderio di spiritualità.
“Non so granché di buddismo, ma concetti come la rincarnazione sono nei miei pensieri da tanto tempo. Sono venuto soprattutto per ascoltare questo personaggio. Faccio fatica a concepire che sia la rincarnazione del buddha. Quel che mi piace di lui, però, è che dice che resta un uomo”, dice a swissinfo.ch un cinquantenne vodese, alla conferenza conclusiva.
Fra il pubblico c’è anche il vicario episcopale di Losanna Jean-Robert Allaz. “Rappresento il vescovo della diocesi e mi rallegro di ascoltare che anche questo capo religioso è preoccupato per il materialismo di questo nostro mondo”, spiega.
Dei monaci iniziano a cantare con voci monocorde, mentre dei musicisti suonano un’aria monotona. Sua Santità entra in scena e invita il pubblico ad accomodarsi. S’instaura un silenzio rotto solo da qualche pianto e qualche gridolino di bambini.
Senza appunti, il Dalai lama inizia a parlare. Dapprima qualche parola in tibetano, poi con voce un po’ stanca, in inglese. Si alterna con il suo interprete ufficiale in francese, Matthieu Ricard.
I valori umani e la pace
Dopo aver ricordato che la Svizzera fu il primo paese ad accogliere un migliaio di tibetani fuggiti dalla repressione cinese e a ringraziare la Confederazione per l’ospitalità e l’impegno umanitario nel mondo, rileva che i valori umani prevalgono su tutti gli altri e che ognuno deve mantenere i propri valori culturali e religiosi.
Quindi affronta il tema della conferenza: la pace. “La pace non significa assenza di guerra o di violenza. Deve prevenire l’apparizione della violenza, nutrirsi di fiducia, non di paura. Sviluppando compassione e altruismo, si può raggiungere la pace interiore che crea la pace nel mondo”.
Il Dalai lama prosegue il discorso dinanzi a un pubblico attento. Alla fine la gente se ne va tranquilla. Molti sono commossi, anche se non sanno spiegare bene il motivo della loro emozione. Come per esempio una signora inglese che, con le lacrime agli occhi, ci racconta di essere “venuta apposta da Londra per vederlo”.
Jon Schmidt, portavoce degli organizzatori, si dice “super contento” che tutto si sia svolto alla perfezione, senza alcun incidente. Il successo della manifestazione si misura anche in moneta sonante: 100’000 franchi di utile su un budget di un po’ più di un milione di franchi. Il Dalai lama deciderà come devolvere il profitto.
Niente ministri, ma c’è la “prima cittadina”
Il consenso di pubblico controbilancia la delusione degli organizzatori per il fatto che il Dalai lama non sia stato ricevuto dal governo svizzero. La decisione dell’esecutivo federale aveva sollevato una polemica alla vigilia della visita.
Il rappresentante del dignitario religioso in Svizzera Kelsang Gyaltsen aveva dichiarato a swissinfo.ch che in tal modo Berna “non invia un buon segnale affinché le autorità cinesi rivedano la loro politica nei confronti del Tibet e delle altre minoranze”.
Ma il diretto interessato, in un’intervista ai quotidiani svizzeri tedeschi Tages Anzeiger e Bund, ha detto di non essere affatto amareggiato. “La mia visita non ha una motivazione politica, bensì religiosa”, ha dichiarato, gettando acqua sul fuoco.
Durante il suo soggiorno è comunque stato ricevuto dalle autorità vodesi. E soprattutto, a Losanna è andata giovedì mattina ad incontrarlo la “prima cittadina” della Svizzera: la presidente della Camera del popolo Chiara Simoneschi Cortesi. La popolare democratica ticinese si è detta molto onorata. Il capo spirituale dei tibetani ha ringraziato il governo e il popolo svizzeri per l’ospitalità.
Isabelle Eichenberger, swissinfo.ch
(Traduzione dal francese e adattamento: Sonia Fenazzi)
Nell’autunno 1960 giunse in Svizzera, al Villaggio Pestalozzi di Trogen (nel cantone di Argovia), il primo gruppo di esuli tibetani.
Nel 1963 il governo federale diede il nullaosta per offrire accoglienza a
un migliaio di tibetani.
Con una comunità di circa 4000 persone, la Confederazione ospita la prima diaspora tibetana in Europa e la terza nel mondo.
Punto centrale della vita spirituale e culturale dei tibetani in Svizzera è il monastero di Rikon, nel canton Zurigo.
Il primo monaco buddista in Svizzera fu un tedesco giunto a Losanna nel 1910.
Secondo i dati dell’ultimo censimento nella Confederazione, nel 2000, i buddisti rappresentano lo 0,3% della popolazione. Nella misura del 52% sono di cittadinanza elvetica. Le donne sono in maggioranza (63%).
Nella Confederazione vi sono un centinaio di assocciazioni di questa religione, riunite nell’Unione buddhista svizzera.
La Confederazione non ha relazioni ufficiali con le autorità locali del Tibet, poiché si tratta di una provincia della Repubblica popolare cinese che, dal profilo del diritto internazionale, non ha una propria sovranità.
Berna non riconosce il governo tibetano in esilio, con sede a Dharamsala (in India), con il quale non ha rapporti ufficiali.
La Svizzera, tuttavia, sostiene il dialogo fra le autorità cinesi e i capi religiosi tibetani, compreso il Dalai lama.
Nel 1991, la Svizzera è stata il primo paese occidentale ad avviare con la Cina un dialogo sui diritti umani. I rappresentanti di Berna e Pechino si sono incontrati dieci volte per discutere di questa tematica. L’ultima volta nel luglio 2008 nella capitale cinese. Il prossimo appuntamento è in calendario quest’estate.
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