Iraq: la Svizzera può fare di più contro gli abusi
Le torture inflitte dai soldati americani agli iracheni continuano a riempire le pagine di cronaca. Anche negli USA, dove diversi membri del parlamento hanno espresso il loro scoramento, e in Svizzera, dove il governo si è detto «disgustato».
Ma i giuristi delle ONG ritengono che la Svizzera potrebbe fare di più.
Mercoledì sera, dopo aver visionato delle fotografie e dei video inediti, diversi senatori americani non hanno nascosto il loro disgusto e il loro sdegno.
Si associano così al concerto di voci che accusano gli Stati Uniti di non rispettare le Convenzioni di Ginevra e il diritto internazionale. Domenica scorsa, anche la ministra degli esteri elvetica, Micheline Calmy-Rey, aveva dichiarato pubblicamente di provare molta rabbia per l’accaduto.
La settimana prossima, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) dovrebbe dare una risposta all’appello inoltrato dalla Federazione internazionale delle leghe per il rispetto dei Diritti umani (FIDH). In sostanza, la FIDH chiede alla Svizzera di convocare gli Stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra per discutere delle torture in Iraq
«Crimini di guerra»
La FIDH non è la sola a ritenere che la Confederazione, depositaria delle Convenzioni di Ginevra, potrebbe fare di più per perseguire i responsabili delle torture in Iraq. Altre organizzazioni non governative, come Amnesty International, e diversi giuristi chiedono alla Svizzera d’intervenire.
L’opinione pubblica è ormai convinta che ci si trovi di fronte a «crimini di guerra». Secondo il Comitato internazionale della Croce rossa (CICR), però, soltanto un tribunale può pronunciare un tale verdetto nei confronti dei responsabili delle sevizie inflitte ai prigionieri iracheni dai soldati americani e britannici.
Finora non c’è stata nessuna sentenza ufficiale, ma per Luigi Condorelli, «se si crede ai contenuti del rapporto del CICR, svelati dal Wall Street Journal, ci troviamo proprio di fronte a crimini di guerra».
«Le umiliazioni e le torture denunciate dal CICR», continua Condorelli, professore di diritto internazionale pubblico, «costituiscono delle violazioni gravi della terza e della quarta Convenzione di Ginevra».
Secondo l’esperto, attivo da lungo tempo a Ginevra, questi trattati internazionali, che fissano il diritto vigente in tempo di guerra, obbligano gli Stati firmatari a perseguire in giudizio le persone accusate di tali infrazioni e a risarcire le vittime.
Promettendo pubblicamente di punire i colpevoli e di versare dei risarcimenti alle vittime, Londra e Washington non hanno dunque fatto altro che dichiarare che adempieranno ai loro impegni internazionali.
Formazione insufficiente
«Tuttavia, Stati uniti e Gran Bretagna hanno già violato le Convenzioni di Ginevra», afferma Philip Grant, presidente di Trial, un’organizzazione non governativa svizzera nata nel 2002 proprio per lottare contro i crimini di guerra.
«Non hanno informato le truppe incaricate di sorvegliare i prigionieri sul contenuto delle Convenzioni». Una constatazione, questa, fatta anche dal generale americano Antonio Taguba.
Autore di un severo rapporto sul comportamento della 800esima brigata di polizia militare, Taguba ha denunciato davanti al Senato americano «l’incompetenza degli ufficiali e la mancanza di disciplina, di formazione e di supervisone» riscontrati nella truppa incaricata di sorvegliare i centri di detenzione in Iraq.
Giustizia da fare
La commissione del Senato americano, che sta conducendo un’inchiesta su quanto accaduto, cerca ora di ricostruire la catena di comando, per determinare le responsabilità degli alti ufficiali dell’esercito e del Pentagono, il ministero americano della difesa.
Per Philip Grant, tutti gli alti dirigenti che hanno avuto sentore delle torture ma che non hanno intrapreso nulla per fermarle, sono punibili. L’avvocato aggiunge che se la giustizia non segue il suo corso negli Stati uniti e in Gran Bretagna, gli altri Stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra saranno obbligati ad intervenire perseguendo i responsabili di tali atti criminali.
Roberto Balzaretti, vicedirettore della Direzione del diritto internazionale pubblico, un ufficio che sottostà al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), conferma quanto dichiarato da Grant. «Per il momento, però, non è opportuno che la Svizzera lanci nuove iniziative».
Dal canto suo Philip Grant insiste: «La giustizia elvetica è tenuta a citare in giudizio queste persone, nel caso in cui dovessero mettere piede nel nostro paese». La Confederazione però sembra intenzionata a restringere questa competenza giudiziaria.
Probabilmente in futuro, prima che una persona accusata di crimini di guerra possa essere giudicata da un tribunale elvetico, sarà necessario mostrare l’esistenza di un rapporto stretto tra questa persona e la Svizzera.
Le altre procedure
La Svizzera, però, ha a disposizione altre procedure per affrontare gli autori dei crimini di guerra commessi in Iraq. «Berna può depositare una denuncia di Stato presso il Comitato delle Nazioni unite contro la tortura», spiega Alain Bovard di Amnesty International.
Amnesty ha tra l’altro proposto questa opzione in una lettera inviata il 4 maggio scorso alla ministra degli esteri svizzera, Micheline Calmy-Rey. Nella lettera si chiedeva anche che la Svizzera sospendesse le esportazioni di armi vero gli Stati uniti e la Gran Bretagna.
Dal canto suo, Luigi Condorelli ricorda che esiste una Commissione d’inchiesta indipendente che potrebbe essere attivata in questo caso. Nata dalla volontà degli Stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra, la commissione è riconosciuta da 66 paesi ed è formata da 15 membri permanenti, scelti tra degli esperti e dei diplomatici.
Il Dipartimento federale svizzero degli affari esteri si è fatto carico del segretariato della Commissione, che si trova a Berna. Dalla sua creazione, nel 1991, la Commissione non è mai stata chiamata in causa.
Swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(Adattamento dal francese, Doris Lucini)
Nel rapporto del CICR sono illustrate le sevizie inflitte più di frequente durante gli interrogatori in Iraq. Tra queste: incappucciare le persone per impedire loro di vedere, per disorientarle e per togliere loro il respiro; colpire con degli oggetti duri (come pistole e fucili), schiacciare la testa dei prigionieri al suolo con gli scarponi.
E ancora: minacciare trattamenti più duri, rappresaglie nei confronti della famiglia, esecuzioni immediate o trasferimenti a Guantanamo; privare del sonno, del cibo e dell’acqua; esporre bendati a dei rumori molto forti o al sole per delle ore.
Infine gli atti umilianti: costringere i prigionieri a stare nudi ed incatenati per lungo tempo, con delle armi puntate addosso e indumenti intimi femminili sulla testa; schernire i prigionieri nudi, sottometterli a delle donne, fotografarli in posizioni umilianti.
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