Torture in Iraq: il CICR avvertì Washington
Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) sapeva da un anno delle sevizie nella prigione irachena di Abou Ghraib. Non si è trattato di casi isolati.
L’organizzazione umanitaria aveva chiesto agli Stati Uniti di agire, senza tuttavia denunciare pubblicamente i fatti. “Non era il nostro ruolo”, sottolinea.
Niente casi isolati, bensì azioni sistematiche e “torture a tutti gli effetti”, ha precisato il CICR venerdì a Ginevra, ribadendo quanto pubblicato dal “Wall Street Journal”.
Pierre Kraehenbühl, direttore delle operazioni del CICR, ha affermato che torture ed umiliazioni non si sono verificate soltanto nella prigione di Baghdad.
Il CICR ha pure confermato come già da tempo fosse a conoscenza di quanto era accaduto tra marzo e novembre 2003 e che aveva più volte chiesto a Stati Uniti e Gran Bretagna d’intervenire.
“In seguito la situazione era parzialmente migliorata”, aggiunge Kraehenbühl. “Ma resta ancora molto da fare”.
Ampio scandalo
Da più di un anno gli esperti del CICR hanno accesso alle prigioni irachene sotto controllo americano e britannico.
In questo periodo i delegati hanno potuto visitare liberamente gli istituti penitenziari e parlare con i detenuti in assenza di testimoni.
Tuttavia, almeno fino ad oggi, il CICR aveva sempre rifiutato di esprimersi pubblicamente sulle condizioni di detenzione.
Lo scandalo sulle torture e le umiliazioni inflitte, verosimilmente tra ottobre e dicembre 2003, a detenuti iracheni da parte di militari americani e britannici era scoppiato lo scorso 28 aprile, in seguito alla pubblicazione di una serie di foto dall’emittente americana CBS.
I gravi abusi hanno avuto un’eco talmente ampia che, mercoledì, lo stesso presidente americano George W. Bush ha dovuto parlare di “atti ripugnanti”, per poi scusarsi il giorno successivo di fronte all’opinione pubblica mondiale.
Il ruolo del CICR
“Il CICR non è Amnesty International, il cui ruolo è quello di denunciare le violazioni dei diritti dell’uomo utilizzando l’opinione pubblica come testimone”, spiega Antonella Notari, la principale portavoce del CICR.
“La nostra missione è quella di far tutto il possibile per visitare le prigioni e vegliare che i detenuti siano trattati in modo umano”, aggiunge.
Ciò, continua la portavoce, implica “discrezione, in modo da poter stabilire un rapporto di fiducia sia con le autorità sia con i prigionieri”.
“Di fronte ad abusi e torture, il CICR è il primo a dovere e volere agire. Ma non lo facciamo pubblicamente”, dice la Notari a swissinfo.
“Quando nel corso delle visite, i nostri delegati si rendono conto dell’esistenza di abusi, ci rivolgiamo alle autorità di detenzione, direttamente, senza appelli pubblici” ha spiegato.
L’organizzazione ginevrina ritiene che questo sia l’unico modo possibile per poter svolgere il proprio lavoro.
11’000 prigionieri
Dall’aprile 2003, il CICR ha registrato in Iraq un totale di 11’000 prigionieri iracheni, molti dei quali sono stati da allora liberati.
Tra quelli ancora in detenzione c’è anche l’ex presidente Saddam Hussein.
Per tutti, le visite si svolgono secondo criteri inderogabili: colloqui ripetuti, senza preavviso e senza testimoni.
Dopo ogni visita ad un luogo di detenzione, il CICR trasmette ai responsabili del posto le proprie osservazioni ed i propri suggerimenti. Il dialogo orale è poi completato da un rapporto scritto.
La visita dei prigionieri di guerra e dei civili internati è prevista dalle Convenzioni internazionali di Ginevra, il cui paese depositario è la Svizzera.
Le visite del CICR riguardano tuttavia unicamente le condizioni della detenzione e non i motivi di questa.
swissinfo e agenzie
Il CICR è stato fondato dallo svizzero Henri Dunant nel 1863;
La Svizzera è il paese depositario delle Convenzioni di Ginevra, base del diritto umanitario internazionale.
Il diritto internazionale umanitario proibisce chiaramente qualsiasi forma di tortura.
Gli Stati membri della III Convenzione di Ginevra sono tenuti a trattare con umanità i prigionieri di guerra.
“Ogni atto o omissione illecita compiuta dall’autorità detentrice del potere che implica la morte o mette in pericolo la salute di un prigioniero di guerra nelle sue mani è proibita e sarà considerata come una grave infrazione della Convenzione”.
Art. 13: “I prigionieri di guerra devono essere protetti da qualsiasi atto di violenza o d’intimidazione, dagli insulti e dalla curiosità pubblica”.
Art. 14: “I prigionieri di guerra hanno diritto in ogni circostanza al rispetto della loro persona e del loro onore”.
Art. 17: “Nessuna tortura fisica o morale potrà essere esercitata sui prigionieri di guerra per ottenere informazioni di qualsiasi sorta”.
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