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L’oro, che passione

Sui loro cappelli, i cercatori d'oro amano attaccare tarchette di ogni tipo swissinfo.ch

Oltre 400 persone si sono date appuntamento a metà agosto nella regione di Biella per la 33esima edizione dei campionati del mondo dei cercatori d'oro. Una passione che coinvolge anche molti svizzeri.

Vermogno di Zubiena è una frazione di 120 abitanti nella Valle dell’Elvo, tra Biella e Ivrea. È qui, vicino al torrente che dà il nome alla vallata – un affluente del fiume Sesia – che si sono dati appuntamento cercatori provenienti dai quattro angoli del pianeta.

Tra di loro anche molti svizzeri, che hanno passato l’estate a setacciare i torrenti nella regione del Napf e del comprensorio circostante, costituito dall’Emmental e dall’Entlebuch. Una lunga preparazione con l’obiettivo di conquistare poi il titolo di campioni mondiali nel campionato iridato organizzato ogni anno dalla World Goldpanning Association. Un proposito sfumato, che non ha però reso meno appassionante l’avventura in terra italiana.

Nel caldo afoso dell’agosto piemontese, più di 400 appassionati hanno setacciato le rive del torrente Elvo emulando le grandi epopee della corsa alle pepite – in primis quella dei ‘forty niners’ in California-, ma anche quelle dell’Alaska di fine Ottocento. Sono stati ben 23 i diversi Paesi in gara. L’ultimo ad iscriversi è stato un partecipante brasiliano, l’unico verdeoro presente alla manifestazione.

Una grande famiglia

Ai nastri di partenza vi erano 117 donne, 229 uomini; e 43 ragazzi, tra maschi e femmine. La nazione più rappresentata è stata la Finlandia con ben 70 cercatori d’oro; a seguire l’Italia con 58, la Francia con 55, la Germania con 35 e la Svizzera con 24.

Prima della caccia all’oro nei torrenti è il look dei protagonisti a colpire: cappelli e copricapo a dir poco pittoreschi, con penne e piume di ogni continente, un abbigliamento casual molto suggestivo e quasi tutti non si separano dagli stivaloni di gomma alti fino al ginocchio neanche per andare al vicino campeggio.

«Nell’Associazione dei cercatori d’oro svizzeri siamo in 450 – ci racconta Peter Pfander, il presidente – e da quando giriamo il mondo per cercare l’oro viviamo la natura con molta armonia. Ci sentiamo una famiglia e siamo talmente uniti che ci vediamo anche al di fuori delle competizioni. In fondo per tutti è una passione, poi si sa, quando ci sono le gare subentra lo spirito di competizione e tutti vogliono ottenere il miglior risultato nel minor tempo possibile».

Non solo un hobby

Tuttavia, non per tutti la febbre dell’oro è un hobby. Spesso tra i cercatori d’oro spuntano geologi, esperti di minerali, fisici, chimici e il loro sogno è di poter vivere cercando pagliuzze, scaglie e pepite.

Sugli spalti gremiti di Vermogno c’era molta curiosità tra i non cercatori d’oro che cercavano di capire le regole e appassionarsi a loro volta. Dopo essersi registrati, i concorrenti hanno ritirato la pettorina con il numero di riferimento assieme ad una provetta vuota in cui depositare le pagliuzze d’oro trovate.

Queste ultime, spesse solo un millimetro, prima dell’inizio della competizione vengono depositate dagli organizzatori in secchi pieni di sabbia. I secchi pesano da un minimo di 12 a un massimo di 20 chili e vengono riempiti con una dosatrice che dissemina le pagliuzze mescolate alla sabbia.

Le scaglie possono variare da un numero di 5 a 12; l’importante è che tutti i secchi dei partecipanti abbiano lo stesso numero di pagliuzze. A questo punto, i concorrenti, suddivisi per batterie da 30 in diverse categorie (uomini, donne, veterani, under 16 e squadre nazionali) entrano nell’arena dell’oro. Qui ci sono 30 vasche colme d’acqua e da questo momento inizia la ricerca dell’oro con la batea, una piatto a forma di cappello di 50 centimetri.

Pazienza e resistenza

La bravura consiste nell’impiegare il minor tempo possibile (meno di due minuti) lavando la sabbia a più riprese affinché in superficie resti il materiale più pesante: l’oro. Una volta recuperate le pagliuzze, il concorrente infila nella provetta le scaglie, porta il piatto sopra la testa e grida stop.

Con quest’ultimo atto, si dichiara conclusa la gara. La successiva mossa è la consegna della provetta alla giuria. Ma non è finita: per ogni scaglia d’oro non trovata vengono applicati tre punti di penalità determinanti per il risultato finale. I cercatori d’oro in gara non sanno se nel loro secchio pieno di sabbia vi siano cinque o dodici pagliuzze; per cui molti durante la competizione sono convinti di avere raccolto il necessario per vincere.

Comunque, per avere successo nelle gare internazionali occorre tanta pazienza. «Ci vuole anche una gran resistenza fisica e molta tranquillità per cercare l’oro – dice il veterano Peter Grubenmann -. Del resto, quando non gareggiamo, i fiumi sono la nostra casa tutto l’anno. Nei torrenti, in genere, è molto difficile cercare l’oro al setaccio con la canalina e la batea e a volte dopo otto ore di lavoro con i piedi ammollo e la schiena piegata si torna a casa a mani vuote o con pochi centigrammi. Ma noi siamo principalmente dei collezionisti e conserviamo tutte le scaglie».

Il leggendario Felix

A fare gola sono i pezzi più grandi o addirittura pepite che poi vengono usate come portafortuna nei campionati mondiali. «È vero, viviamo in prima persone le epopee, ma senza eroismo – ci racconta Antonio Forlin, cercatore d’oro e pensionato di 67 anni che vive a Winterthur vicino a Zurigo. A Vermogno, tra i cercatori d’oro, non ce n’era uno che non fosse stato almeno una volta in Alaska sulle tracce di Felice Pedroni».

Felice Pedroni o Felix Pedro (come venne ribattezzato) è il celebre cercatore d’oro italiano nato a Fanano (Modena) passato alla storia per aver scoperto un giacimento d’oro in quella che sarebbe poi diventata la città di Fairbanks, scoprendo anche il fiume Pedro Creek. «Siamo tutti figli suoi – dice ancora Fiorin – e la mia prima pepita l’ho trovata proprio nello Yukon. Io e mia moglie Rosmarie – anche lei appassionata – siamo convinti che il destino ci abbia segnato per sempre».

Per la cronaca, questa volta i rappresentanti rossocrociati, che hanno schierato almeno un concorrente in ogni categoria, non sono riusciti a conquistare nemmeno un podio.

Il miglior risultato è stato raggiunto da Marlise Lüdi, già vincitrice ai campionati di Coloma, in California, nel 1998. Questa casalinga di 53 anni, che vive a Lauperswil, nell’Emmental, è arrivata settima con il tempo di 2 minuti e 53 secondi nella sua batteria.

«Sono molto orgogliosa di aver rappresentato la Svizzera a questi mondiali di Biella e sono già pronta per i prossimi mondiali che si svolgeranno nella Repubblica Ceca, ma il mio portafortuna è mio figlio Felix di 9 anni». Non poteva essere diversamente con il nome di una leggenda.

Ambra Craighero, Vermogno di Zubiena, swissinfo.ch

Le gare tra cercatori d’oro sono nate ufficialmente in Finlandia nel 1974 a Tankavaara, un piccolo borgo sulla strada che da Rovaniemi sale verso la Norvegia e Capo Nord.

Nel 1977 grazie alla collaborazione tra la delegazione finlandese e quella austriaca, si organizzò e nacque una organizzazione internazionale di cercatori d’oro, la Word Goldpanning Association e fu indetto il primo campionato mondiale.

In quel campionato la rappresentativa più cospicua era quella del Circolo Polare Artico con l’aggiunta di qualche austriaco.

I campionati del mondo quest’anno sono stati organizzati nella Bessa, una zona fra Biellese e Canavese, nella regione Piemonte che costeggia e circonda il corso del torrente Elvo e prosegue in territorio valdostano.

Fu una delle più grandi miniere d’oro dell’antichità, ed era nel territorio dei Salassi, una popolazione ligure-celtica di cui si favoleggiano origini mitologiche legate ad Ercole e agli Argonauti, dunque al mito del Vello d’Oro, che altro non sarebbe se non una pelle di pecora, usata per setacciare le sabbie aurifere.

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