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«Ulisse» sulle tracce dei trafficanti d’arte

Gli oggetti recuperati : una preziosa testimonianza dell'antichità che qualcuno voleva solo per sé. Guardia di Finanza italiana

Grazie all’operazione «Ulisse», sono stati recuperati 481 reperti etruschi e romani provenienti dall’Italia e trafugati illegalmente in Svizzera.

Il traffico di reperti archeologici tra i due paesi è sempre stato fiorente, complice la legislatura elvetica, troppo poco severa. Una nuova legge dovrebbe cambiare le cose.

L’ hanno chiamata come il grande navigatore di Omero, «operazione Ulisse»: la Guardia di finanza italiana con la collaborazione degli inquirenti elvetici è riuscita a recuperare 481 reperti di epoca etrusca e romana di grande valore storico e artistico trafugati verso la Svizzera.

Si tratta di uno dei recuperi più importanti degli ultimi anni e riguarda 481 reperti che negli anni scorsi sono passati dalle mani dei tombaroli ai mercanti elvetici. Un traffico, coordinato da una banda ben organizzata che faceva capo ad un laboratorio di restauro di Roma e ad una collezionista di origini italiane residente a Ginevra.

Un restauratore romano (probabilmente la mente del gruppo) provvedeva e sistemare i reperti trafugati dai tombaroli (che operavano nel Lazio, Toscana Campania e Umbria), riparando eventuali danni per rendere i pezzi più appetibili sul mercato.

Un professore universitario si occupava invece della consulenza artistica, inventando una nuova provenienza ai reperti attraverso articoli e pubblicazioni specifiche, così da confondere le tracce. La collezionista ginevrina, infine, cercava di piazzare la merce presso mercanti e privati acquirenti.

Buona collaborazione

«È stata un’operazione lunga e difficile», dice a swissinfo il colonnello Gennaro Vecchione del gruppo tutela patrimonio archeologico della Guardia di Finanza. Le indagini si sono rivelate talmente lunghe e complesse che gli inquirenti hanno voluto soprannominare l’operazione «Ulisse», come l’eroe di Omero costretto a vagare per anni prima di poter tornare a casa.

L’aiuto degli inquirenti elvetici è stato determinate per il buon esito dell’operazione. «Una collaborazione eccellente, sia nella fase investigativa che nelle operazioni di rientro in Italia dei reperti», ci dice ancora il colonnello Vecchione, che per altro relativizza, almeno parzialmente, l’immagine della Svizzera come centro dei traffici di beni culturali.

«Non è vero che la Svizzera sia sempre coinvolta», afferma Vecchione. «Forse, quando ciò accade è verosimile che i motivi siano la vicinanza del paese all’Italia e la presenza di alcuni mediatori stranieri con pochi scrupoli. Peraltro, con l’avvento della rete informatica, un posto vale l’altro».

Svizzera troppo permeabile ai trafficanti

A dispetto delle gentili parole del colonnello Vecchione, la Confederazione sembra restare uno dei paesi preferiti dai trafficanti. Lo stesso Ufficio federale della cultura ha recentemente ammesso che in Svizzera il giro d’affari annuo legato al commercio di reperti antichi si aggira attorno al miliardo di franchi.

Il problema maggiore è rappresentato dai punti franchi delle dogane svizzere, da dove transitano i reperti archeologici trafugati verso la Svizzera.

Secondo la legge elvetica, fin qui applicata, l’importatore non ha l’obbligo di precisare alle autorità doganali se le opere d’arte depositate sono state acquistate legalmente nel paese d’origine. Inoltre, il termine di prescrizione per questo genere di oggetti è di appena cinque anni. Trascorso questo periodo, l’acquirente diventa proprietario a tutti gli effetti della merce. Gli illeciti vengono alla luce solo in caso di rogatorie internazionali.

Una nuova legge per migliorare la situazione

La situazione dovrebbe migliorare tra poco, quando entrerà in vigore la nuova legge sul contrabbando delle opere d’arte, votata in estate dal parlamento.

Dal 2004, i gestori dei punti franchi dovranno tenere elenchi delle giacenze nei loro magazzini e rilasciare informazioni sul tipo di merce in deposito. Una delle tecniche adottate dai commercianti per mettersi al riparo da brutte sorprese era infatti quella di lasciare la merce in giacenza nel punto franco per tutti i cinque anni necessari alla prescrizione e sdoganarla solo in seguito.

I termini di prescrizione sono stati portati a 30 anni. Le opere trafugate, dovranno essere rese ai legali proprietari anche da parte di chi le ha acquistate in buona fede. Inoltre, le nuove disposizioni, prevedono la detenzione fino a due anni e una multa di 200 mila franchi per chi fa commercio illegale d’opere d’arte.

swissinfo, Paolo Bertossa, Roma

481 reperti archeologici di epoca etrusca e romana sono stati recuperati nell’ambito dell’operazione «Ulisse»
Al centro della faccenda: un restauratore romano, un professore universitario e una collezionista ginevrina
L’accusa è di ricettazione, scavi clandestini e traffico internazionale di reperti

La nuova legge svizzera inerente al commercio di opere d’arte entrerà in vigore nel 2004. I suoi contenuti sono in linea con la convenzione dell’Unesco, datata 1970, sul trasferimento dei beni culturali.

Il termine di prescrizione è innalzato da 5 a 30 anni: durante questo periodo sarà possibile esigere la restituzione di beni culturali rubati in Svizzera o all’estero anche dagli acquirenti in buona fede. Questi avranno tuttavia diritto ad un indennizzo.

Sono ritenuti rubati anche gli oggetti archeologici o paleontologici provenienti da scavi abusivi se lo Stato d’origine, come è il caso d’Italia, Egitto, Turchia e Grecia, li ritiene di propria proprietà.

Chi commercia opere rubate potrà essere sanzionato con due anni di prigione e una multa fino a 200’000 franchi. Multe ed eventuale ritiro della licenza anche per gli antiquari e le case d’asta che non si atterranno alle norme di diligenza o ostacoleranno il lavoro degli inquirenti.

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