«Si tratta di giustificare l’invasione americana»
Un esperto di diritto internazionale dell'Università di Ginevra spiega perché non ha difeso Saddam Hussein, il cui processo si è aperto mercoledì.
Per Marc Henzelin, il tribunale speciale incaricato di giudicare l’ex dittatore iracheno non è compatibile con il diritto internazionale e si apparenta più che altro a un teatrino.
Saddam Hussein e sette altri esponenti del regime iracheno sono accusati di crimini contro l’umanità per aver ordinato l’uccisione di oltre 140 sciiti nel villaggio di Dujail nel 1982.
I dibattimenti, che si tengono in uno dei palazzi presidenziali a Baghdad dell’ex dittatore, sono iniziati mercoledì. Ma, già dopo le prime battute, il processo è stato sospeso e rinviato a fine novembre.
In apertura del processo, Saddam Hussein ha contestato la legittimità del tribunale e ha rifiutato di declinare la sua identità.
L’intervista con Marc Henzelin, docente di diritto internazionale all’Università di Ginevra, è stata pubblicata in un primo tempo dal giornale domenicale svizzero SonntagsZeitung.
SonntagsZeitung: La Signora Hussein le aveva chiesto se voleva difendere suo marito. Perché ha rifiutato?
Marc Henzelin: Avevo chiesto tre garanzie. Che la difesa fosse giuridica e non politica, che fosse possibile discutere con gli altri avvocati per organizzarsi e che il processo non scadesse in un circo. Negli ultimi due anni mi sono recato a Baghdad dodici volte. Alcuni giudici istruttori e dei testimoni sono stati uccisi. Prove sono state distrutte durante la guerra. Un processo in simili condizioni diventa un teatro. Per queste ragioni ho rifiutato.
S.Z.: Il processo contro Saddam Hussein è stato paragonato a quello di Norimberga contro i gerarchi nazisti.
M. H.: I due processi possono essere comparati solo su alcuni punti. In entrambi i casi si tratta della giustizia dei vincitori. Il processo di Norimberga aveva però degli obiettivi storici. Si trattava di cercare la verità sui crimini nazisti.
S.Z.: E il processo attuale?
M. H.: Qui succede il contrario. Il processo si focalizza su un aspetto minore del dossier d’accusa contro il regime iracheno, un aspetto che però è emotivamente forte per la popolazione irachena. Ciò non permette di far trasparire la portata del terrore nel defunto regime. Si tratta soprattutto di giustificare l’invasione statunitense e di far sì che Saddam Hussein venga impiccato senza troppe domande.
S.Z.: Per dimostrare la trasparenza e l’equità del procedimento, le udienze saranno trasmesse in televisione.
M. H.: È da 20 anni che sono un avvocato difensore. Posso assicurare che il 90% di un procedimento penale non è deciso nella sala del tribunale ma durante le indagini. Che valore dare quindi a un processo nel quale la difesa non ha potuto partecipare alla fase istruttoria? Un processo nel quale i testimoni non possono presentarsi alla sbarra perché sono stati uccisi o perché temono per la propria vita?
Il processo contro Saddam Hussein può essere magnificamente inscenato sullo stile di uno show televisivo americano, con un avvocato e un procuratore che incrociano le armi. Ma ciò non ha nulla a che vedere con un processo equo.
S.Z.: Perché no?
M.H.: Perché non è un tribunale normale che deve occuparsi del caso, bensì un tribunale speciale e i tribunali speciali sono in contraddizione con tutti i principi del diritto internazionale.
S.Z.: In che senso?
M.H.: Alla luce delle Convenzioni di Ginevra e dell’Aia questo tribunale è senza dubbio illegale. Le potenze occupanti non hanno nessun diritto di modificare il sistema legale di un paese. È però quanto hanno fatto gli Stati Uniti.
Inoltre, i giudici non sono stati eletti, ma nominati dalla potenza occupante. Tra di essi vi è ad esempio un nipote di Ahmed Shalabi (il controverso membro dell’opposizione irachena in esilio negli Stati Uniti quando Saddam Hussein era al potere). Salam Shalabi era avvocato a Londra, specializzato in diritto commerciale. In seguito, è stato nominato presidente del tribunale speciale iracheno.
A Norimberga, le quattro potenze vincitrici avevano perlomeno inviato i loro giudici migliori.
Intervista di François Tanda, SonntagsZeitung
(traduzione di Daniele Mariani)
Il deposto leader iracheno Saddam Hussein è accusato di aver ordinato l’uccisione di 143 mussulmani sciiti in seguito ad un tentativo di assassinio nei suoi confronti.
Potrebbe anche essere processato per genocidio e crimini di guerra nei confronti della popolazione curda nel 1980 e per la repressione violenta della rivolta sciita dei curdi nel 1991.
L’organizzazione Human Rights Watch ritiene che 200’000 potenziali oppositori furono assassinati durante il regime di Saddam, tra il 1979 e il 2003.
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