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Senzatetto nella ricca Svizzera, ne abbiamo parlato direttamente con loro

Primo piano uomo
Marco, 42 anni, spera in un nuovo inizio, in un lavoro e in un appartamento. 2022 Thomas Kern/Thomas Kern

Anche in un Paese prospero come la Svizzera sempre più persone non hanno più una fissa dimora. Molti centri di prima accoglienza lamentano il tutto esaurito. Cosa sta succedendo?

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Donna, primo piano
Eva Gammenthaler: “Tra la gente colpita ci sono sempre più persone che non ho mai incontrato prima.” 2022 Thomas Kern/Thomas Kern

In questo giovedì pomeriggio di fine gennaio, a Berna il termometro annuncia già la primavera. In una via di quartiere poco trafficata un uomo seduto su una panchina sorseggia una birra godendosi il sole davanti all’ufficio dell’associazione per il lavoro di strada della Chiesa (“Verein der kirchlichen Gassenarbeit“).

Da un altoparlante esce un’assordante musica rock. “Lui è Rabauke”, dice indicano il cane accucciato ai suoi piedi. Io invece sono “il Nano”, si presenta. “È così che mi chiamano qui fuori.”

Eva Gammenthaler, impiegata all’associazione per il lavoro di strada, lo conosce bene. “Viene regolarmente a trovarci”. Due volte alla settimana le persone che attraversano un periodo difficoltoso della loro vita possono passare un paio d’ore al caldo nei locali della Chiesa, bere qualcosa, mangiare, farsi dare dei vestiti o un sacco a pelo e magari qualche consiglio utile in caso di problemi.  

“A volte in un pomeriggio passano fino a 80 persone”, afferma Gammenthaler. Quando fa bello come oggi, invece, sono un po’ meno.

Il Nano, pizzetto e giacca di pelle nera sopra una felpa con cappuccio, è passato a ritirare cibo per cani per Raubauke. “Ieri ho compiuto 48 anni”, racconta. In passato ha lavorato come meccanico navale viaggiando in tutto il mondo. Dopo è finito più volte per strada.

Preferisce non parlare delle ragioni. “Troppo dolorose”, afferma. Ha passato gli ultimi anni in un parcheggio, ma ultimamente è stato cacciato.

Gli capita di essere ospitato da amici. Ma anche di dover dormire spesso all’addiaccio. “Non va per niente bene”, sentenzia. Però non gli piace neanche andare al centro di prima accoglienza. “Ogni volta ti fregano qualcosa. E i cani non sono ammessi.”

Il problema è reale, come conferma Gammenthaler. Il Nano non è l’unico senzatetto che divide la propria esistenza con un quadrupede. I centri d’emergenza come quello di Berna reclamano da tempo un numero maggiore di posti letto per persone allo sbando, in cui possano recarsi senza criteri di ammissione.

2’200 persone senzatetto

Nella città di Berna ci sono tre strutture di accoglienza per un totale di circa 87 posti letto. Dal 2021 la domanda è aumentata costantemente. Un quadro analogo si presenta anche a Zurigo, Basilea o Ginevra. “In passato, a coloro cui non potevamo più offrire una sistemazione pagavamo il biglietto del treno fino a un’altra città”, ricorda Gammenthaler.

Oggi non è quasi più possibile perché la situazione è precaria ovunque. Secondo uno studioCollegamento esterno del 2022 della Scuola universitaria professionale della Svizzera nord-occidentale (FHNW), nel Paese si stimano circa 2’200 persone senza fissa dimora. Si tratta della prima indagine su scala nazionale a fornire cifre in merito.

Anche Gammenthaler si è accorta che la sua associazione deve accogliere un numero di richieste in costante aumento. “Soprattutto dopo la pandemia.” Oltre a presenziare durante i pomeriggi aperti a tutti, i collaboratori del centro sono impegnati per strada nella distribuzione di generi di consumo, prodotti per l’igiene personale oppure buoni pasto o tagliandi per l’accoglienza notturna. “Tra le persone che ospitiamo vi sono sempre facce nuove”, commenta Gammenthaler.

“Il percorso per lasciarsi alle spalle questa condizione è tutto in salita.”

Eva Gammenthaler, Associazione per il lavoro di strada della Chiesa

Ma come è possibile che in un Paese benestante come la Svizzera ci siano persone senza un’abitazione? “Ci sono ragioni diverse che mettono le persone con le spalle al muro”, spiega l’operatrice sociale. Spesso tutto inizia con uno scherzo del destino; una malattia, una separazione, la perdita del lavoro o un decesso in famiglia. “Poi le cose precipitano in fretta”.

La storia di Maria (nome fittizio) è esemplare in tal senso. Ci racconta di aver lavorato tutta la vita come donna delle pulizie o ausiliaria nella ristorazione. Durante il Covid il suo contratto a tempo indeterminato è stato rescisso.

Ha poi continuato a lavorare come precaria, facendo però sempre più fatica a pagare le fatture, la cassa malati, l’abbonamento dei mezzi pubblici, e infine anche i nuovi occhiali.  

Improvvisamente i soldi non sono più bastati per pagare gli 800 franchi di affitto della camera. “Così me ne sono andata”, racconta Maria. Non voleva rischiare di essere pignorata. All’inizio è stata ospitata da un’amica, ma da tre mesi ormai passa la notte nel centro di accoglienza Sleeper.

Maria ha un aspetto curato, tiene una borsetta in una mano e uno shopper nell’altra. Non si direbbe che vive per strada. “Quasi non riesco a dirlo che sono una senzatetto”.

Non vuole lamentarsi, ormai bisogna adattarsi. La cosa che la infastidisce maggiormente è che nel centro di accoglienza si fuma in continuazione. E che deve ammazzare il tempo fino all’orario di apertura delle 22:00.

In fondo è grata che ci siano posti come questo e altri centri di assistenza per gente come lei, dove ci si può riscaldare e mangiare qualcosa a poco prezzo. Maria sta cercando un lavoro e con l’aiuto dell’ufficio disoccupazione percepisce 2200 franchi al mese. “Spero di poter trovare preso una nuova camera”, confessa speranzosa.

“Spesso per i diretti interessati il percorso per lasciarsi alle spalle questa condizione è tutto in salita”, commenta Eva Gammenthaler. Non solo a causa dei costi in aumento e del mercato dell’alloggio già di per sé molto conteso. Ci sono molti ostacoli, soprattutto di ordine burocratico. “Per ricevere assistenza bisogna fornire costantemente dei giustificativi”.

Il 61% sono “sans-papier”

In particolare, le persone affette da dipendenze o patologie psichiatriche hanno spesso difficoltà a soddisfare le richieste avanzate. Altri non hanno una dimora fissa regolamentata. Secondo la ricerca della FHNW il 61% degli interessati sarebbero cosiddetti “sans-papier” e come tali non avrebbero diritto all’assistenza sociale. 

Vi sono anche coloro che non si fidano delle istituzioni statali e quindi non chiedono neppure aiuto. Gammenthaler li chiama “vittime delle istituzioni”.

Uno di loro è Marco, 42 anni, berretto di lana blu. Si è presentato al centro dell’organizzazione assistenziale della chiesa con un vecchio carrello di giornali e ha chiesto un materassino per dormire. Da qualche anno ha ripreso a vivere “là fuori”, come dice lui.

“Perlomeno per strada mi lasciano in pace, questo è il lato positivo di essere un senzatetto.”

Marco, 42 anni

Parla di episodi di violenza vissuti in giovane età, di tossicodipendenza e di ripetuti ricoveri in reparti di psichiatria. Il suo racconto è frammentato, gli elementi tendono a sovrapporsi.

“Perlomeno per strada mi lasciano in pace, questo è il lato positivo di essere un senzatetto”, sentenzia. Nonostante tutto, spera in un nuovo inizio, in un posto di lavoro e ovviamente di trovare un appartamento.

Tira fuori dalla giacca dei tubetti. “Sono campioncini presi in farmacia”, spiega, e mostra una crema per le mani, una lozione per il viso, un dentifricio. “Voglio prendermi maggiormente cura di me stesso”. Perlomeno da tre giorni ha trovato un posto asciutto dove passare la notte, sotto i portici del centro storico di Berna.

Il Nano, Marco e Maria sono finiti per strada per ragioni diverse. Ciò che li accomuna è il desiderio di trovare al più presto un alloggio.

Basilea cambia paradigma

Per agevolare la loro esistenza bisognerebbe cambiare paradigma, afferma Eva Gammenthaler. “Il sistema assistenziale in Svizzera non è male”, puntualizza. “Ma si basa troppo su meccanismi di controllo.”

Come esempio positivo menziona il progetto di “Housing First”, che viene adottato con successo in Finlandia e nella città di Vienna. Come prima cosa, alle persone senza fissa dimora viene assegnato un appartamento, senza alcuna condizione, e solo dopo viene organizzato tutto il resto, un passo alla volta. Nel 2020 Basilea è stata la prima città in Svizzera a lanciare un progetto pilota di questo tipo.

Tuttavia, Gammenthaler ritiene che la problematica debba essere affrontata anche a livello di società. “Dovremmo perlomeno ricordarci che ci sono persone che dipendono dagli spazi pubblici”.

Sono le 17:00, il Nano si alza, prende in spalla il suo zaino rosso con il materassino arrotolato ed esce con Rabauke. Dove dormirà stanotte? Ci pensa un attimo e poi dice: “Un posto lo troveremo”.

A cura di Marc Leutenegger

Traduzione, Lorena Mombelli

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