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Pecche e virtù del dibattito sull’Islam

Il campanile della chiesa di Balgrist a Zurigo è affiancato dal minareto della moschea Mahmud. Keystone

Dopo essersi rese conto dell’importanza delle comunità musulmane in Svizzera e delle paure che queste suscitano, ora le autorità svizzere incoraggiano il dialogo. Bilancio a sei mesi dal voto sui minareti.

Dallo shock del 29 novembre 2009 non ci si è ancora completamente ripresi. L’approvazione da parte della maggioranza dell’elettorato elvetico della legge che proibisce l’edificazione di nuovi minareti ha quanto meno scosso le coscienze e svelato le inquietudini degli svizzeri nei confronti dell’Islam.

«Dell’Islam, non ci si è mai veramente occupati. Si comincia a parlarne ora. Anche se non sono d’accordo con l’esito della votazione, che attenta alla libertà religiosa, il voto ha dimostrato che le discussioni sull’Islam generano un certo malessere nel nostro Paese, dovuto anche alle immagini sbagliate che la gente si è fatta di questa religione e dei suoi adepti. Ha permesso inoltre di avviare un dibattito aperto sia sui media che nei vari incontri», rileva Saïda Keller-Messahli, presidente del Forum per un Islam progressista.
È un punto di vista condiviso anche dal politologo losannese Ahmed Benani. «La maggior parte dei cittadini si è reso conto dell’importanza assunta dall’Islam in Svizzera. Ora ci si chiede come convivere con i fedeli di quella che è diventata la seconda religione in Svizzera».

Stéphane Lathion, presidente del Gruppo di ricerca sull’islam in Svizzera (GRIS), è invece più scettico. «Non credo che ci sia veramente stata questa presa di coscienza a livello nazionale. Ci si muove sempre ancora in un ambito emozionale. Non c’è una vera riflessione, né tra le autorità né tra i partiti politici, sulla realtà in cui vivono i musulmani in Svizzera. Servirebbe invece una discussione di fondo».

Dibattito in corso

Nel frattempo, è interessante seguire gli effetti che suscita la procedura di consultazione iniziata nel 2007 dall’ex consigliere federale Christoph Blocher e portata avanti dall’attuale ministra di giustizia e polizia Eveline Widmer-Schlumpf.

«Il dialogo con la popolazione musulmana è positivo, anche perché finora non s’era ancora fatto nulla del genere. Anche se sono in special modo ragioni di sicurezza a motivarlo, questo confronto invita i musulmani in Svizzera a una riflessione sull’immagine da attribuire all’Islam», afferma Ahmed Benani.

«Siamo coscienti che i partecipanti non rappresentano la maggioranza dei musulmani in Svizzera. Questi ultimi fanno parte soprattutto delle organizzazioni islamiche conservatrici», ricorda Saïda Keller-Messahli, coinvolta fin dall’inizio a tale processo denominato Forum per l’Islam.

La presidente del Forum per un Islam progressista mette l’accento anche su un altro aspetto. «Le associazioni islamiche rappresentano circa il 15% della popolazione musulmana in Svizzera. La maggioranza, silenziosa e liberale, non è quindi organizzata. Le autorità non sanno dunque a chi rivolgersi se non ai rappresentanti delle associazioni islamiche».

Voci critiche

Anche la Germania ha conosciuto lo stesso problema nel quadro di una conferenza sull’Islam voluta dal ministro degli interni. «Thomas de Maizière ha escluso dall’incontro due grandi organizzazioni sostenitrici di un discorso molto ambiguo (il Consiglio centrale dei musulmani di Germania e “Milli” Görüs”, un’associazione turca sotto inchiesta, ndr.) e ha invitato grandi intellettuali particolarmente critici nei confronti della comunità musulmana», rammenta Saïda Keller-Messahli, augurandosi che l’esempio tedesco venga seguito anche in Svizzera.

«In Svizzera, la nostra associazione fa parte di queste voci critiche – precisa Saïda Keller-Messahli. Posizioni come la nostra sono condivise dalla maggioranza dei musulmani della Svizzera. Il problema è che questa maggioranza silenziosa non ha voglia di esporsi».

Una constatazione condivisa soltanto in parte da Ahmed Benani. «A lungo considerata silenziosa, questa maggioranza lo è sempre meno, anche se non è affatto intenzionata ad organizzarsi in un’associazione».

Più che constatare la pratica di un Islam moderato, si osservano degli atteggiamenti individuali che considerano la religione non prioritaria, oppure la rifiutano. «Nemmeno la creazione a Ginevra di un’associazione di musulmani laici ha convinto. Infatti, sono ancora in molti coloro che non vogliono organizzarsi sulla base di un denominatore islamico. Ciò non toglie però che un numero sempre maggiore di questi “non religiosi” prenda parte al dibattito in maniera individuale», sottolinea il presidente del GRIS.

Saïda Keller-Messahli assicura che ogni opinione espressa è un’opportunità. «Per le autorità non è sempre facile cogliere l’eterogeneità dei musulmani. Si tratta però di una ricchezza. L’Islam non è infatti un monolito. Bisogna accettare la polifonia dell’Islam, una diversità che esiste dalla sua nascita».

È una visione che non è per forza condivisa dalle associazioni islamiche della Svizzera. «Le associazioni conservatrici affermano che tutta una serie di pratiche obbediscono al rito musulmano, anche se sovente non hanno nulla a che vedere con la religione. È il caso – per esempio – del velo integrale, la cui tradizione risale all’antichità», sostiene Saïda Keller-Messahli.

Da vittime ad attori

La presidente del Forum per un Islam progressista critica la condotta di alcuni musulmani dopo il 29 novembre. «La ferita provocata dal voto contro l’edificazione dei minareti non si è ancora rimarginata. Critico però coloro che continuano a mettere il dito nella piaga e assumono un atteggiamento vittimistico attribuendo le colpe esclusivamente agli altri. Da vittime, bisogna diventare attori. Va ricordato che molti musulmani hanno votato in favore del divieto di costruzione di nuovi minareti, poiché non sono d’accordo su come vengono gestite le moschee in Svizzera o sulla discriminazione delle donne».

Dal canto suo, Stéphane Lathion denuncia il contesto che favorisce questo vittimismo. «I musulmani della Svizzera si sentono sempre segnati a dito e sembra quasi che si debbano giustificare. È un clima alimentato da numerosi media, come si è potuto notare con la polemica sul predicatore Blancho. È irresponsabile».

«Sentendosi attaccate, le comunità restano sulla difensiva oppure si affidano alla provocazione. Da entrambi le parti, è la paura e il sospetto a regnare. Ciò provoca soltanto rifiuto e chiusura su se stessi».

Quale dialogo instaurare dunque con questi presupposti, si interroga Lathion, prima di suggerire una nuova base di discussione. «A livello locale, il dibattito funziona meglio perché la gente si conosce – afferma il politologo. Invece di discutere dell’Islam, parliamo dei cittadini musulmani che si preoccupano della scuola, delle persone anziane, del sistema sanitario… Smettiamola di mettere la religione dove non c’entra».

Frédéric Burnand à Genève, swissinfo.ch
(traduzione dal francese, Luca Beti)

Nella Confederazione vivono circa 350’000 musulmani (stime del 2008). Il loro numero è raddoppiato tra il 1990 e il 2000 e circa il 10% dei musulmani possiede la cittadinanza svizzera.

Nel 2000 (ultimo censimento) rappresentavano il 4,3% della popolazione svizzera. Si tratta della principale comunità religiosa del paese dopo i cattolici e i protestanti.

Il 56% dei musulmani che vivono nella Confederazione proviene dai Balcani (soprattutto albanesi e bosniaci), il 20% dalla Turchia, il 4% dal Maghreb, il 3% dal Libano e il 15% dall’Africa nera.

In Svizzera esistono quattro moschee dotate di un minareto (Zurigo, Ginevra, Winterthur e Wangen bei Olten) e circa 180 luoghi di preghiera islamici, situati prevalentemente all’interno di centri culturali.

«In questo periodo di crisi, alcuni partiti focalizzano l’attenzione sui musulmani e fomentano le paure nei confronti dell’Islam, ciò che potrebbe provocare delle derive pericolose. Tutti, sia musulmani che no, devono essere coscienti di questo pericolo. Non bisogna soprattutto credere che il malessere manifestatosi dopo il voto del 29 novembre scompaia da solo.

Le Chiese hanno talvolta un’attitudine ipocrita. In perdita di consensi, sia quelle protestanti che quelle cattoliche sono peroccupate di fronte alla crescita dell’Islam. Alcuni ecclesiastici ravvisano in questo clima di sospetto nei confronti dell’Islam anche degli aspetti positivi».

Ahmed Benani, politologo losannese

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