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Il Kosovo raffredda le relazioni serbo-elvetiche

Malgrado i sorrisi di Micheline Calmy-Rey e di Boris Tadic, sul Kosovo Berna e Belgrado non sono d'accordo Keystone

Il futuro della provincia, che Berna vorrebbe indipendente, ha polarizzato i colloqui tra i dirigenti serbo-montenegrini e Micheline Calmy-Rey.

Al termine dell’incontro con la ministra degli esteri elvetica svoltosi venerdì a Belgrado, il presidente serbo Boris Tadic non ha lesinato le critiche.

La ministra degli esteri elvetica Micheline Calmy-Rey ha incontrato venerdì a Belgrado il presidente serbo Boris Tadic, il primo ministro Vojislav Kostunica e il ministro degli esteri della Serbia-Montenegro Vuk Draskovic.

Al centro dei colloqui vi è stato principalemente il futuro assetto del Kosovo.

La Svizzera favorevole all’indipendenza

La consigliera federale ha in sostanza ribadito la posizione della Svizzera già illustrata a fine maggio dall’ambasciatore elvetico presso le Nazioni Unite Peter Maurer.

Secondo quanto indicato dal suo consigliere diplomatico Roberto Balzaretti, Micheline Calmy-Rey ha spiegato ai suoi interlocutori che dal punto di vista svizzero è impossibile far rivivere il passato e che al Kosovo deve quindi essere concessa «una qualche forma di indipendenza».

In maggio, Peter Maurer aveva dichiarato che la reintegrazione nella Serbia della provincia a maggioranza albanese, che dal 1999 è amministrata dall’ONU, «non è né auspicabile né realista».

Berna non detiene però la soluzione miracolosa per risolvere il contenzioso, ha affermato Micheline Calmy-Rey. La Svizzera è comunque pronta ad aiutare albanesi e serbi per organizzare dei negoziati.

«Un detonatore pericoloso»

Al termine dell’incontro con la ministra degli esteri elvetica, il presidente serbo Boris Tadic ha criticato la posizione della Confederazione.

Il capo dello Stato si è detto opposto alla «frammentazione» della Serbia e del Montenegro. Secondo Tadic, l’indipendenza del Kosovo e la conseguente partizione del paese costituirebbe «un detonatore pericoloso» per la regione.

Un consigliere del premier Vojislav Kostunica ha dal canto suo dichiarato che «la Svizzera deve rimanere neutrale, al fine di contribuire, come ha già fatto, alle discussioni tra le parti».

Secondo Roberto Balzaretti, Tadic e il ministro degli esteri Vuk Draskovic hanno affermato di «capire la posizione della Svizzera», ricordando però che la politica portata avanti da Belgrado per la regione è un’altra, ossia «meno dell’indipendenza, ma di più dell’autonomia».

Non solo Kosovo

Nell’incontro con Vojislav Kostunica, non si è parlato solo di Kosovo. Il primo ministro serbo e la ministra degli esteri elvetica hanno ricordato i «legami umani» tra i due paesi: circa 200’000 cittadini della Serbia-Montenegro vivono infatti in Svizzera.

La consigliera federale ha pure evocato il sensibile argomento dei criminali di guerra, menzionando in particolare i casi di Radovan Karadzic e di Ratko Mladic. Sui due serbo-bosniaci, che si sospetta si nascondino nella regione, pende un’accusa di genocidio del Tribunale penale internazionale dell’Aia, in particolare per il massacro di 8’000 musulmani a Srebrenica.

swissinfo e agenzie

Nel maggio del 1999, circa 800’000 albanesi erano rifugiati nei paesi vicini.
170’000 sono stati ripartiti in diversi Stati del mondo.
580’000 sono stati smistati all’interno del Kosovo una volta la guerra finita.
130’000 hanno potuto ritornare nei loro villaggi o nelle loro città
Dall’inizio del conflitto 1’600’000 persone hanno dovuto lasciare le loro case (fonte: checkpoint-online.ch)

La Svizzera è da molto tempo uno dei paesi di predilezione degli emigranti kosovari.

Molti di loro lavoravano in Svizzera già prima della guerra.

Il movimento migratorio si è poi fortemente accentuato con lo scoppio della guerra.

Nella primavera del 1999 la NATO ha iniziato a bombardare la Serbia per obbligare le truppe di Slobodan Milosevic a ritirarsi dal Kosovo.

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