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«Il Kosovo è un caso particolare»

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È l'opinione di Carla Del Ponte che dopo anni passati in veste di procuratrice del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia sta muovendo i suoi primi passi come ambasciatrice svizzera in Argentina.

La magistrata ticinese ripercorre il conflitto tra serbi e albanesi del Kosovo in un’intervista concessa a swissinfo nella sua residenza di Buenos Aires.

swissinfo: La dichiarazione d’indipendenza del Kosovo ha riacceso i timori di nuovi scontri tra serbi e kosovari albanesi. Crede che si tratti di timori giustificati?

Carla Del Ponte: Non penso che si possa prevedere un conflitto. Il Kosovo è sotto la protezione della NATO e Belgrado ha manifestato la volontà di rinunciare a qualsiasi violenza. Tuttavia, la situazione è molto delicata.

swissinfo: L’indipendenza del Kosovo, proclamata in base al principio di autodeterminazione dei popoli, ha aperto un dibattito sull’opportunità di applicare un diritto pensato per i popoli coloniali ai popoli nazionali. C’è chi teme che il caso del Kosovo possa creare un precedente. Qual è la sua opinione?

C.D.P.: C’è una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che riguarda il Kosovo. Quando il Kosovo ha proclamato l’indipendenza non è stata presa nessuna decisione e il segretario generale dell’ONU ha rimandato a questa risoluzione.

La situazione del Kosovo è molto particolare. In realtà non gode di una vera e propria autonomia, perché è stato messo sotto la vigilanza della NATO e dell’ONU. Questa situazione speciale e particolare ha portato ad una soluzione speciale e particolare.

Però come giurista – ed è un’opinione personale – non mi pare che la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo sia conforme alle disposizioni tradizionali del diritto internazionale.

swissinfo: La dichiarazione d’indipendenza proclamata unilateralmente può essere considerata come una secessione necessaria per uscire da una situazione di stallo?

C.D.P.: Come ho già spiegato, si tratta di una situazione particolare. Bisogna sottolineare che più del 90% della popolazione è albanese e che i serbi sono sempre meno.

Il Kosovo è un vecchio problema. Già Tito gli concesse un’autonomia, revocata poi nel 1989 da Milosevic. Hanno problemi da decenni e la situazione attuale è l’inevitabile risultato politico del modo in cui sono stati gestiti.

swissinfo: Il presidente della Confederazione Pascal Couchepin ha annunciato che la Svizzera riconosce il Kosovo come Stato sovrano e che Berna allaccerà relazioni diplomatiche con Pristina. Crede che questa decisione possa rappresentare un precedente a cui faranno appello altri “secessionisti”?

C.D.P.: No. Non è un precedente e a questo proposito il Consiglio federale è stato molto chiaro.

Era una decisione prevedibile. La ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey l’aveva annunciata già nel 2005. Però ripeto: non bisogna dimenticare che si tratta di una situazione particolare per un problema particolare.

swissinfo: Pensa che questa decisione incrinerà i rapporti diplomatici con la Serbia?

C.D.P.: Come ha già detto il presidente Couchepin, continueremo a mantenere delle buone relazioni con la Serbia. Anche se la Serbia ha reagito richiamando a Belgrado il suo ambasciatore, credo che tornerà il sereno nei rapporti tra i due paesi.

Non bisogna dimenticare che la Svizzera ha fatto molto per la Serbia, soprattutto nel campo dei diritti umani e in termini di sostegno. Perciò ritengo che supereremo questo momento difficile.

swissinfo: Lei ha dichiarato di aver lasciato il suo incarico al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia (TPIY) con l’amaro in bocca per non essere riuscita ad assicurare alla giustizia Ratko Mladic e Radovan Karadzic. Cosa deve succedere per arrivare all’arresto di questi criminali di guerra?

C.D.P.: Abbiamo ricevuto il mandato nel 1995, ma all’epoca né la comunità internazionale, né la Serbia avevano manifestato la volontà politica di arrestare Mladic e Karadzic.

Nel 2000, quando la comunità internazionale cambiò idea, era ormai molto tardi. Mladic è nascosto in Serbia e il governo non ha la volontà politica di consegnarlo alla giustizia. I nazionalisti – sappiamo tutti com’è la situazione – esercitano molta pressione.

Karadzic, invece, è protetto dalla Chiesa ortodossa (si nasconde in un monastero). E anche se non si sa esattamente dove sia, si sa che si trova nella regione.

È vero che oggi la comunità internazionale vuole che i due siano processati. Ma è molto difficile che ciò accada, perché sono protetti dal governo e dalla chiesa. Una parte della società li considera degli eroi e gli eroi non si arrestano.

L’Unione europea continua a fare pressioni su Belgrado. È un ostacolo politico quello che ci ha impedito di arrestare Mladic e Karadzic.

swissinfo: Qual è stato a suo avviso il risultato più importante raggiunto dal TPIY? E la sconfitta più amara?

C.D.P.: Il tempo ha legittimato l’importanza del Tribunale. All’inizio era quasi impossibile pensare che si sarebbe arrivati a delle sentenze sulla ex Jugoslavia. Per me il successo maggiore è stato quello di dimostrare che si poteva fare e che il TPIY aveva ragione di essere.

Per il momento non si può ancora parlare di sconfitte. Ma se Mladic e Karadzic non saranno arrestati e giudicati, questa sì sarà una sconfitta.

Intervista swissinfo, Norma Domínguez, Buenos Aires
Traduzione e adattamento, Doris Lucini

Nasce nel 1947 a Bignasco, nel canton Ticino.

Studia diritto internazionale a Berna, a Ginevra e in Inghilterra.

Nel 1981 è nominata procuratrice del canton Ticino; ottiene risultati importanti nella lotta al riciclaggio di denaro sporco, al crimine organizzato e al commercio illegale di armi.

Dal 1994 al 1999 guida il Ministero pubblico della Confederazione, un lavoro per il quale è lodata, ma anche criticata.

Nel 1999 è nominata procuratrice generale del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia dall’allora segretario generale delle Nazioni unite Kofi Annan. Lascia l’incarico alla fine del 2007.

Il 4 febbraio 2008 è arrivata a Buenos Aires in qualità di ambasciatrice svizzera in Argentina.

Il 17 febbraio 2008, anche la comunità kosovo-albanese residente in Svizzera è scesa in strada per festeggiare la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo.

In Svizzera vivono tra i 170 e i 190 mila kosovari, in pratica il 10% della popolazione del paese che la Serbia continua a reclamare come parte del suo territorio.

Dopo i tedeschi, i kosovari sono la comunità straniera più numerosa della Svizzera.

Dal 1999, la Svizzera partecipa alla missione internazionale di pace della KFOR (Kosovo Force) posta sotto l’egida della NATO. Il contingente svizzero (Swisscoy) è di circa 200 soldati.

La Svizzera è uno dei principali partner del Kosovo. Per il 2008, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) hanno destinato 13,9 milioni di franchi a progetti in Kosovo.

Il Dipartimento federale degli affari esteri intende inoltre mettere a disposizione 20 esperti per la missione civile dell’Unione europea (EULEX). L’obiettivo è riunire 200 specialisti che collaborino alla costruzione di uno Stato di diritto in Kosovo.

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