«Il punto di riferimento è diventato Strasburgo»
La Corte europea dei diritti dell'uomo è vittima della sua notorietà. Giorgio Malinverni - unico giudice svizzero della Corte europea dei diritti dell'uomo - spiega a swissinfo.ch come ci si sta organizzando per evadere i 110mila ricorsi.
Egli fa parte da quasi tre anni del gruppo di 47 magistrati – uno per ogni Stato membro – che compongono la Corte europea dei diritti dell’uomo. Attualmente manca il giudice dell’Ucraina.
I giudici sono suddivisi in cinque sezioni di nove magistrati l’una – 7 titolari e 2 supplenti – badando che in ogni sezione siano equamente rappresentate le varie aree geografiche coperte dal Consiglio d’Europa. Inoltre esiste la cosiddetta «Grande camera», cui si può ricorrere in ultimissima istanza in caso di contestazione di una sentenza di una delle 5 sezioni. È il caso – per esempio – della recente sentenza sui crocifissi, per cui l’Italia intende ricorrere alla «Grande Chambre».
Nel suo lavoro nella prima sezione, Malinverni ha visto passare anche tutti i ricorsi provenienti dalla Svizzera: è infatti previsto che ogni giudice partecipi all’esame delle istanze che provengono dal proprio paese, anche per chiarire ai colleghi eventuali particolarità giuridiche.
«È un lavoro interessantissimo – esordisce Malinverni – anche se devo dire che la Svizzera, per fortuna, non dà molto lavoro alla Corte. È la Russia, lo stato che ci impegna di più con il 25% dei ricorsi totali inoltrati alla Corte. Se si prendono poi insieme Russia, Ucraina, Romania e Turchia, si arriva quasi al 50%. Tutto questo su una media annuale di 30mila ricorsi inoltrati».
swissinfo.ch: Dunque un superlavoro?
Giorgio Malinverni: Ogni anno, le cinque sezioni della Corte emettono in media 1500 sentenze – di queste 10-15 riguardano la Confederazione – oltre alla ventina di verdetti della Grande Camera. Per confronto, all’inizio della sua attività, nel 1959, la Corte emetteva due – tre sentenze all’anno. Quasi quasi si stappava lo champagne ogni volta che ne arrivava una.
Oggi invece la Corte è sempre più conosciuta. Anche in Svizzera, una volta i cittadini si riferivano al Tribunale federale di Losanna, oggi invece il punto di riferimento è diventato Strasburgo.
Così la Corte rischia in pratica di diventare vittima del proprio successo: ci sono ben 110mila ricorsi in arretrato e continuano ad arrivarne sempre di più. Ormai, tra l’arrivo di un ricorso e la sentenza possono passare anni. E consideri che un singolo giudice riesce a trattare 12, massimo 15 ricorsi alla settimana.
swissinfo.ch: Come si è organizzata la Corte di fronte a questa emergenza?
G.M.: Bisogna premettere che il 90 per cento dei ricorsi viene già respinto a livello di ricevibilità da un comitato di 3 magistrati che ne verifica la fondatezza.
Noi giudici, tuttavia, abbiamo già iniziato a modificare in parte il sistema di esame dei ricorsi. Prima venivano affrontati semplicemente nell’ordine cronologico di arrivo, mentre ora abbiamo deciso di trattarli secondo l’ordine di quella che pensiamo sia la gravità delle violazioni denunciate. Così, per esempio, prima esaminiamo le presunte violazioni in base all’Articolo 2 (diritto alla vita) Art. 3 (tortura) o Art. 5 (arresti o detenzioni arbitrarie) e solo in un secondo tempo quelle sulla libertà religiosa o d’espressione.
Inoltre abbiamo introdotto la procedura delle cosiddette «sentenze pilota». Quando la Corte si rende conto che per un singolo ricorso ne potrebbero giungere alla Corte molti altri simili, adotta un’unica sentenza, ma elaborandola già in modo che possa essere valida per altri casi analoghi.
swissinfo.ch: Esiste poi una riforma prevista da un protocollo addizionale…
G.M.: Il protocollo addizionale 14 consentirebbe alla Corte di aumentare la propria efficacia del 20-25%, tuttavia non è entrato in vigore perché manca la ratifica della Russia. Nel frattempo è stato però adottato il protocollo che chiamiamo 14bis, che ne riprende alcune disposizioni, due in particolare.
Innanzitutto, si prevede la possibilità che sia un solo giudice, anziché tre, a fare la scrematura iniziale: quella che respinge – e in modo inappellabile – il 90% dei ricorsi.
In secondo luogo, il protocollo prevede che casi ritenuti ripetitivi possano essere giudicati da formazioni più snelle di tre magistrati anziché sette.
swissinfo.ch: Come giudica, ora, il ruolo che potrà avere la Svizzera nel suo semestre di presidenza del Consiglio d’Europa? Quali iniziative potrebbero influenzare anche il vostro lavoro?
G.M.: La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha sollecitato una grande conferenza ministeriale per far avanzare le proprie riforme, e la Svizzera ha accettato di organizzarla. Si terrà il 18 e 19 febbraio prossimi a Interlaken. Noi abbiamo fatto quel che abbiamo potuto per snellire le procedure della Corte, ma ormai credo che come magistrati abbiamo esaurito le nostre possibilità. Aspettiamo quindi che gli Stati, che si riuniranno a Interlaken, prendano la decisione di fornirci mezzi e meccanismi nuovi per permetterci di lavorare normalmente e senza pesanti ritardi.
swissinfo.ch: Una curiosità: influisce sul vostro modo di lavorare il fatto che alcuni giudici vengano da paesi di tradizione mussulmana come Bosnia o Turchia?
G.M.: Le leggi islamiche alla Corte non vengono prese in considerazione. Per noi il testo a cui fare riferimento è unicamente la Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
swissinfo.ch: In Svizzera fra pochi giorni si voterà sui minareti…
G.M.: Su questo preferirei non fare commenti.
swissinfo.ch: Un’ultima domanda su una recente sentenza che ha fatto molto discutere in materia religiosa, quella sui crocifissi in Italia. Anche se è stata emessa da una sezione diversa dalla sua, qual è la sua opinione in merito?
G.M.: Sono totalmente d’accordo con quella sentenza. La sezione ne ha discusso parecchio, sapendo che era una questione sensibile anche in altri paesi, specialmente in quelli cattolici. Alla fine ha prevalso il principio di laicità dello Stato, pur nella consapevolezza che ci sarebbero state reazioni forti.
Ricordo che a suo tempo il Tribunale federale aveva preso la stessa decisione a proposito di un ricorso presentato da una scuola di Cadro. Poi naturalmente bisogna vedere se lo Stato rispetterà la sentenza.
Il nocciolo comunque è il fatto che le scuole pubbliche devono essere neutre dal punto di vista religioso e quindi non è opportuna la presenza di un segno religioso forte come il crocifisso nelle aule scolastiche. Non si può imporlo a ragazzini che sono ancora giovani, specie nelle suole elementari, contro la loro volontà e quella dei loro genitori.
Sottolineo fra l’altro che la sentenza è stata resa non sulla base dell’Art. 9 sulla libertà religiosa, ma sull’ Art. 2 del protocollo1 che garantisce il diritto ai genitori di educare i figli secondo proprie convinzioni religiose o filosofiche.
Alessandra Zumthor, Strasburgo, swissinfo.ch
La Svizzera assumerà la presidenza del Comitato dei ministri – l’organo esecutivo del Consiglio d’Europa (CdE)– il 18 novembre 2009. Si tratta di una carica ricoperta a turno dagli stati membri. L’11 maggio 2010, la Confederazione – che succede alla Slovenia – lascerà il posto alla Macedonia.
La Svizzera è entrata nel CdE il 6 maggio 1963, come 17esimo stato membro.
Dal 1968 ha una rappresentanza permanente a Strasburgo. L’ambasciatore in carica è Paul Widmer.
La Svizzera gira al CdE il 2,175% del suo budget, ovvero 6,2 milioni di euro l’anno.
La delegazione parlamentare svizzera al Consiglio d’Europa è composta di 12 deputati (tra consiglieri nazionali e consiglieri agli Stati).
Giorgio Malinverni è il giudice svizzero alla Corte europea dei diritti umani.
È stato fondato nel 1949 da Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Svezia, Paesi bassi. Obiettivo: disporre di un’organizzazione internazionale per la protezione dei diritti umani.
Con gli anni, il Cde è riuscito a creare uno spazio giuridico comune in Europa.
La sede permanente è a Strasburgo, in Francia, dove nel 1977 è stato inaugurato il Palais de l’Europe.
Oggi il CdE riunisce 636 deputati di 47 paesi, che, insieme, hanno 800 milioni di abitanti. I collaboratori amministrativi sono 2’000.
Solo tre stati europei – il Vaticano, il Kosovo e la Bielorussia – non sono membri del CdE.
Nel 1950 è stata approvata la Convenzione europea dei diritti umani, completata nel frattempo da 14 protocolli aggiuntivi. La Corte europea di Strasburgo ha il compito di assicurare il rispetto dei diritti umani da parte degli stati membri.
Le altre circa 200 convenzioni varate dal CdE si occupano di temi come l’assistenza giudiziaria internazionale, la lotta al crimine organizzato, l’abolizione della pena di morte, il traffico di esseri umani e la tortura.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.