Un manifesto che disturba numerosi Stati
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sul razzismo auspica il ritiro dei manifesti elettorali che inneggiano all'espulsione dalla Svizzera delle pecore nere: gli stranieri delinquenti. Altri Stati condividono il suo appello.
Nel rapporto presentato al Consiglio dei diritti umani, Doudou Diène ha raccomandato ai partiti di governo di non allearsi con formazioni che incoraggiano la xenofobia.
Secondo il relatore speciale sul razzismo Doudou Diène, «l’islamofobia costituisce la forma più grave di discriminazione religiosa». Una tendenza crescente che si sviluppa «in un contesto caratterizzato dalla banalizzazione del razzismo e della xenofobia».
Quale prova di tale evoluzione, Doudou Diène ha citato – davanti al Consiglio dei diritti umani riunito a Ginevra – tre esempi nel mondo: uno di questi concerne la Svizzera, segnatamente l’iniziativa volta a proibire la costruzione di minareti. Tale proposta deve comunque superare ancora parecchi ostacoli, prima di essere eventualmente adottata.
Dopo aver elogiato il dibattito democratico suscitato dalla campagna elettorale dell’Unione democratica di centro (UDC, destra nazionalista) e la risposta del governo elvetico a una sua lettera sul tema, l’esperto indipendente incaricato dall’ONU ha sottolineato che il manifesto raffigurante una pecora nera «è tale da suscitare odio razziale».
Doudou Diène ha inoltre affermato che «la libertà d’espressione non deve servire quale alibi per l’incitamento all’odio razziale e religioso», aggiungendo che «il ritiro del manifesto sarebbe più conforme all’immagine consolidata della Svizzera quale Paese rispettoso dei diritti umani».
Un appello analogo sarà lanciato – in occasione della presente seduta del Consiglio dei diritti umani – dall’Egitto, a nome degli Stati africani, e dal Pakistan, in rappresentanza dell’Organizzazione della conferenza islamica.
Democrazia diretta
Dal canto suo, l’ambasciatore Blaise Godet – capo della missione svizzera presso l’ONU a Ginevra – ha fatto riferimento alla risposta fornita questa settimana dal governo, ricordando che la democrazia diretta elvetica consente di discutere «a proposito di tematiche controverse, che possono talvolta essere accompagnate da spiacevoli manifestazioni».
Godet ha pure ribadito che il popolo svizzero ha votato in favore della norma giuridica anti-razzismo, che permette alla giustizia di intervenire in caso di atti ed espressioni razzisti.
Nel suo ultimo rapporto, Doudou Diène ha comunque sottolineato la gravità del problema in Svizzera: «Il leitmotiv dello straniero che delinque, utilizzato in occasione di numerose votazioni, spesso inserito nel discorso politico, amplificato da taluni organi di stampa, si insinua in misura sempre maggiore nella mentalità collettiva».
«Questo tema ricorrente», continua Doudou Diène, «legittima non soltanto certi sussulti ostili alla diversità culturale, ma pure comportamenti discriminanti e arbitrari di membri di organi dello Stato».
Appello ai partiti
Nelle sue raccomandazioni formulate all’indirizzo dei paesi alle prese con problemi legati al razzismo, il relatore speciale ha invitato i partiti ad «assumere un ruolo guida nella lotta contro la xenofobia, adottando misure concrete per promuovere la solidarietà, la tolleranza, il rispetto nonché il riconoscimento e la tutela dei gruppi più vulnerabili».
Secondo Doudou Diène, le formazioni politiche dovrebbero inoltre «impedire la formazione di governi di coalizione con partiti e gruppi che incoraggiano il razzismo e la discriminazione razziale».
Dal canto suo, il portavoce dell’UDC Roman Jäggi ha criticato il rapporto di Doudou Diène, affermando che si tratta di un tentativo di nuocere alla libertà di espressione e criticando il fatto che un’organizzazione internazionale prenda posizione in merito alla campagna elettorale elvetica. Il partito, ha concluso, non intende affatto abbanondare la propria linea di comunicazione politica.
swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione e adattamento, Andrea Clementi)
Doudou Diène è uno degli esperti indipendenti che seguono da vicino un argomento particolare legato ai diritti umani. Tra questi temi – una quarantina circa – figurano il razzismo, la tortura, i rapimenti. Una quindicina di relatori osserva la situazione in un paese particolare.
I relatori tematici decidono autonomamente in quale paese recarsi, a condizione che lo Stato interessato conceda la propria autorizzazione. Doudou Diène, per esempio, non ha ancora ricevuto da Washington il permesso per recarsi negli Stati Uniti.
Nel 2002, la Svizzera ha invitato tutti i relatori speciali a svolgere un’inchiesta sul suo territorio. Si tratta di un’iniziativa raccomandata a tutti gli Stati da Louise Arbour, alta commissaria dellle Nazioni Unite per i diritti umani.
I mandati degli esperti indipendenti saranno ridefiniti nel corso dell’attuale sessione del Consiglio dei diritti umani.
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