In prima linea per Cancun
Gli specialisti dei negoziati in ambito climatico hanno ripreso i colloqui un mese dopo il vertice di Copenaghen, in vista dell'appuntamento messicano di fine anno. Swissinfo.ch ha intervistato Thomas Kolly, responsabile del settore Affari internazionali presso l'Ufficio federale dell'ambiente.
Copenaghen? «Una tappa intermedia», aveva dichiarato il ministro svizzero dell’ambiente Moritz Leuenberger dopo la laboriosa conclusione del vertice danese a fine dicembre, una conclusione che non aveva peraltro soddisfatto le aspettative elvetiche.
swissinfo.ch: Un mese dopo Copenaghen il retrogusto amaro è ancora presente?
Thomas Kolly: Non direi. Da Copenaghen non sono effettivamente scaturiti i risultati auspicati, ma siamo lontani dalla frustrazione talvolta descritta dalla stampa. L’aspetto positivo del vertice è stato il fatto di essere riusciti a evitare una rottura. Il processo si trova ora in una fase di rilancio.
Entro la fine del mese di gennaio, la maggior parte dei paesi annuncerà al segretariato sul clima di Bonn gli obiettivi in materia di riduzione dei gas a effetto serra e di finanziamento [fondi destinati ai paesi in via di sviluppo per contrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici]. Questi elementi fanno parte dell’Accordo di Copenaghen.
swissinfo.ch: Vi saranno tensioni in merito a questi annunci?
T.K.: Non credo. È possibile che certi paesi notifichino le loro cifre in ritardo, ma questo non costituirebbe una catastrofe. Mi aspetto che i partner più importanti – Unione europea, Svizzera, Giappone e i paesi emergenti come la Cina, l’India e il Brasile – indichino le loro cifre tempestivamente.
In ogni caso, va sottolineato che non ci saranno grandi novità. Si tratta infatti di un atto formale: gli Stati in questione comunicheranno un ordine di grandezza già reso noto a Copenaghen o prima ancora.
Questo tema ha costituito l’oggetto principale delle discussioni di Siviglia della scorsa settimana [riunione informale dei ministri dell’energia e dell’ambiente dell’Unione europea, a cui ha presenziato anche l’elvetico Moritz Leuenberger]. I paesi dell’Ue si sono accordati in merito all’annuncio ufficiale delle cifre, confermando gli orientamenti definiti prima del vertice di dicembre.
L’incontro di Siviglia ha inoltre permesso di ribadire l’obiettivo di siglare un accordo giuridicamente vincolante in occasione del vertice di Cancun alla fine del 2010.
swissinfo.ch: Cosa annuncerà la Confederazione entro la fine di gennaio?
T.K.: La questione è attualmente oggetto di discussione. Comunque la posizione della Svizzera non è sostanzialmente mutata: siamo pronti a diminuire del 20% le emissioni [entro il 2020 in base ai livelli del 1990], indipendentemente da ciò che faranno gli altri. La Confederazione è disposta ad arrivare fino al 30%, se gli altri paesi dovessero aumentare il loro contributo.
swissinfo.ch: Quale è la strategia della Svizzera dopo Copenaghen?
T.K.: Il nostro mandato era relativamente ampio e copriva tutti gli aspetti dei negoziati. Tenendo conto di quanto resta da fare, tale mandato rimane solido. Esso costituisce inoltre un’ottima base per il futuro incarico che il governo ci dovrà affidare.
La prossima conferenza sul cambiamento climatico si terrà in Messico, un paese partner della Confederazione da vari anni. Insieme abbiamo creato un gruppo negoziale unitamente alla Corea del Sud, al Principato di Monaco e al Liechtenstein [Gruppo dell’integrità ambientale, istituito nel 2000 nel quadro della Convenzione sul clima]. Ciò significa che la Svizzera sarà fortemente impegnata nella fase di preparazione alla conferenza.
Con i nostri omologhi messicani cercheremo di concentrarci sulla sostanza. Per quanto concerne la questione dell’adattamento ai cambiamenti climatici, ad esempio, non dovremo invitare unicamente i grandi paesi, ma anche Tuvalu. Quest’ultimo Stato conta solo 10’000 abitanti, ma la sua stessa esistenza è minacciata dal cambiamento climatico.
Tuvalu si è opposto all’accordo di Copenaghen: l’idea è pertanto quella di coinvolgere nelle discussioni il più presto possibile i paesi chiave, in modo da evitare sorprese al momento delle decisioni sull’intesa finale.
swissinfo.ch: Un mese dopo il vertice, si ha l’impressione che la questione del cambiamento climatico non sia più un tema di stretta attualità…
T.K.: È quasi una legge naturale. L’interesse mediatico è elevato due mesi prima delle grandi conferenze, poi diminuisce. Ed è proprio in questa fase che le persone coinvolte nei negoziati devono rimettersi al lavoro.
È inoltre necessario rilevare che a Copenaghen non è stato possibile stabilire il programma di lavoro e le procedure per il 2010, ciò che rappresenta un elemento estremamente importante per il lavoro a livello internazionale e costituisce quindi il nostro compito attuale.
swissinfo.ch: I meccanismi decisionali e le procedure dell’ONU sono state oggetto di critiche prima e dopo il vertice a causa della loro inadeguatezza rispetto alle sfide climatiche. Si ripartirà sulle medesime basi?
T.K.: Le critiche si riferivano al vertice di Copenaghen in sé. L’incontro era infatti troppo affollato: con tutto il rispetto per le organizzazioni coinvolte e i loro membri, soltanto duecento persone erano realmente coinvolte nei negoziati.
Talvolta, in questo genere di incontri è necessario potersi appartare a piccoli gruppi, per condurre una discussione franca e aperta ed elaborare possibili soluzioni. Invece, con 50’000 persone attorno e la pressione dei media, abbiamo pagato lo scotto del grande interesse per la questione climatica. Tutti volevano essere presenti a Copenaghen, e in contesto simile è molto difficile operare efficacemente. In Messico, sarà fondamentale sedersi al tavolo con chi ha davvero qualcosa da dire, concentrandosi sulla sostanza.
Fatta eccezione per Tuvalu, i paesi che si sono opposti all’accordo danese non l’hanno fatto per motivi legati al clima. Il Venezuela, la Bolivia, il Sudan, Cuba, il Nicaragua hanno soprattutto voluto distanziarsi dagli Stati Uniti e umiliare il presidente Obama, che si era impegnato in prima persona. Si tratta di posizioni che dovrebbero essere evitate nel 2010.
Pierre-François Besson, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)
Il testo, un documento di tre pagine, fissa come obiettivo il limite di riscaldamento del pianeta a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali.
Prevede anche aiuti pari a 30 miliardi di dollari su tre anni per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici, e una successiva crescita degli aiuti fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020.
I rappresentanti di quasi 200 paesi si sono riuniti dal 7 al 18 dicembre a Copenaghen per cercare di raggiungere un accordo sul clima che dovrà prolungare o sostituire il Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012.
L’obiettivo principale era la riduzione le emissioni di gas a effetto serra affinché l’aumento delle temperature non sia superiore a 2 gradi rispetto all’era preindustriale.
Il Giec (Gruppo d’esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima) ritiene necessaria una riduzione del 25-40% delle emissioni dei paesi industrializzati entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990.
Il governo elvetico vuole ridurre del 20% le emissioni della Svizzera entro il 2020. Berna è pronta comunque a fissare un obiettivo del 30%.
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