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La fontana “sanguina” per i morti del Darfur

Martedì la fontana sul lago di Ginevra si tingerà di rosso sangue Keystone

Martedì, durante la Giornata della giustizia internazionale, il celebre "jet d'eau" sul lago di Ginevra si colorerà di rosso per chiedere giustizia nella regione sudanese del Darfur.

I fautori della campagna e le autorità cittadine vogliono così attirare l’attenzione su un conflitto che secondo l’ONU ha fatto almeno 200’000 morti e 2,1 milioni di profughi.

“Concretamente la nostra iniziativa non cambierà le cose, ma simbolicamente ritengo molto importante che una città internazionale come Ginevra sottolinei che questa catastrofe umanitaria è ancora in corso”, ha detto a swissinfo Philip Grant, presidente di Trial (Track Impunity Always, l’associazione svizzera contro l’impunità), con sede nella città di Calvino.

Martedì 17 luglio, durante la Giornata della giustizia internazionale, il famoso spruzzo d’acqua di 140 metri sarà illuminato di rosso. In tal modo Ginevra, capitale dei diritti umani, vuole lanciare il suo “forte grido di protesta” per quanto sta accadendo nel Darfur, ha detto il sindaco Patrice Mugny.

“I massacri nella regione occidentale del Sudan hanno mietuto migliaia di vittime”, ha affermato. “La città coglie l’opportunità per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle sofferenze delle popolazioni civili e per chiedere che vi sia posto termine”.

L’iniziativa ha un senso anche per Mahor Chiche, presidente dell’associazione parigina “Save Darfur” (Salvare il Darfur). Secondo lui, occorre mantenere la pressione pubblica e diplomatica sul conflitto, poiché il governo sudanese si è dimostrato sensibile alle critiche esterne.

Chiche ritiene che la Svizzera abbia un ruolo da svolgere nella risoluzione del conflitto. Lo scorso finesettimana, la presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey ha visitato un campo profughi in Chad che accoglie migliaia di sfollati del Darfur.

Fare giustizia

All’organizzazione Trial sta inoltre particolarmente a cuore che si mantenga la pressione sul governo sudanese affinché cooperi con la Corte internazionale di giustizia (CIG) dell’Aia (Olanda).

La CIG ha emesso un mandato d’arresto contro due uomini sospettati di crimini di guerra – uno dei quali è il ministro sudanese per gli affari umanitari – ma il governo rifiuta di riconoscere la giurisdizione della corte internazionale.

La scorsa settimana, Trial ha esortato il Comitato per i diritti umani dell’ONU, con sede a Ginevra, a ricordare al Sudan i propri obblighi nell’ambito del rispetto dei trattati internazionali.

“Vogliamo essere sicuri che venga fatta giustizia a livello internazionale e che in futuro non saranno commessi altri crimini di questo genere”, ha detto Philip Grant.

Trial ha inoltre fatto sapere che entro breve si attiverà in favore delle vittime del Darfur che risiedono in Svizzera affinché possano rivolgersi alla giustizia internazionale e ottenere una compensazione.

Discussioni in Libia

L’iniziativa ginevrina volta a ricordare i massacri nella regione sudanese completa i due giorni di discussioni che hanno avuto luogo in Libia riguardo le possibilità di giungere a una conclusione del conflitto.

L’inviato speciale dell’ONU per i conflitto nel Darfur, Jan Eliasson, è stato raggiunto a Tripoli da rappresentanti degli Stati Uniti, Unione europea, Unione africana e Cina.

I mediatori sono stati criticati per non essere riusciti a fare progredire il dialogo fra la dozzina di gruppi ribelli esistenti. L’accordo di pace siglato lo scorso anno a Karthoum si è rivelato decisamente infruttuoso ed è stato ratificato da un solo gruppo armato.

Sabato, cinque gruppi ribelli hanno acconsentito di unirsi allo scopo di giungere una soluzione al conflitto che da cinque anni insanguina la regione ed hanno esortato gli altri gruppi ad unirsi a loro.

Lunedì, al termine dei colloqui di Tripoli, Eliasson ha detto di poter finalmente intravedere “una luce di speranza in fondo al tunnel”.

swissinfo, Adam Beaumont
traduzione e adattamento, Anna Passera

Domenica, il Sudan ha emesso alcune riserve sul progetto di risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, diffuso mercoledì, che autorizza l’utilizzo in Darfur di una forza di pace di 26’000 uomini dell’Unione africana (UA).

Dopo mesi di discussioni, di minacce e di negoziati, Khartoum ha infine accettato di sostenere i 7000 soldati dell’UA già stanziati sul posto ma che finora non sono riusciti a porre fine alle violenze.

Il progetto prevede di autorizzare la forza di pace ad «utilizzare tutti i mezzi necessari», fra cui anche la forza, per proteggere i milioni di civili minacciati.

Secondo gli esperti internazionali il conflitto nella regione occidentale del Sudan ha provocato 200’000 morti e oltre 2,5 milioni di profughi dal 2003, quando dei ribelli africani hanno impugnato le armi contro il governo sudanese (di maggioranza araba).

Il governo è accusato di avere incaricato un gruppo di nomadi arabi di reprimere la rivolta. Ma Khartoum smentisce queste accuse.

L’accordo di pace firmato un anno fa dal governo del presidente Omar al Bashir e da un gruppo di ribelli del Darfur non ha avuto effetti, visto che oltre una decina di fazioni ribelli l’hanno respinto e continuano tuttora a combattere.

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