Solidarietà con i profughi: la storia si ripete
All'indomani della condanna di un deputato di Friburgo per avere ospitato dei clandestini, sono state presentate le prime domande di riabilitazione di cittadini svizzeri che tesero la mano alle vittime del nazismo.
Tra di loro Aimée Stitelmann, che aiutò dei bambini a sfuggire ai nazisti nel 1945.
Dall’entrata in vigore dal primo gennaio della legge sull’annullamento delle condanne di persone che avevano aiutato le vittime del nazismo, una ventina di richieste di riabilitazione sono giunte alla commissione responsabile.
Non tutte sono state esaminate e le prime decisioni saranno prese tra qualche mese.
Tra le prime domande c’è quella della signora Stitelmann, 79 anni, che fu punita con 15 giorni di carcere per aver aiutato vittime del nazismo. Finora non aveva presentato una richiesta, pensando che fosse «assurdo».
Aiutata da diverse personalità della sinistra, la signora Stitelmann, dopo due anni di riflessione, ha finalmente accettato. «Non cambia nulla nella mia vita quotidiana, ma serve per il futuro. Questo tipo di situazione può ripetersi», ha dichiarato davanti ai media.
In particolare la signora Stitelmann spera che la sua azione sarà utile a coloro che attualmente si battono per i sans-papiers, o per le persone espulse.
Il passaggio dei bambini
Per tre anni Aimée Stitelmann, che aveva la doppia nazionalità franco-elvetica, fece passare in Svizzera – in treno, attraverso la campagna o le montagne – una quindicina di bambini, quasi tutti orfani, che consegnava a dei privati.
All’epoca del nazismo «pensavo che bisognasse fare qualcosa, ma non sapevo cosa», ha dichiarato. Poi fu contattata da un prete.
Nel luglio 1945 fu condannata dalla giustizia militare per aver aiutato diverse persone ad attraversare illegalmente la frontiera.
Nella sua richiesta di annullamento della sentenza, depositata a suo nome dall’avvocato e sindacalista Jean-Michel Dolivo, chiede tra l’altro che la riabilitazione sia pubblicata nei quotidiani più diffusi a Ginevra.
La riabilitazione di persone che aiutarono le vittime del nazismo è secondo l’ex consigliere nazionale Nils de Dardel, socialista ginevrino, «il solo risultato tangibile» delle conclusioni cui era arrivato il rapporto Bergier sull’atteggiamento della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale.
Altre domande
La signora Stitelmann non è la sola ad aver presentato una richiesta di riabilitazione davanti al parlamento. La Fondazione Paul Grüninger, dal nome del capo della polizia di San Gallo, che aiutò molti rifugiati durante il nazismo, ha depositato una richiesta collettiva per 26 persone condannate nella Svizzera francese, orientale e del nord.
La Fondazione chiede inoltre che gli archivi federali e cantonali facciano un rapporto sulle condanne pronunciate tra il 1933 e il 1945, ha indicato lo storico Stefan Keller.
Doppia procedura
La legge prevede una doppia procedura per la riabilitazione. L’annullamento di tutti i giudizi pronunciati dalla giustizia militare e dai tribunali penali federali o cantonali. In seguito la commissione di riabilitazione deve prendere atto dell’annullamento.
Il limite per la presentazione della domanda è stato fissato al 31 dicembre 2008, ma potrà essere prolungato di tre anni in caso di ritardo «scusabile». La procedura è gratuita. La decisione presa dalla commissione è definitiva e non è previsto alcun ricorso. Infine la riabilitazione non dà diritto ad indennizzi.
swissinfo e agenzie
Dal 1° gennaio 2004 è entrata in vigore la legge sull’annullamento delle sentenze penali di coloro che hanno aiutato le vittime delle persecuzioni naziste.
Alla commissione responsabile sono già giunte una ventina di domande.
Il limite temporale per presentare le richieste è il 31 dicembre 2008.
Non sono previsti ricorsi o indennizzi.
La Svizzera, neutrale durante la Seconda Guerra mondiale, cominciò ad imporre controlli ai confini per i rifugiati provenienti dalla Germania e dall’Austria nel 1938 e nel 1942 chiuse i confini per tutte le persone perseguitate per ragioni razziali.
Aiutare i rifugiati respinti ad entrare in Svizzera fu considerato un crimine penale. La Svizzera ha già emesso un perdono collettivo, non sapendo con esattezza quante persone erano state condannate.
I condannati, o i loro famigliari, possono però anche richiedere un annullamento individuale della sentenza.
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