La Svizzera cerca il dialogo sui diritti umani con l’Iran
Una delegazione del Dipartimento degli affari esteri è partita per l’Iran. Il traguardo è aprire un dialogo sui diritti umani.
L’incontro avviene in un momento delicato: attualmente il paese musulmano del Golfo è nell’occhio della critica per il suo programma atomico, la lotta al terrorismo e la persecuzione degli oppositori.
Le iniziative di questo tipo non sono nuove. Già dodici anni fa una delegazione svizzera era partita per la Cina per parlare di diritti umani. La repressione politica operata dal regime cinese era già allora fortemente criticata da molte organizzazioni internazionali. Ma i progressi nel monolitico regime comunista si sono rivelati difficili.
Oggi però la situazione si presenta in maniera diversa. La Svizzera ha dei rapporti particolari con l’Iran, soprattutto dalla crisi degli ostaggi del 1979. Da lì in poi la Confederazione rappresenta gli interessi degli Stati Uniti a Theran. È dunque uno dei pochi paesi occidentali che ha mantenuto delle relazioni ufficiali con il paese della Rivoluzione islamica.
Simon Amman, un membro della delegazione elvetica, afferma che proprio queste relazioni senza pregiudizi fra i due paesi hanno portato a questa missione.
«Attualmente la situazione dei diritti umani in Iran non è buona, ma al contempo il paese mantiene con la Svizzera delle relazioni diplomatiche normali», ha affermato a swissinfo.
Condizioni di prigionia
Il traguardo è quello di fare il punto sulla situazione e aprire un dibattito nel paese. La delegazione, diretta da Peter Maurer, parlerà con dei responsabili dell’esecuzione delle pene. I temi: la lapidazione e gli standard di detenzione nelle carceri. Si sonderà la possibilità di sostenere corsi di formazione per il personale carcerario.
I delegati svizzeri non si fanno comunque delle illusioni; la Svizzera è un paese piccolo nella scena politica internazionale e i risultati dell’impegno saranno visibili solo a lungo termine.
«Ma se la Svizzera non ha un peso preponderante, il suo impegno si cumula a quello di altri paesi che auspicano un dialogo aperto sui diritti umani. Fra questi ci sono l’Unione europea, il Giappone e l’Australia», continua Amman.
«Lavoriamo, per così dire, con gli ideali condivisi da altri paesi, questo aumenta il peso del nostro impegno».
Cina: un successo?
I risultati a lungo termine si possono però misurare con l’impegno sviluppato in Cina 12 anni fa. Tutte le organizzazioni internazionali riconoscono che la situazione dei diritti umani nel paese più popoloso del pianeta è precaria.
E numerosi attivisti, che da anni si impegnano per migliorare la situazione, affermano che poco è stato raggiunto. Il progetto elvetico non è ancora concluso, ma certo ci si può chiedere cosa abbia prodotto in questi anni.
La coordinatrice al ministero degli esteri di Berna, Pascale Baeriswyl, afferma che ci sono stati dei successi. Soprattutto nella detenzione dei dissidenti tibetani. Inoltre sottolinea che la Svizzera è stata il primo paese occidentale ad aprire un simile discorso con il paese comunista. Ma chiaramente, «la Svizzera non ha mai voluto imporre dei cambiamenti».
«Nel campo dei diritti umani non si cerca di cambiare immediatamente la situazione, si cerca piuttosto il dialogo per raggiungere una riflessione interna al paese in transizione», afferma ancora la Baeriswyl.
«Cerchiamo di aiutare la Cina a raggiungere un livello internazionale per quel che riguarda il rispetto dei diritti umani. Dunque ratificare le convenzioni delle Nazioni unite e concretizzare gli ideali nella realtà del paese», aggiunge la responsabile del dossier Cina.
Una situazione differente
Le organizzazioni non governative puntano da tempo perché la diplomazia ufficiale si muova verso l’Iran. E per Alan Bovard di Amnesty International il dialogo potrebbe avere un successo molto più importante, rispetto agli sforzi fatti in Cina.
«La posizione degli iraniani verso la Svizzera è completamente diversa da quella cinese. C’è un maggiore rispetto e dunque maggiore apertura», afferma Bovard.
Ma al contempo alza il dito monitore: un dialogo sui diritti umani non è sufficiente. Non è il caso di compiacersi prima di aver raggiunto dei traguardi concreti.
swissinfo, Isobel Johnson
(traduzione: Daniele Papacella)
L’Iran è accusato di sostenere il terrorismo e rimane sotto l’osservazione delle Nazioni unite
La delegazione svizzera soggiorna in Iran il 13 e 14 ottobre 2003
Dall’elezione dell’attuale presidente iraniano Mohammed Khatami, nel 1997, le relazioni con l’occidente sono progressivamente migliorate.
Ma rimangono delle tensioni per i programmi atomici che il paese sostiene attualmente. A livello dei diritti umani sorgono numerosi conflitti, soprattutto nel rispetto degli oppositori al regime teocratico e nell’esecuzione delle pene.
La Svizzera non è il solo paese a sostenere un dialogo sui diritti umani. Anche L’Unione europea, il Giappone e l’Australia si impegnano su questo fronte.
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