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Il mago un po’ pazzo dell’hockey svizzero

Arno Del Curto dirige con convinzione i giocatori Keystone

Allenatore dai metodi atipici, Arno Del Curto ha guidato la sua squadra – l'HC Davos – alla conquista di quattro titoli di campione svizzero di disco su ghiaccio negli ultimi dieci anni. Incontro, a margine della tradizionale Coppa Spengler, con uomo traboccante di passione.

“Cosa fai qui?”, tuona Arno Del Curto, sbattendo la porta dello spogliatoio, dove ha appena impartito alcune direttive alla sua squadra, prima della partita contro il Team Canada al torneo della Coppa Spengler 2009. “Cosa? Ancora un giornalista? Mamma mia, vogliono parlare solo con me!”

Poco dopo, superata la porta del suo ufficio, dove sembra regnare sovrana la legge del caos, il vulcano lentamente si placa. “Tu resta davanti alla porta, affinché nessuno ci disturbi!”, ordina a uno dei suoi giovani seguaci.

Il 53enne allenatore grigione dal look immutabile – capelli arruffati, blue-jeans lisi, giacca a vento invernale nera, occhiali quadrati – evoca con swissinfo.ch i 14 anni trascorsi alla testa dell’HC Davos. Un club con il quale ha vinto quattro volte la Coppa Spengler e altrettante volte il titolo di campione svizzero. L’ultimo nella stagione 2008-2009. Una prodezza che gli è valsa la designazione di migliore allenatore europeo dell’anno, attribuitagli la scorsa primavera dalla Federazione internazionale di hockey.

swissinfo.ch: Quanto conta per lei la Coppa Spengler?

Arno Del Curto: Per me non ha importanza, ma per l’HC Davos ne ha tanta. Permette di riempire le casse del club e dunque di garantirne la sopravvivenza.

swissinfo.ch: Da diversi anni, alcuni club rimettono proprio in questione il monopolio davosiano durante le feste di fine anno. Il celebre torneo è in pericolo?

A.D.C.: Ognuno è libero di pensare ciò che vuole. La città di Davos non riveste un’importanza di primo piano dal profilo dei mezzi finanziari. Senza la Coppa Spengler, l’HC Davos, un club con una lunga tradizione apprezzato soprattutto in Svizzera, scomparirebbe. Agli spettatori fa enormemente piacere venire ogni anno a Davos. Esistono molti tornei importanti nel mondo. Bisognerebbe essere piuttosto stupidi per lasciarselo sfuggire e veder trasferito l’appuntamento in un altro paese.

Si dovrebbe essere fieri. Ma qui si è incapaci. È una reazione tipicamente svizzera. Ognuno coltiva il proprio orticello. Si parla di globalizzazione, ma non si è nemmeno capaci di discutere con persone che abitano a qualche chilometro. Anche se io non fossi più a Davos, insorgerei contro tutti coloro che mettono in causa la Coppa Spengler.

swissinfo.ch: Una Coppa Spengler che ha già vinto quattro volte con il Davos, così come il campionato svizzero. Qual è la sua ricetta?

A.D.C.: Non ne ho. Detesto i grandi discorsi che si fanno su di me e detesto ancora di più parlare di me. Ognuno è diverso, cerca il proprio metodo e agisce secondo i propri sentimenti. Non potrei nemmeno parlarle di altri allenatori. È impossibile descrivere così le persone. Impossibile.

swissinfo.ch: Ma se si dice che lei è un allenatore che utilizza la convinzione, è d’accordo?

A.D.C.: Sì questo posso accettarlo. Se arrivi a colpire i giocatori, puoi lavorare con loro per anni e anni. Per farlo, si deve essere molto sensibili, avere grandi competenze sociali e un’alta dose di intelligenza emotiva. Se un giorno sentissi che i giocatori non mi ascoltano più, fuggirei immediatamente. Non dopo tre o quattro secondi, ma istantaneamente! Capisce?

swissinfo.ch: Lei è molto vicino ai suoi giocatori e talvolta è accusato di agire con loro un po’ come un guru.

A.D.C.: Faccio molto per i miei giocatori, ma anche loro fanno molto per me. I giornalisti possono scrivere qualsiasi cosa, ma non è importante. Sono amico di tutti i miei giocatori. Se non riuscissi a bere una birra guardandoli negli occhi, smetterei immediatamente. Anche se ce ne fosse soltanto uno con il quale non riuscirei.

swissinfo.ch: Eppure a volte lei è severissimo con qualche giocatore.

A.D.C.: Quando qualcuno non lavora, posso diventare molto duro e infuriarmi. Anche a costo di scusarmi in seguito se ho esagerato. E a quel punto guardo il ragazzo negli occhi finché ride. Ma questo è per impressionare gli astanti. Mamma mia! In realtà sono una persona molto gentile e molto sensibile. Vengono in continuazione nel mio ufficio perché sanno che voglio soltanto una cosa: aiutarli.

swissinfo.ch: Dopo 14 anni alla testa dello stesso club, non sente una certa fiacchezza?

A.D.C.: La passione è ancora intatta. È come un direttore d’orchestra che deve creare una sinfonia. Lavora con il suo gruppo per arrivare a un risultato perfetto la sera della presentazione. Nello sport è la stessa cosa. Voglio creare qualcosa di perfetto, anche se so che non ho alcuna possibilità di arrivarci. Ciò mi appassiona tutti i giorni. E il più bello di tutto ciò è che lo faccio con una gioia immensa.

swissinfo.ch: Qualche mese fa ha rifiutato il posto di selezionatore della nazionale. Non rischia di rimpiangere la decisione?

A.D.C.: Avevo accettato il posto. Ma volevo assumere questa responsabilità rimanendo parallelamente allenatore a Davos, come si fa in molti altri paesi. Non mi è stato concesso. Ho bisogno di stare quotidianamente con i miei giocatori, di vedere i giovani evolvere. Osservo come si vestono, che musica ascoltano, quel che è “trendy”. Voglio restare giovane. Punto e basta! Ho sempre la sensazione di avere 20 anni e di poter fare quel che voglio. Se perdessi questa sensazione, sarei perso. Dunque, non rimpiango questa decisione.

swissinfo.ch: Lei non esita a mandare sul ghiaccio dei giovanissimi, come ha fatto durante questa Coppa Spengler con il 16enne Samuel Guerra. In Svizzera si fa abbastanza per promuovere il ricambio generazionale?

A.D.C. Se non si hanno i soldi per comperare giocatori, si deve lavorare con le giovani leve. Io prendo solo il rischio di dar loro fiducia. Non sono responsabile del lavoro fatto con loro prima. Se ci paragoniamo con paesi come Canada, Stati Uniti, Svezia o Finlandia, effettivamente siamo in ritardo. Non s’investe abbastanza nelle strutture, gli allenatori non sono pagati sufficientemente e il sistema sport-studi non è ancora in ordine. Lo sport non è una priorità in Svizzera. Se lo fosse, si avrebbero giocatori e risultati ancora migliori.

swissinfo.ch: La Svizzera potrebbe dunque fare ancora meglio e, per esempio, un giorno potrebbe avere più giocatori in NHL?

A.D.C.: No, la Svizzera è un paese troppo sviluppato. Lo sport non è una questione di sopravvivenza, come negli Urali. Se un giorno vuoi raggiungere la NHL, devi lavorare, molto, ma molto, ma proprio molto duramente. Devi volerlo. Non basta dire voglio giocare in NHL o credere che sei abbastanza noto per arrivarci.

swissinfo.ch: A proposito, sulla porta dello spogliatoio ha scritto. “Chi crede di essere qualcosa ha smesso di diventare qualcuno”…

A.D.C.: Lo trova nullo? Quando si lavora duramente, si fornisce un buon prodotto e in cambio si raccoglie gioia. È l’unica cosa che conta. Guardando una partita con due squadre che giocano un hockey veloce, con begli schemi, impegno, i giocatori, gli spettatori, tutti provano piacere. Ma per arrivarci, lo ripeto, occorre lavorare molto duramente.

Samuel Jaberg, Davos, swissinfo.ch
(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

Sposato e padre di due figlio, Arno Del Curto è nato il 23 luglio 1956 a St. Moritz, nei Grigioni. A 21 anni ha dovuto smettere di giocare a hockey su ghiaccio in seguito a una grave ferita alla caviglia.

Come allenatore ha iniziato la carriera in squadre che militano in campionati minori. Poi, è stato coach della nazionale svizzera degli under 20. Quindi, nel 1996, è stato assunto alla testa dell’HC Davos.

Con la squadra grigione ha finora vinto quattro volte il campionato svizzero (2002, 2005, 2007 e 2009), eguagliando così il primato dell’allenatore svedese dell’HC Lugano John Slettvoll negli anni ’80, e pure quattro volte la Coppa Spengler (2001, 2002, 2004 e 2006). Nell’aprile 2008 è stato designato miglior allenatore europeo.

Fautore di un gioco veloce ed intelligente, ha dato fiducia a numerosi giovani consentendo loro di dimostrare il proprio talento e intraprendere una carriera ai massimi livelli. Fra costoro si possono citare Michel Riesen, Reto von Arx, Björn Christen e Jonas Hiller.

La Coppa Spengler è stata attribuita per la prima volta nel 1923.

È il più vecchio torneo di disco su ghiaccio fra club in Europa. È stato fondato dal medico di Davos Carl Spengler, in uno spirito di riconciliazione e di dialogo fra le nazioni dopo la Prima Guerra mondiale.

La competizione si svolge ogni anno a Davos, nel cantone dei Grigioni, dal 26 al 31 dicembre.

Con un budget di 8,2 milioni di franchi, la Coppa Spengler è la seconda maggiore manifestazione sportiva annuale in Svizzera dopo il torneo di tennis di Basilea.
Il primato di pubblico data del 2002, con 84’480 spettatori in 11 partite, tutte giocate a casse chiuse.

In 82 edizioni, vi hanno preso parte oltre cento club di 18 paesi. Con 14 trofei, l’HC Davos è la squadra che ha vinto più volte la Coppa Spengler.

All’edizione 2009, oltre all’HC Davos e al Team Canada, habitués del torneo, partecipano i cechi del Karlovy Vary, i tedeschi del Mannheim e i bielorussi della Dinamo Minsk.

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