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Pervez Musharraf ha pagato la guerra al terrorismo nelle urne

Dalle elezioni di domenica la poltrona di Musharraf si è fatta ancora più traballante Keystone

La "guerra al terrorismo" è una delle principali cause della sconfitta del presidente pachistano, una guerra che la maggior parte degli elettori considera un conflitto importato.

I due principali partiti dell’opposizione avrebbero ottenuto 154 dei 268 seggi del parlamento pachistano. Malgrado la disfatta, Musharraf ha rifiutato di dimettersi

Il Pakistan ha vissuto lunedì una rivoluzione democratica. Il presidente Pervez Musharraf, che all’alba controllava tutti i poteri del paese, alla sera non era altro che un ex generale seduto su un trono vacillante: il prossimo parlamento sarà contro di lui.

I due principali movimenti dell’opposizione, quello dell’ex primo ministro Benazir Bhutto, assassinata il 27 dicembre, e quello del suo rivale durante gli anni ’90, Nawaz Sharif, sono infatti giunti ampiamente in testa nelle elezioni legislative e provinciali. Nessuno dei due partiti dispone da solo di una maggioranza per governare.

L’ex primo ministro Nawaz Sharif, rovesciato nove anni fa da un colpo di stato di Pervez Musharraf, ha già lanciato un appello all’opposizione affinché si unisca per “sbarazzare il Pakistan” della dittatura.

Da parte sua, Asif Ali Zardari, marito di Benazir Bhutto e nuovo leader del Partito del popolo pachistano, ha promesso “un governo di consenso nazionale con tutte le forze democratiche”.

Elezioni corrette

Ma queste elezioni, rispettose dei canoni democratici, non basteranno certo per mettere pace in quello che viene chiamato il Paese dei Puri: ci vorrà qualcosa di più. Ne è convinto Marc Bouvier, lo svizzero che dirige l’importante delegazione del Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) stazionata nella provincia del nord-est del paese, la più martoriata dalla guerra.

L’insicurezza, nelle zone sotto controllo tribale alla frontiera con l’Afghanistan, è tale che lo stesso CICR esita ad inviare degli aiuti nelle vallate in cui si trovano degli sfollati bisognosi. All’inizio di febbraio, due dei suoi impiegati locali sono stati rapiti mentre accompagnavano un convoglio diretto a Khyber, località che si trova sulla strada per Kabul.

Anche Peshawar, capitale apparentemente calma della provincia, è una città ad alto rischio. Lunedì sono ben poche le donne che hanno osato recarsi a votare. I talebani avevano lanciato delle minacce tutt’altro che velate nei confronti delle elettrici. L’ordine per le donne era di non avvicinarsi alle urne.

I risultati delle elezioni nella NWFP (la tormentata provincia delle tribù pashtun) sembrano tuttavia indicare che qualcosa si è mosso. Nel 2002, un’alleanza di partiti islamici aveva ottenuto un successo spettacolare. Sei anni più tardi, il Jamiat Uelma-e-Islam (JUI), il principale di questi movimenti, ha dovuto fare i conti con un risultato alquanto deludente. Il suo leader Fazal ur-Rehman, figura di spicco a livello nazionale, non è riuscito a farsi rieleggere.

Un no alla guerra e agli USA

Ma perché questa sconfitta? Il leader del JUI – un partito che durante la prima guerra d’Afghanistan è stato un vivaio per i combattenti talebani – negli ultimi anni si è avvicinato a Pervez Musharraf e ha cominciato a dialogare con i rappresentanti degli Stati Uniti. Il JUI accompagna nella sconfitta il PML-Q, partito fedele al presidente Musharraf, poiché i pachistani rifiutano in massa la guerra che dalle frontiere afgane scende fino nelle città; la vivono come un conflitto importato.

Dall’inizio dell’anno, gli statunitensi hanno moltiplicato le pressioni su Islamabad. Vogliono che l’esercito pakistano s’impegni maggiormente nella caccia ad Al Qaida e ai talebani nelle zone di frontiere. Quasi per dare l’esempio, gli Stati Uniti hanno ucciso uno dei luogotenenti di Osama Bin Laden con un missile lanciato su suolo pachistano. Lo Stato maggiore del Pakistan non aveva dato il suo benestare anzi: non era nemmeno stato informato.

L’insistenza statunitense è stata controproducente. In gennaio, un centinaio di alti ufficiali a riposo ha firmato una petizione che domandava a Pervez Musharraf di dare le dimissioni. Argomento principale: il loro ex capo ha avuto il torto di implicare il Pakistan, sul suo territorio, in un conflitto che non gli appartiene.

Un boomerang per Musharraf

L’opinione espressa dai generali è condivisa dal popolo che si oppone strenuamente alla guerra, anche con argomenti irrazionali. Non è raro sentire dei pachistani, soprattutto se pashtun, dire che l’effettiva «talebanizzazione» del nord-est non è altro che una manipolazione americana per spezzare il paese.

Per Pervez Musharraf questo è un boomerang terribile. Quando si è impossessato del potere nel 1999, il generale ha favorito, anche in segreto, operazioni militari in Kashmir e in Afganistan, per dare al Pakistan una certa «profondità strategica». Dopo l’11 settembre 2001, gli Stati uniti gli hanno chiesto aiuto per distruggere il regime dei talebani e Al Qaida. Così Musharraf si è ritrovato a combattere quelli che in precedenza aveva armato.

La guerra ha varcato in fretta la frontiera. E lo scorso luglio, quando un gruppo di estremisti si è asserragliato nella Moschea Rossa e le autorità hanno risposto con la forza lasciando sul terreno una cinquantina di morti, il conflitto ha raggiunto il cuore della capitale. Contemporaneamente, il generale-presidente accentuava il carattere autoritario del suo potere. In queste condizioni, l’opposizione nei confronti di Musharraf – che pretendeva d’ispirarsi a una «moderazione illuminata» – si è radicalizzata.

Lunedì, Pervez Musharraf ha pagato il conto. IL fatto stupefacente è che la sanzione sia arrivata attraverso elezioni veramente libere e corrette, così come lo stesso presidente pachistano – tra l’incredulità generale – aveva promesso.

swissinfo, Alain Campiotti, di ritorno da Peshawar
(traduzione di Doris Lucini)

Per la Svizzera, il Pakistan è un paese interessante, da prendere con le pinze. La bilancia commerciale è ampiamente attiva, con oltre 300 milioni di franchi di esportazioni e dieci volte meno di importazioni. Recentemente il governo svizzero ha sospeso un contratto d’armamento (per sistemi di difesa antiaerea), in considerazione del deterioramento del conflitto nella provincia del Nord-Ovest, alla frontiera con l’Afghanistan.

La Svizzera è anche stata confrontata con la corruzione in Pakistan: ha dovuto adottare provvedimenti nelle sue due rappresentanze diplomatiche (Islamabad e Karachi) dopo aver scoperto un grande traffico di visti.

D’altra parte la giustizia ginevrina si è dovuta occupare su tangenti che i coniugi Bhutto avrebbero incassato quando erano al potere in Pakistan.
Asif Ali Zardari, vedovo ed erede di Benazir Bhutto, era conosciuto in Pakistan con il soprannome di “Mr. 10%”. Ha trascorso undici anni in carcere, proclamandosi innocente.

La Svizzera ha riconosciuto l’indipendenza del Pakistan sin dalla sua proclamazione nel 1947. I due paesi hanno allacciato relazioni diplomatiche nel 1949.

Nel 1966, hanno firmato un accordo di cooperazione tecnica, completato nel 1975 con un accordo sull’aiuto in caso di catastrofe.

Dopo che il Pakistan è stato incluso nei paesi prioritari dell’aiuto elvetico, nel 1977 la Direzione della cooperazione e lo sviluppo ha aperto un ufficio di coordinamento a Islamabad.

Durante il conflitto del Bangladesh fra l’India e il Pakistan (1971), la Svizzera rappresentava gli interessi pachistani in India e quelli indiani in Pakistan.

Oggi il Pakistan è un partner importante della Svizzera in Asia. Una serie di accordi economici facilitano gli affari.

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