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Vladimir Petkovic, la forza dell’integrazione

Vladimir Petkovic
Vladimir Petkovic durante una partita del suo Bellinzona nel maggio 2007. Keystone / Karl Mathis

L'allenatore croato dell'Associazione calcio Bellinzona – in corsa per la promozione nella massima categoria e finalista di Coppa Svizzera – racconta a swissinfo la sua filosofia sportiva e di vita.

Parla italiano perfettamente, ma la lingua di comunicazione in famiglia è rimasta il croato: «Ovviamente le mie figlie discutono tra loro in italiano, ma ritengo importante mantenere viva la nostra identità culturale. Si tratta di un arricchimento e non di un ostacolo all’integrazione, che dipende dalla volontà di ogni persona», spiega convinto Petkovic.

Il tecnico del Bellinzona conosce bene l’argomento, poiché è giunto nella Confederazione una ventina d’anni or sono – proveniente da Sarajevo – e ha lavorato come calciatore professionista nelle diverse regioni linguistiche del paese.

Da alcuni anni, Petkovic vive in Ticino e ottiene risultati eccellenti in qualità di allenatore. Quest’attività impegnativa, però, non è la sua occupazione principale: l’ex giocatore è infatti impiegato a tempo pieno presso l’associazione benefica «Caritas Ticino».

Lo abbiamo incontrato a Bellinzona, in un momento particolarmente importante della stagione agonistica: la squadra locale, da lui guidata, avanza sicura verso la Super League (Serie A) e disputerà il 6 aprile la finale di Coppa nazionale contro il fortissimo FC Basilea.

swissinfo: Com’è cambiato, durante gli anni, il suo modo di essere allenatore?

Vladimir Petkovic: Di natura sono preciso, pignolo. All’inizio della mia carriera in panchina ero molto severo. In un certo senso, vivevo nel mio mondo. Allenavo una squadra di prima lega [il Malcantone Agno] ma pretendevo dagli atleti un livello simile a quello della Champions League (ride)!

Con l’esperienza, poi, ho compreso la necessità di avere un dialogo maggiore con i giocatori. È fondamentale riuscire ad allacciare dei contatti individuali e specifici. Ho quindi modificato in questa direzione il mio approccio.

A questo proposito, sono stati molto importanti i tre mesi di pausa seguiti ai primi sei anni di lavoro come allenatore: ho avuto l’occasione di fermarmi a riflettere, di imparare cose nuove e di correggere gli errori.

Nell’ambito di questa evoluzione, che ruolo ha avuto la sua attività professionale presso Caritas?

Accanto al calcio, ho conseguito un diploma di formatore per adulti e, sempre in questo ambito, ho lavorato nel settore dell’insegnamento e a stretto contatto con i disoccupati. Si tratta di un’attività che mi ha permesso di incontrare gruppi di persone molto eterogenei, con cui ci si deve pertanto relazionare in modo differenziato.

Ciò mi ha arricchito molto a livello personale, in special modo per quanto concerne la gestione del gruppo e dei conflitti. Si tratta di un bagaglio di esperienze che è risultato utilissimo per il mio percorso di allenatore. Oggigiorno, infatti, il calcio non è più un lavoro esclusivamente fisico. È necessaria una preparazione intellettuale per potersi aggiornare e trasmettere poi le indicazioni in maniera adeguata.

A medio termine, tuttavia, vorrei potermi concentrare interamente sul calcio, poiché le due attività mi impegnano molto, soprattutto a livello mentale.

Vladimir Petkovic in un magazzino di mobili
Allenare non è per ora l’attività principale di Vladimir Petkovic, che lavora presso la Caritas. Keystone / Karl Mathis

In che misura il calcio è un veicolo d’integrazione?

Moltissimo. La gente guarda con altri occhi i personaggi conosciuti e popolari, come può esserlo un calciatore. Di conseguenza, il luogo d’origine della persona passa in secondo piano e l’integrazione risultata assai facilitata.

Attenzione, però: tutto questo non è sufficiente se l’atleta non dimostra una reale volontà d’integrazione. Per entrare a far parte di una realtà nuova è necessario adattarsi a situazioni sconosciute e accettare la diversità, anche quando ci sono aspetti che possono disturbare. Ciò vale per gli sportivi come per i normali cittadini.

Questo atteggiamento mentale è fondamentale per la carriera sportiva in un paese estero, ma anche per il percorso umano e professionale al di là del campo di calcio.

Quando un giocatore di origine straniera – ma cresciuto in Svizzera – decide di non vestire la maglia della nazionale rossocrociata, nascono spesso aspre polemiche. È un problema di mancata integrazione?

No. Si tratta di una questione legata prettamente alla carriera sportiva del calciatore e, ovviamente, all’aspetto finanziario. Giocare per certe nazionali offre una vetrina più interessante ai giovani talenti, i quali cercano di sfruttare quest’occasione.

So che in tali situazioni c’è sempre un importante aspetto emotivo, ma a mio parere le prospettive sportive e di guadagni sono preponderanti nella decisione. Non va poi dimenticato il ruolo degli agenti dei giocatori, che chiaramente spingono i calciatori a operare le scelte economicamente più redditizie.

Il Bellinzona è in corsa per la promozione in Serie A e tenterà di vincere la Coppa Svizzera. Quale è la via per il successo?

Curare i dettagli. Nel calcio moderno, è proprio questo l’aspetto che permette di fare la differenza. Tra questi, figurano l’aspetto mentale e la gestione delle emozioni. Pensiamo per esempio alla finale di Coppa: pochissimi elementi della mia squadra sono già scesi in campo davanti a decine di migliaia di tifosi. Sarà quindi fondamentale mantenere la giusta concentrazione, soprattutto all’inizio della gara.

È inoltre importante non adagiarsi mai sugli allori: continuo a ripetere ai giocatori che il traguardo più importante è il prossimo. Io devo chiaramente pianificare a lungo termine, ma a loro chiedo di focalizzare l’attenzione soltanto sulla prossima partita, di vivere il presente.

Come giudica la nazionale croata e quella svizzera in vista dell’Euro 2008?

Per quanto concerne la Croazia, che possiede giocatori fortissimi, tutto è possibile. Molto dipenderà dal livello di amalgama raggiunto al momento del torneo: sicuramente non è una delle favorite per la vittoria finale, ma ha sicuramente le carte in regola per giocare ad armi pari contro qualsiasi avversario.

Per la Svizzera vale il medesimo discorso. La nazionale rossocrociata ha forse meno qualità tecnica rispetto alla Croazia, ma ciò sarà ampiamente compensato dall’entusiasmo e dalla spinta del pubblico. Tutto dipenderà dalle prime partite: durante la mia carriera, ho potuto sempre constatare che il successo dà lo slancio e l’energia per ottenere risultati eccezionali. Come si suol dire: l’appetito vien mangiando…
 

Carriera da allenatore:
Malcantone Agno: promozione in Challenge League (2003), quarto posto (2004);
AC Lugano: ottavo posto in Challenge League (2005);
AC Bellinzona: nono posto (2006), secondo posto (2007, sconfitta nello spareggio-promozione). La squadra disputerà la finale di Coppa Svizzera (Swisscom Cup) il prossimo 6 aprile contro il Basilea; inoltre, il Bellinzona lotta per ottenere la promozione in Super League (Serie A).

Nato nel 1963 a Sarajevo, Vladimir Petkovic – figlio di una coppia insegnanti – ottiene nel 1985 il titolo di campione nazionale militando per la squadra della sua città. Due anni più tardi Petkovic arriva in Svizzera come calciatore professionista. Anche la sorella, giocatrice di pallamano, decide di emigrare (attualmente è allenatrice in Francia).

Nel campionato svizzero, Petkovic disputa 17 stagioni da professionista con le maglie di Coira, Sion, Martigny, Bellinzona e Locarno. Ha quindi allenato il Buochs, il Malcantone Agno (diventato poi AC Lugano) e il Bellinzona, con cui sta ottenendo risultati eccellenti.

Sposato con Liljana e padre di due figlie, Petkovic – che dovrebbe ottenere in giugno la licenza Uefa di allenatore professionista – vive a Locarno e lavora, con un tasso d’occupazione del 100%, presso Caritas Ticino. Possiede il passaporto svizzero e quello croato.

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