L’occhio critico di Amnesty International sulla Svizzera
Nel suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani, Amnesty International condanna nuovamente le leggi elvetiche sull'asilo e sugli stranieri.
L’organizzazione critica anche le nuove norme sulla violenza domestica, che potrebbe condurre all’espulsione di una vittima straniera, e ricorda il rapporto dell’ONU sul razzismo.
Per Amnesty International (AI), le disposizioni previste dalle leggi elvetiche sull’asilo e sugli stranieri non sono conformi agli impegni internazionali sottoscritti dalla Svizzera. AI chiede a Berna di non cedere «alla tentazione di utilizzare la politica della paura» e di investire invece nella difesa dei diritti umani.
Particolarmente criticata è la nuova revisione della legge sull’asilo, approvata dal popolo svizzero il 24 settembre 2006. Secondo le nuove norme può essere negato l’accesso alla procedura d’asilo a chi non presenta documenti di identità. La legge concede inoltre un tempo ridotto di ricorso ai richiedenti la cui domanda è stata respinta.
Anche le disposizioni riguardanti l’incarcerazione sono incompatibili con gli impegni internazionali della Svizzera, scrive AI: la legge consente di trattenere in cella fino a due anni persone in attesa dell’espulsione e persino i minorenni possono essere imprigionati fino a 12 mesi.
Espellere le vittime di violenza?
L’organizzazione in difesa dei diritti umani critica anche la revisione del Codice civile di metà giugno 2006. La nuova normativa consente l’allontanamento di una persona violenta dal domicilio che condivide con la vittima.
Nel contempo, tuttavia, quest’ultima, se è straniera, rischia l’espulsione. Questo pericolo incombe in particolare sulle migranti che vivono da meno di cinque anni in Svizzera e che si separano dal marito.
Le tendenze al «razzismo istituzionale» sono un altro punto dolente nel rapporto di Amnesty. Esso accenna alle critiche formulate dal relatore speciale dell’ONU contro il razzismo, il senegalese Doudou Diène, che nel gennaio 2006 aveva compiuto una visita di cinque giorni in Svizzera, conclusa con rimproveri molto severi.
Le autorità federali prendono le distanze
“Respingiamo in buona parte le critiche di Amnesty – dice a swissinfo Dominique Boillat, portavoce dell’Ufficio federale delle migrazioni – perché non ci sembrano corrette”.
“Si dice, per esempio, che le donne migranti picchiate dai mariti che non possono dimostrare cinque anni di vita in comume, vengono espulse. Nella nuova legge sugli stranieri, che entrerà in vigore nel 2008, è previsto esattamente il contrario. La legge prevede che dopo tre anni la donna può ottenere un permesso di soggiorno. Permesso che le è concesso anche nei casi gravi come, per esempio, se è vittima di violenza”.
Razzismo istituzionale
«La Svizzera vive una situazione di razzismo, xenofobia e discriminazione», aveva sostenuto Diène, e a settembre aveva rincarato la dose davanti al Consiglio dei diritti umani a Ginevra, denunciando in particolare «il trattamento autoritario delle questioni relative all’immigrazione e all’asilo».
Il relatore Onu aveva sollevato parecchie accuse di abusi, violenza eccessiva e comportamento razzista da parte di agenti di polizia. Le sue osservazioni sono state tuttavia trattate come bazzecole nelle discussioni politiche, osserva AI.
Il governo svizzero si era espresso negativamente sull’uso di «casi individuali per trarre conclusioni generali sulle dinamiche del razzismo e della xenofobia in Svizzera», ma aveva promesso di esaminare seriamente il problema e di adottare misure per lottare contro il razzismo.
Critiche ripetute
In un comunicato, la sezione svizzera di Amnesty cita la segretaria generale dell’organizzazione Irene Khan: «Come la lotta contro il riscaldamento climatico richiede un’azione fondata sulla cooperazione internazionale, l’erosione dei diritti umani potrà essere fermata soltanto con la solidarietà mondiale e il rispetto del diritto internazionale».
Già nel rapporto 2006 AI aveva denunciato in particolare le previste restrizioni d’accesso a una normale procedura d’asilo, giudicandole contrarie alla convenzione dell’ONU sui rifugiati.
E già allora stigmatizzava il comportamento della polizia elvetica, accusata di «maltrattamenti», «ricorso eccessivo alla forza» e «violenze a sfondo razzista». Critiche simili figuravano nel rapporto 2005.
Ma anche su questo fronte l’Ufficio federale delle migrazioni dissente. “Criticando la non entrata in materia per i richiedenti l’asilo che non sono in possesso di documenti – aggiunge Boillat – Amnesty dimentica che nella legge sono contemplate tre importanti eccezioni: se la persona può motivare la mancanza di documenti, se può dimostrare precedenti persecuzioni e se l’autorità federale ha bisogno di maggiori informazioni”.
swissinfo e agenzie
Nel suo rapporto di 300 pagine, Amnesty International punta il dito in particolare contro la guerra al terrorismo lanciata dagli USA, che ha portato Washington a trattare il mondo «come un gigantesco campo di battaglia».
«Come ai tempi della guerra fredda – scrive Irene Khan, segretaria generale dell’organizzazione – le decisioni prese si iscrivono in un clima di paura suscitato e alimentato da dirigenti senza scrupoli»
L’imperativo della sicurezza nazionale è spesso un pretesto per reprimere la dissidenza, come in Nord Africa, in Medio Oriente o in Russia.
Amnesty sottolinea in particolare la situazione in Darfur, «una ferita aperta che insanguina la coscienza del mondo».
Il rapporto denuncia anche il crescente «fossato fra musulmani e non musulmani», e la condizione delle donne nel mondo, «vittime del terrorismo sessuale».
L’organizzazione è stata fondata nel 1961 dall’avvocato britannico Peter Benenson.
AI ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1977, per la sua campagna contro la tortura.
Secondo il rapporto 2007, l’organizzazione può contare su 2,2 milioni di membri o sostenitori in più di 150 paesi.
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