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Tortura: la piaga si diffonde

Negli ultimi 5 anni, i casi di tortura nel mondo potrebbero essere aumentati del 700% swissinfo.ch

Le immagini provenienti dal carcere di Abu Ghraib hanno sdegnato il mondo. Ma i casi di torture non riguardano soltanto la realtà irachena.

In occasione della giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura, la Svizzera ha firmato il protocollo facoltativo alla Convenzione dell’ONU sul tema.

Irak, Afghanistan, Guantanamo sono da tempo sulla bocca di tutti. Ma il trattamento dei prigionieri suscita preoccupazione anche in numerosi altri Stati.

Tra questi Algeria, Egitto, Guinea Equatoriale, India, Indonesia, Israele, Russia, Serbia Montenegro, Romania e Giordania.

Attualmente, gli esempi peggiori dovrebbero provenire dalla provincia del Darfur, in Sudan, dove si è appena recata la consigliera federale Micheline Calmy-Rey.

Tra le tecniche di tortura scoperte di recente, l’iniezione di sangue infetto o, ancor peggio, la violenza carnale ad opera di malati di AIDS.

Nello scorso anno, Theo Van Boven, incaricato delle Nazioni Unite per denunciare le infrazioni ai diritti umani, ha inoltrato 369 “appelli urgenti” ai governi di 80 paesi, sospettati di aver torturato dei prigionieri.

Secondo l’ONU, la situazione è drammaticamente peggiorata: rispetto a cinque anni fa, gli appelli sono aumentati del 700%.

Divieto “assoluto”

Sabato 26 giugno è la giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura, una ricorrenza che si festeggia per la settima volta.

L’appuntamento, come rileva l’ONG Amnesty International, è stato introdotto “per dare voce alle persone che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza della tortura, che ancor oggi coinvolge 132 paesi in tutto il mondo”.

“È triste constatare come misure disumane, crudeli e degradanti siano ancora diffuse in così tanti paesi”, ha dichiarato Kofi Annan, il segretario generale delle Nazioni Unite.

Numerose convenzioni e protocolli esplicitano chiaramente un divieto “assoluto” di ricorrere a questi metodi. “Ed il divieto vale per tutte le situazioni immaginabili, sia di guerra, che di pace”, ha sottolineato Annan.

La Convenzione contro la tortura dell’ONU è stata firmata e ratificata da 136 dei 191 membri dell’organizzazione. Tra questi pure gli Stati Uniti.

La firma di Berna

Venerdì, la Svizzera ha firmato il protocollo facoltativo alla Convenzione. Il testo autorizza esperti dell’ONU a effettuare visite regolari nelle prigioni elvetiche.

Il protocollo rappresenta in questo modo un meccanismo di prevenzione delle torture «di portata universale», sottolinea il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) in un comunicato.

Berna dovrà anche adottare misure simili sul piano nazionale. Prima della ratifica da parte del Parlamento, un gruppo di lavoro sarà istituito per elaborare le disposizioni, in collaborazione con i cantoni.

Iniziativa svizzera

Il protocollo facoltativo alla Convenzione contro le torture e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, è nato su iniziativa della Svizzera e del Costa Rica.

Il testo, adottato il 18 dicembre 2002 dall’Assemblea generale dell’ONU, entrerà in vigore quando almeno venti stati l’avranno firmato e ratificato.

Per Berna la firma del protocollo rappresenta una tappa «coerente» nell’impegno di lunga data a favore della prevenzione della tortura e la riabilitazione delle vittime, sottolinea il DFAE.

La Confederazione ha già ratificato due convenzioni contro la tortura: quella dell’ONU e quella del Consiglio d’Europa.

swissinfo e agenzie

Il 2 dicembre 1986, la Svizzera ha ratificato la Convenzione dell’ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti;
Il 7 ottobre 1988 Berna ha ratificato la Convenzione europea per la prevenzione della tortura.

Il 12 dicembre 1997, l’Assemblea generale dell’ONU ha proclamato la Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura per attirare l’attenzione sul problema ed accelerarne la soppressione a livello mondiale.

Secondo la Convenzione dell’ONU, la tortura rappresenza una grave lesione della dignità e dei diritti umani.

Essa non può essere giustificata da nessuna ragione politica, militare, religiosa o di altro genere.

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