Non solo caffettieri!
Trieste è stata un crogiolo di etnie, culture e lingue. Alla fine del Settecento, la città giuliana si è sviluppata proprio grazie ai contributi esterni. E anche gli svizzeri hanno svolto un ruolo fondamentale.
All’apice del suo sviluppo, verso metà-fine Ottocento, Trieste era composta tra gli altri di boemi, ungheresi, polacchi, serbi, croati e greci, ma anche da una folta comunità elvetica proveniente dalle tre regioni linguistiche.
Annemarie Graf Reina, di origini zurighesi e che vive nella città giuliana da oltre quarant’anni, si è messa sulle tracce degli svizzeri e dopo molti anni di ricerche e nuove scoperte è prossima alla pubblicazione di un volume che ricostruisce la storia delle importanti famiglie svizzere presenti a Trieste tra il Settecento e il Novecento. L’abbiamo incontrata a Trieste per presentarci i frutti delle sue ricerche.
swissinfo.ch: Iniziamo dal periodo più recente, ci potrebbe descrivere come si presenta la comunità svizzera a Trieste oggi?
A. G. R.: La comunità attuale è composta per la maggior parte da svizzeri che vivono qui da generazioni. Per esempio le famiglie Napp e Genel. Si tratta dei discendenti dei primi svizzeri [arrivati a fine Settecento]. I figli e i nipoti hanno tuttora la nazionalità.
La famiglia Genel, per esempio, tiene in modo particolare alla nazionalità elvetica. Facendo delle ricerche ho trovato dei documenti relativi a una signora di questa famiglia che sposandosi aveva perso la cittadinanza. Siccome ha divorziato, il primo passo che ha fatto è stato quello di riacquistare la cittadinanza elvetica.
swissinfo: Tornando indietro nel tempo: chi furono i primi a venire a Trieste dalla Svizzera?
A. G. R.: I grigionesi, che hanno abbandonato la valle dell’Inn a fine Settecento. La maggior parte di loro non hanno lasciato molte tracce.
Tra i primi svizzeri c’erano anche delle famiglie diventate importanti, per esempio i Griot che avevano un caffè frequentato dalla nobiltà e dai ricchi commercianti triestini. Ai Griot il caffè serviva anche per tastare il polso della città portuaria. Infatti anche loro, dopo, divennero dei ricchi commercianti.
swissinfo: Si può fare una distinzione degli immigrati svizzeri in base alle regioni linguistiche?
A. G. R.: Sì, a livello generale si può dire che sia gli svizzeri tedeschi che i romandi si dedicavano al commercio. Gli svizzeri tedeschi provenivano per lo più da famiglie di industriali tessili.
Poi c’erano gli architetti ticinesi. Si trattava di persone modeste, spesso capomastri, muratori o costruttori, che da giovani hanno fatto esperienza in tutta Europa. Trieste, da 5000-7000 abitanti in 50-100 anni è cresciuta enormemente e c’era quindi una grande necessità di mano d’opera.
I costruttori e i muratori ticinesi erano bravi e seri. Questo emerge dai documenti dell’epoca: sono puntuali e costruiscono in modo solido. La maggior parte di essi si sono installati a Trieste e i loro figli hanno studiato architettura soprattutto a Vienna.
swissinfo: Un possibile titolo per la sua opera potrebbe essere «Non solo caffettieri». Dopo i caffettieri grigionesi, chi venne dalla Confederazione?
A. G. R.: Questo titolo mi è venuto in mente perché parlando con amici del libro che sto scrivendo tutti mi dicevano subito: ah sì, gli svizzeri, i caffettieri! E invece non è così, non erano solamente caffettieri! C’erano commercianti, assicuratori, architetti, ingeneri e benefattori.
A inizio-metà Ottocento, Trieste diventa sempre più interessante per il commercio. È in questo periodo che arrivano i commercianti ginevrini. Si tratta di famiglie ricche con attività avviate che inviano un figlio per gestire i traffici di merce a Trieste. Oppure commercianti con empori in tutta Europa che decidono di aprirne uno anche qui.
Per esempio, anche per via dell’apertura del canale di Suez [1869], uno dei motivi per cui sono stati istituiti uffici a Trieste era il fatto di poter gestire il cotone proveniente dall’Egitto e spedirlo da qui direttamente in Svizzera.
Tra l’altro, in tempi recenti il console di Milano si è recato a Trieste portando avanti gli interessi della Svizzera nel porto di Trieste. Infatti, soprattutto con l’apertura ad Est, il porto triestino riacquista un certo valore.
swissinfo.ch: Quali altre caratteristiche aveva la comunità svizzera triestina?
A. G. R.: Era una grande comunità. Nell’Ottocento si pensa fossero circa 700 persone. Erano molto uniti e molto legati alla Svizzera. All’inizio i grigionesi si ritrovavano soprattutto nella chiesa riformata, così come gli ugonotti svizzeri francesi.
Inoltre, gli svizzeri si associano spesso tra di loro per motivi professionali. In primo luogo per la lingua e poi perché si fidavano di più dei connazionali.
C’è da segnalare anche la scuola svizzera che era però aperta a tutti. Vi si poteva studiare in diverse lingue, per l’epoca una cosa nuova. In più c’era una palestra anche per le ragazze, una grande novità!
swissinfo: Ci sono mai stati problemi tra la comunità svizzera e Trieste?
A. G. R.: Talvolta. Per esempio, la comunità elvetica si era autotassata per potersi comperare l’antica basilichetta romanica di San Silvestro durante un’asta nel 1784. Il capo della comunità si era anche recato in Svizzera per raccogliere fondi.
I cattolici locali si sono opposti, accanto a San Silvestro c’è una grande chiesa cattolica. Per questo gli svizzeri sono stati obbligati a spostare l’entrata della loro basilica sul lato dove dava meno nell’occhio.
Anche la scuola svizzera è stata criticata: le famiglie italiane erano contrarie al fatto che i loro figli la frequentassero. Anche se l’insegnamento confessionale era facoltativo e la scuola era frequentata da greci e ebrei.
La scuola è stata chiusa durante la Prima guerra mondiale. Dopo l’unione di Trieste all’Italia [1918] gli svizzeri hanno chiesto di riaprirla ma non è stato loro concesso.
Tuttavia si tratta di episodi minori, complessivamente gli svizzeri erano apprezzati e hanno dato un contributo importante allo sviluppo di Trieste.
A quanto sembra, l’arrivo a Trieste dei primi cittadini svizzeri risale all’inizio-metà Settecento. Si trattava per lo più di grigionesiengadinesi e della Bragaglia che erano pasticcieri, caffettieri, liquoristi e piccoli bottegai.
Una delle tracce elvetiche ancora oggi esistenti è il Caffè Stella Polare, fondato nel 1765 dal grigionese Gion Darms di Flond.(fonte: Dizionario storico retico)
Nel 1815, 21 delle 37 botteghe da caffè triestine registrate appartenevano a famiglie grigionesi, per esempio ai Danz, Gilli, Pitschen, Casparis.
Gli svizzeri tedeschi – come gli Escher, i Bühler, i Glanzmann e i Koch – e i ginevrini – Collioud, Bois de Chesne, Rittmeyer – arrivano verso metàOttocento e si occupano principalmente di commercio (cotone, caffè, altre merci), assicurazioni, affari in borsa.
Anche i ticinesi – Righetti, Degasperi, Bernardi, Ferrari, Scalmanini, Nobile – in un primo tempo muratori, scalpellini e capomastri, arrivano in quel periodo.
Ancora oggi ci sono due fondazioni di beneficenza attive che furono fondate da svizzeri, l’istituto per cechi Rittmeyer e la fondazione Caccia-Burlo.
«In entrambi i casi i fondatori svizzeri, Antonio Caccia e CeciliaRittmeyer, non avevano figli e si sono trovati molto bene a Trieste anche se avevano mantenuto i contatti con la Svizzera.
E siccome non avevano figli a cui lasciare un’eredità hanno deciso di devolvere importanti somme in beneficenza seguendo, se si vuole, la tendenza filantropica di inizio Novecento», spiega Graf Reina.
I Napp sono quella che si potrebbe definire una famiglia svizzera d’adozione. Oggi detengono una delle più importanti agenzie marittime della città e sono specializzati nel rifornimento di combustibile alle navi via mare.
«Sembra che il capostipite della famiglia, proveniente dalla Prussia, essendo pacifista volle acquistare la cittadinanza svizzera. In seguito la nostra famiglia, che era composta da commercianti, si spostò a Trieste», ci spiega Piero Napp.
«Poi, dopo la guerra mio padre aveva lasciato la marina e cominciò a lavorare nel campo marittimo civile facendo l’agente marittimo». Da qui si è sviluppata l’attività della famiglia Napp di cui si occupa ora la seconda e la terza generazione.
«Siamo degli svizzeri molto atipici, ma siamo anche molto fieri di esserlo. Per noi è sempre stato motivo d’orgoglio e sentiamo questo legame. Però, è un legame che è nato più di 150 anni fa da un momento strano della nostra famiglia. Qualcuno ha preso una decisione che ha significato un cambiamento di vita per tutti», aggiunge il figlio Franco Napp.
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