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Le ferite ancora aperte di Daniele Mastrogiacomo

Keystone

Il rapimento di Daniele Mastrogiacomo nel marzo 2007 in Afghanistan aveva sollevato grande apprensione e un vasto movimento di solidarietà in Italia. Due anni dopo, il giornalista italo-svizzero racconta la sua drammatica esperienza in un libro pubblicato in questi giorni.

“Mi ci sono voluti due anni. Una bozza iniziale, buttata giù di getto, per evitare di perdere più tardi i fili di qualche ricordo. Ma poi un continuo scrivere e riscrivere. No, non è stato per niente facile pubblicare il racconto della peggiore esperienza della mia vita”. Daniele Mastrogiacomo, inviato di “La Repubblica”, ci parla de “I giorni della paura”, in cui ripercorre la sua storia di ostaggio in Afghanistan, prigioniero dei Talebani.

È la sua prima intervista sulla fatica di scrivere di una vicenda così drammatica. “Mi fa piacere rilasciarla a un media elvetico, visto che ho la doppia cittadinanza, italiana e svizzera”. Zurighese da parte della famiglia materna – banchieri che poi si trasferirono in Romandia – Mastrogiacomo ha parenti anche in Ticino. “Ogni anno ci si ritrova in un grande incontro famigliare in Svizzera”.

Una sorta di terapia

La fatica di ricordare, ma anche la necessità di farlo, dice ancora del suo libro-reportage:”Come spesso accade in questi casi, scrivere diventa una sorta di terapia, serve a lasciarsi definitivamente alle spalle una vicenda dolorosa. Serve in qualche modo a chiudere il cerchio”.

Un’esperienza, dice nelle ultime pagine, “che mi ha catapultato nel profondo del mio animo. Che mi ha rafforzato, nei legami affettivi, nelle piccole cose quotidiane, nei valori umani. Lasciarla preda dei ricordi e dei fantasmi, che mi hanno inseguito per due anni, sarebbe stato egoista”.

Stile secco, essenziale, semplicemente parlano i fatti. Daniele Mastrogiacomo è reporter fino in fondo. Anche nel racconto del suo dramma della primavera 2007 non vuole e non ha bisogno di calcare la mano. Gli basta semplicemente riferire per farci capire il dolore e l’umiliazione di una prigionia fatta di catene, di scudisciate, di folli spostamenti improvvisamente decisi dai suoi carcerieri, delle pressioni psicologiche per convertirlo all’Islam, dei suoi tentativi di dialogare con chi ha in mano la sua vita.

Violenza inconcepibile

Nella tragedia, il giornalista italo-svizzero è anche uno dei pochi cronisti-testimoni, i Talebani li può descrivere per esperienza diretta, nel loro “sinistro candore”, come sottolinea Bernardo Valli nella bella introduzione al libro.

Chi sono? “Giovani, determinati, isolati dal mondo, niente tv, nessun rapporto con l’altro sesso, immersi totalmente nel loro credo religioso”, ricorda Mastrogiacomo. “Inizialmente corretti, ma poi capaci di una violenza inconcepibile”.

Una violenza che si abbattè sui due accompagnatori dell’inviato del quotidiano La Repubblica. Molti ricorderanno le agghiaccianti immagini diffuse dalla tv araba Al Jazeera: Mastrogiacomo e il suo interprete inginocchiati, legati e bendati da una parte, e a pochi metri di distanza la decapitazione di Sayed, l’autista.

Più tardi, venne assassinato anche Ajmal, il giovane tagiko e interprete che Mastrogiacomo aveva conosciuto 5 anni prima, ucciso dai Talebani dopo una falsa liberazione e mentre il giornalista – grazie soprattutto alla mediazione di Emergency e di Gino Strada – era già in viaggio verso la salvezza.

Ferite rimaste aperte

“Queste sono ferite rimaste aperte. Il senso di colpa è inevitabile. Devi cercare di dare un senso a tutto quanto è avvenuto. Credo che aver scritto questo libro era qualcosa che dovevo anche a loro: loro avrebbero sicuramente voluto che raccontassi quello che è successo”.

E l’Afghanistan oggi? “Non c’è da farsi illusioni, sarà una guerra lunga. Non si può lasciare un paese a chi vorrebbe riportarlo indietro di secoli, e penso soprattutto alla condizione della donna in Afghanistan. Ma i Talebani rappresentano in parte anche una componente etnica importante della maggioranza Pashtun, insediata tra Pakistan e Afghanistan.

Alla fine bisognerà che l’Occidente faccia cadere un tabù, e cerchi di aprire un dialogo con la parte più moderata dei Talebani. Che c’è, e che punta a una legittimazione”.

Aldo Sofia, swissinfo.ch, Roma

Daniele Mastrogiacomo è nato a Karachi (Pakistan) nel 1954. Detiene il doppio passaporto italiano e svizzero (ereditato dalla madre).

Giornalista professionista da una trentina d’anni, si è occupato tra l’altro di importanti vicende giudiziarie, quali lo scandalo di “Mani pulite” o il processo a Erich Priebke, ex capitano delle SS naziste.

Dal 1992 è stato impiegato dal quotidiano La Repubblica quale inviato speciale in diverse regioni di crisi e di guerra, tra cui la Somalia, l’Afghanistan, il Libano, l’Iraq e i Territori palestinesi.

In un attentato avvenuto giovedì sulla strada che conduce all’aeroporto di Kabul hanno perso la vita sei militari italiani e 11 civili. I feriti sono almeno una sessantina, tra cui quattro soldati.

L’attacco, compiuto verosimilmente con un’autobomba, è stato rivendicato dai talebani.

I paracadutisti italiani stavano transitando a bordo di veicoli blindati.

Uno dei militari rimasti uccisi era nato in Svizzera, a Glarona.

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