No Billag: cosa vuole e quali ripercussioni avrebbe l’iniziativa
Il 4 marzo il popolo svizzero è chiamato a pronunciarsi su un’iniziativa che chiede di abolire il canone radiotelevisivo. Per i suoi promotori, il mercato dei media diventerebbe così più libero e competitivo, a vantaggio del pubblico. Governo e parlamento invitano a respingere l’iniziativa: nuocerebbe tra l’altro alla qualità e alla pluralità dei media, essenziali in un Paese con una democrazia diretta.
Promossa da giovani membri del Partito liberale radicale (PLR) e dell’Unione democratica di centro (UDC), l’iniziativa “No Billag”Collegamento esterno (vedi finestra a fianco) propone di sopprimere a breve scadenza il canone radiotelevisivo nazionale, riscosso dalla società Billag, su incarico della Confederazione. In gioco non è il futuro di questa società, il cui mandato scade in ogni caso alla fine del 2018, ma la sussistenza e il ruolo politico, sociale e culturale del servizio pubblico radiotelevisivo, la cui offerta dipende in larga misura dal canone.
No Billag
L’iniziativa popolare “Sì all’abolizione del canone radiotelevisivo (Abolizione del canone Billag)” è stata depositata nel dicembre 2015, con oltre 112 mila firme valide. Il testo, soprannominato “No Billag”, chiede di sopprimere il canone radiotelevisivo, riscosso dal 1998 dalla società Billag presso le economie domestiche e le imprese.
Indipendentemente dall’esito del voto del 4 marzo, il mandato affidato a questa società scade alla fine di quest’anno. In caso di rifiuto dell’iniziativa, la riscossione del canone delle economie domestiche sarà affidata dal 2019 alla società Serafe, mentre l’Amministrazione federale delle contribuzioni sarà incaricata di percepire quello versato dalle imprese.
Secondo i promotori dell’iniziativaCollegamento esterno, il settore radiotelevisivo dovrebbe essere lasciato in futuro alle forze del mercato e gli utenti dovrebbero pagare soltanto per i programmi che consumano effettivamente, invece di dover versare un contributo fisso. Per il governo e il parlamento, il canone è indispensabile per fornire su tutto il territorio un’offerta radiotelevisiva di qualità, che rispecchia la pluralità delle opinioni e contribuisce alla coesione di un Paese suddiviso in quattro regioni linguistiche e culturali.
Cosa chiede l’iniziativa?
In base al testo in votazione – che modificherebbe sostanzialmente l’articolo 93Collegamento esterno della Costituzione federale – già a partire dal 1° gennaio dell’anno prossimo la Confederazione non potrà più riscuotere un canone radiotelevisivo, né direttamente, né tramite società incaricate di svolgere questo compito. L’iniziativa vieta inoltre alla Confederazione di sovvenzionare emittenti radiofoniche o televisive, come pure di gestire simili emittenti in tempo di pace.
Anche in futuro, la legislazione nel campo dei media radiotelevisivi resterà di competenza della Confederazione. Quest’ultima sarà inoltre incaricata di mettere all’asta le concessioni. Il finanziamento delle emittenti potrà però avvenire solo su basi commerciali, nel quadro dell’economia di mercato.
L’iniziativa chiede inoltre di stralciare il capoverso 2 dell’art. 93, in cui sono ancorati i principi del servizio pubblico radiotelevisivo. Oggi la radio e la televisione devono:
- contribuire all’istruzione e allo sviluppo culturale, alla libera formazione delle opinioni e all’intrattenimento
- considerare le particolarità del Paese e i bisogni dei Cantoni
- presentare gli avvenimenti in modo corretto e riflettere adeguatamente la pluralità delle opinioni.
Quali emittenti beneficiano dei proventi del canone?
I proventi sono destinati alle emittenti radiotelevisive che adempiono il mandato costituzionale di servizio pubblico. A livello nazionale un mandato di prestazioni viene attribuito già dagli anni ’30 alla Società svizzera di radiotelevisione (SSR)Collegamento esterno, di cui fa parte anche swissinfo.ch. La SSR, un’associazione di diritto privato senza scopo di lucro, dispone di 7 reti televisive e di 17 reti radiofoniche che coprono le quattro regioni linguistiche e culturali svizzere. In base al mandato, la SSR è chiamata, tra l’altro, a promuovere la comprensione, la coesione e lo scambio tra le regioni, le comunità linguistiche, le culture, le religioni e i gruppi sociali.
swissinfo.ch è un’unità aziendale della Società svizzera di radiotelevisione (SSR).
Dagli anni ’90, una parte dei proventi del canone viene distribuita anche a emittenti private con una concessione di servizio pubblico. Attualmente ne beneficiano 13 televisioni regionali e 21 radio locali. Per adempiere i loro mandato, queste emittenti devono fornire informazioni di cronaca regionale o locale nelle fasce orarie di maggiore ascolto. Sia queste emittenti che la SSR sono inoltre tenute a diffondere comunicati urgenti di polizia, appelli ufficiali di allarme e istruzioni sul comportamento da adottare in caso di crisi.
Come vengono ripartiti i proventi del canone?
Nel 2016 i proventi sono stati pari a circa 1,37 miliardi di franchi. Di questi, quasi 1,24 miliardi sono stati assegnati alla SSR, mentre 67 milioni sono andati alle emittenti locali e regionali (5% del totale). Nell’ottobre scorso, il Consiglio federale ha deciso che, a partire dal 2019, la loro quota salirà a 81 milioni di franchi all’anno (6%), mentre la quota della SSR sarà limitata in futuro a 1,20 miliardi.
All’interno della SSR i proventi vengono ripartiti in modo solidale tra le diverse regioni linguistiche, allo scopo di fornire programmi di qualità equivalenti a tutta la popolazione. Oltre un terzo dei proventi raccolti nella Svizzera tedesca, la regione più popolosa del Paese, viene ridistribuito alle altre tre regioni linguistiche.
In che misura il canone serve a finanziare i programmi delle emittenti con una concessione di servizio pubblico?
Rispetto ai grandi paesi vicini, la Svizzera dispone di un mercato pubblicitario alquanto ristretto, oltretutto frazionato in 4 regioni linguistiche. I proventi del canone rappresentano quindi la principale fonte di finanziamento per le emittenti con un mandato di servizio pubblico: il 75% degli introiti della SSR, 53% delle televisioni regionali, 67% delle radio locali senza scopo di lucro e 35% delle radio locali delle regioni periferiche e di montagna. La soppressione del canone ridurrebbe quindi drasticamente la loro offerta di programmi e minaccia perfino la sussistenza di diverse emittenti.
Quanto costa il canone per le economie domestiche e le imprese?
Attualmente le economie domestiche sono tenute a versare 451 franchi all’anno quale contributo al canone. Questo importo verrà abbassato a 365 franchi a partire dal 2019, quando verrà introdotto il nuovo modello di riscossione del canoneCollegamento esterno, approvato nel 2015 dal popolo svizzero.
Per le imprese verrà applicata dall’anno prossimo una tariffa progressiva, tenendo conto del loro giro d’affari. Si parte da 365 franchi per le aziende con un fatturato di oltre mezzo milione di franchi, fino a un massimo di 35’590 franchi per le imprese con oltre 1 miliardo di franchi di giro d’affari. Sono esonerate le aziende con un fatturato inferiore a mezzo milione di franchi.
Quali sono le quote del mercato radiotelevisivo in Svizzera?
Le emittenti svizzere, sia con un mandato di servizio pubblico che puramente commerciali, sono sottoposte ad una forte concorrenza dall’estero, soprattutto dai paesi limitrofi in cui si parla la stessa lingua delle tre principali regioni elvetiche.
La concorrenza dai paesi vicini è particolarmente forte nel settore televisivo, più lucrativo dal profilo della pubblicità: oltre il 42% del volume d’affari pubblicitario totale viene assorbito già oggi dalle emittenti estere. Nel settore radiofonico, la SSR e le reti private svizzere mantengono invece una posizione incontrastata.
Quali sono gli argomenti dei promotori dell’iniziativa?
Secondo i promotoriCollegamento esterno, il canone rappresenta una tassa obbligatoria che limita la libertà di ogni individuo e riduce il suo potere di acquisto. Ognuno dovrebbe poter decidere da solo come spendere questo importo per usufruire dell’offerta di prodotti mediatici oppure per altri scopi. Questa tassa pesa in particolare sulle famiglie e le persone con redditi modesti. Il canone grava anche sul fatturato delle imprese e sull’economia. La sua abolizione permetterebbe di impiegare 1,37 miliardi di franchi all’anno per stimolare la congiuntura e creare nuovi posti di lavoro.
La soppressione del canone renderebbe inoltre la SSR più libera e indipendente. Attualmente l’impresa radiotelevisiva sarebbe troppo dipendente dallo Stato, che fissa l’importo del canone, rilascia la concessione della SSR e nomina direttamente una parte dei membri del suo consiglio d’amministrazione. Si rafforzerebbe così il quarto potere esercitato dai media.
Rimuovere il canone consentirebbe pure di creare un mercato più concorrenziale, libero e giusto, a vantaggio del pubblico. La concorrenza porta ad una migliore qualità, a maggiore diversità e a prezzi inferiori. L’attuale posizione dominante della SSR distorce invece il mercato mediatico, a scapito degli attori privati, che beneficiano di una piccola quota del canone.
I promotori dell’iniziativa affermano di non volere la fine della SSR, ma del canone, che ai loro occhi rappresenta una reliquia del passato. Tramite l’imposizione del canone, la Confederazione non tiene conto dei cambiamenti tecnologici in corso e della nuova offerta digitale, che permette ai consumatori di visionare in qualsiasi momento trasmissioni in differita, di selezionare nuove reti televisive a pagamento o di accedere ai contenuti forniti da nuovi distributori via internet, come Netflix.
Perché il Consiglio federale invita a respingere l’iniziativa?
Secondo il governo, l’iniziativa nuoce invece alla pluralità e alla qualità dei media in Svizzera. In un Paese di piccole dimensioni e con quattro lingue nazionali, la pubblicità e le sponsorizzazioni non bastano a finanziare una vasta gamma di trasmissioni radiotelevisive di qualità, equivalenti per ogni regione. L’abolizione del canone andrebbe in particolare a scapito delle minoranze linguistiche e delle regioni periferiche, che non dispongono di un mercato pubblicitario abbastanza vasto.
Agli occhi del Consiglio federale, l’iniziativa indebolisce drasticamente l’offerta delle emittenti con un mandato di servizio pubblico, incaricate di promuovere la libera formazione delle opinioni e lo sviluppo culturale in ogni regione linguistica e in modo indipendente da interessi politici ed economici. La soppressione del canone favorisce, per contro, l’espansione sul mercato mediatico di finanziatori privati e gruppi stranieri, che perseguono obbiettivi puramente commerciali e orientano la loro offerta a interessi maggioritari. Ciò impoverirebbe la pluralità dei media, essenziale in un Paese a democrazia diretta come la Svizzera.
L’iniziativa avrebbe varie ripercussioni negative anche sul piano economico, sostiene ancora il governo. Provocherebbe la soppressione di varie migliaia di posti di lavoro presso le emittenti con un mandato di servizio pubblico e diverse altre imprese partner, ad esempio nel settore audiovisivo. Gli introiti pubblicitari verrebbero ancora più sottratti al mercato indigeno, per defluire all’estero. Inoltre la fruizione dell’offerta mediatica risulterebbe più costosa per molte economie domestiche. I prezzi degli abbonamenti delle televisioni a pagamento, ad esempio per eventi sportivi, tendono a salire e la loro offerta non è accessibile in tutte le regioni del Paese.
Senza i proventi del canone, la SSR non potrebbe inoltre più dare un contributo importante alla promozione in Svizzera della cultura e dello sport. Oggi, ad esempio, partecipa in modo rilevante alla produzione cinematografica, riserva un ampio spazio alla musica svizzera e produce trasmissioni di manifestazioni sportive difficilmente finanziabili solo con la pubblicità e le sponsorizzazioni. Rischiano di essere soppressi anche i servizi speciali realizzati dalla SSR per i disabili sensoriali, come i sottotitoli o la descrizione sonora dei contenuti video.
Qual è la posizione del Parlamento?
La maggioranza del Parlamento ha seguito le argomentazioni del Consiglio federale, considerando che un indebolimento dei media del servizio pubblico costituisce un pericolo per la coesione nazionale e la democrazia. L’iniziativa è stata respinta dal Consiglio nazionale con 129 voti contro 33 e 32 astensioni, mentre il Consiglio degli Stati l’ha silurata con 41 voti contro 2 e 1 astensione. Il testo è stato sostenuto quasi soltanto da rappresentanti dell’Unione democratica di centro (UDC). Entrambe le Camere hanno inoltre bocciato una proposta dell’UDC, che chiedeva di dimezzare il canone radiotelevisivo.
SWI swissinfo.ch è un’unità aziendale della SSR e viene finanziata per la metà tramite il canone radiotelevisivo Billag.
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