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La Birmania sul banco degli accusati a Ginevra

Da qualche giorno le manifestazioni in Birmania sono diventate invisibili Keystone

Le notizie allarmanti di torture e violenze fanno temere il peggio in Birmania. Come altri paesi, la Svizzera ha manifestato le sue preoccupazioni alla sessione speciale del Consiglio dei diritti umani.

In una risoluzione adottata martedì, l’organizzazione dell’ONU con sede a Ginevra ha chiesto alle autorità birmane di agire con estrema moderazione e di liberare tutte le persone imprigionate.

Torture, trattamenti crudeli, violenze sessuali, esecuzioni sommarie e decessi in detenzione sono notizie allarmanti che giungono dal paese del Sudest asiatico. Lo ha dichiarato martedì a Ginevra l’ambasciatore elvetico all’ONU Blaise Godet, che ha esortato il Consiglio dei diritti umani a intervenire immediatamente.

«Ricordiamo alle autorità birmane che sono garanti dell’integrità fisica e morale delle persone arrestate», ha sottolineato Godet, invitando il Consiglio a mostrare la sua capacità di reagire rapidamente e a rivolgere un «messaggio chiaro» alla giunta militare.

Una risoluzione che invita alla moderazione

L’Unione europea (Ue), che aveva chiesto l’organizzazione di una seduta straordinaria sulla Birmania, ha presentato una risoluzione che esorta i 47 paesi membri del Consiglio a denunciare la repressione, che secondo il ministro degli affari esteri australiano avrebbe fatto «almeno 30 morti» (le cifre ufficiali parlano di almeno 13 morti).

Il testo – adottato all’unanimità – sollecita la giunta militare a dar prova della «moderazione più estrema» nei confronti dei manifestanti e di deferire alla giustizia gli autori di violazioni dei diritti dell’uomo. Reclama poi la liberazione «senza ritardo» di tutte le persone arrestate nel corso degli ultimi giorni e dei prigionieri politici, in particolare della leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi.

Infine, esorta il governo birmano a garantire la libertà di espressione, a permettere il completo accesso all’informazione e a cooperare pienamente con l’inviato speciale del segretario generale dell’ONU, Ibrahim Gambari, al fine di trovare una soluzione pacifica.

Per vincere la reticenza di alcuni paesi vicini al regime birmano (come Cina o Russia), la risoluzione è stata in parte rimaneggiata. Invece di condannare la repressione violenta delle manifestazioni pacifiche, il testo si limita ad esempio a deplorarla.

Protezione internazionale

«Da quando i manifestanti sono diventati invisibili, l’inquietudine non fa che crescere», ha affermato l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Louise Arbour.

Arbour ha denunciato la reazione «scioccante» delle autorità e ha reso omaggio ai monaci buddisti e ai cittadini che hanno manifestato pacificamente.

«La situazione in Birmania dev’essere urgentemente chiarificata e sorvegliata in modo indipendente», ha dichiarato. «Il popolo birmano necessita manifestamente di una protezione internazionale».

Riaprire le porte alla Croce Rossa

A Ginevra, la Svizzera ha ribadito la sua preoccupazione per la situazione umanitaria in Birmania, invitando il governo ad autorizzare il Comitato Internazionale della Croce Rossa a riprendere l’insieme delle attività su tutto il territorio.

«La Svizzera considera la recente visita di Gambari come uno sviluppo positivo», ha affermato Godet. La Confederazione si aspetta che «la medesima disponibilità sia dimostrata a riguardo del relatore speciale per i diritti umani», Paulo Sergio Pinheiro.

«L’incapacità della comunità internazionale di impedire il massacro che ha fatto seguito alle proteste popolari del 1988, nel quale morirono 3000 manifestanti, non deve ripetersi», ha ammonito Pinheiro.

Dal canto suo, l’ambasciatore birmano a Ginevra ha sostenuto che «elementi antigovernativi esterni ed interni» hanno appoggiato le manifestazioni e che alcuni Stati occidentali vedono in esse l’occasione di intervenire nel Paese.

swissinfo e agenzie

Ex colonia britannica, la Birmania (Unione del Myanmar dal 1989) ottiene l’indipendenza nel 1948. Un colpo di stato nel 1962 mette fine alla giovane democrazia.

La soppressione dei partiti politici e la repressione delle libertà isolano il paese dal resto del mondo.

Nell’agosto del 1988 la giunta militare soffoca con la forza una serie di proteste studentesche. I morti e i feriti si contano a migliaia.

In occasione delle elezioni libere del 1990, la Lega Nazionale per la Democrazia NLD (guidata dal premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi) ottiene oltre l’80% dei voti. La giunta si rifiuta di cedere il potere, arrestando Aung San Suu Kyi (tutt’ora agli arresti domiciliari) ed altri leader dell’NLD.

Dopo l’annuncio dell’aumento del prezzo del carburante, lo scorso 15 agosto, la gente guidata dai monaci manifesta nuovamente il suo malcontento. Nonostante gli appelli della comunità internazionale le proteste sono represse nel sangue dalle forze dell’ordine.

L’inviato dell’ONU in Myanmar, Ibrahim Gambari, ha incontrato martedì il generale Than Shwe, numero uno della giunta birmana, per tentare di trovare una soluzione negoziata alla sanguinosa crisi in cui è precipitato il paese.

Al termine del colloquio, dal quale non è trapelato nulla, Gambari ha incontrato per la seconda volta la dissidente storica e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi.

Le proteste delle ultime settimane hanno costato la vita ad almeno 13 persone (fonti vicine agli ambienti dissidenti parlano di duecento morti) e portato a circa 6’000 arresti.

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