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Bührle e arte trafugata, necessarie altre ricerche sulla Collezione

Raphael Gross
Raphael Gross, presidente del Museo storico tedesco di Berlino, in occasione di una conferenza stampa sul rapporto dei risultati e sulle raccomandazioni per la gestione della Collezione Bührle. Zurigo, 28 giugno 2024. Keystone / Ennio Leanza

La collezione Bührle, in prestito al Kunsthaus di Zurigo, per Raphael Gross è "storicamente contaminata, in una misura forse unica in Svizzera". Secondo il rapporto del presidente del Deutsches Historisches Museum di Berlino, la provenienza di molti capolavori è incerta per cui sono indispensabili ulteriori ricerche.

Le indagini di Raphale Gross, contenute nel rapporto presentato il 28 giugno scorso, concludono che le ricerche sulla provenienza delle opere d’arte condotte finora su questa collezione d’arte impressionista e moderna di livello mondiale sono “inadeguate”.

Lo scandalo è scoppiato nel 2021 dopo che il Kunsthaus di Zurigo ha inaugurato il suo nuovo stabile da 206 milioni di franchi svizzeri, progettato da David Chipperfield e costruito in parte per esporre capolavori di artisti come van Gogh, Cézanne e Monet in prestito dalla Fondazione Collezione E.G. Bührle.

Emil Georg Bührle, industriale e collezionista d’arte morto nel 1956, divenne l’uomo più ricco della Svizzera vendendo, tra le altre cose, cannoni antiaerei alla Germania durante la Seconda Guerra Mondiale. È anche noto per aver tratto profitto dal lavoro degli schiavi nei campi di concentramento nazisti e per aver acquistato opere d’arte saccheggiate agli ebrei dal regime di Adolf Hitler. 

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Storici e ricercatori hanno sollevato dubbi sulle origini di alcune delle opere esposte al Kunsthaus e hanno accusato la Fondazione Bührle di aver ripulito la loro provenienza. Alcuni hanno persino affermato che il museo zurighese non avrebbe mai dovuto accettare il prestito, viste le origini della ricchezza di Bührle.

In risposta al clamore sollevato, il Cantone, la città di Zurigo e gli amministratori del Kunsthaus hanno chiesto a Raphael Gross di redigere una relazione che valutasse la ricerca sulla provenienza delle opere condotta dalla Fondazione Bührle. 

Presentato alla fine di giugno, il rapporto Collegamento esternoha rilevato che la ricerca della Fondazione non è stata adeguata, anzi “spesso è stata così superficiale da trascurare indicatori decisivi”. Secondo il rapporto, sono indispensabili ulteriori ricerche.

Omissioni scomode

La ricerca sulla provenienza – che permette di tracciare la storia della proprietà di un’opera d’arte – è essenziale per determinare se un dipinto è stato saccheggiato da un collezionista ebreo o se è stato venduto a seguito della persecuzione nazista, e quindi è soggetto a restituzione secondo le linee guida internazionali.

Dei 205 dipinti concessi in prestito fino al 2034 dalla Fondazione Bührle al Kunsthaus, secondo il rapporto, 133 erano di proprietà di ebrei in un momento precedente al 1945. Nella ricerca della Fondazione molte di queste opere non erano elencate come appartenenti a persone di confessione ebraica.  

Una sala espositiva.
Il Kunsthaus ha inaugurato una mostra rinnovata nel 2023, per rispondere alle precedenti ondate di critiche sulla gestione della collezione. Senza successo: pochi giorni prima dell’inaugurazione della nuova mostra, il comitato consultivo del museo si è dimesso in massa, in disaccordo con il modo in cui il museo e la Fondazione Bührle hanno condotto la ricerca sulla provenienza. Keystone / Ennio Leanza

“Questa collezione è storicamente particolarmente contaminata, in una misura forse unica in Svizzera”, ha dichiarato Gross in un’intervista a SWI swissinfo.ch.  “C’è un legame storicamente molto chiaro tra la persecuzione dei collezionisti ebrei da parte dei nazisti e la collezione Bührle”.

“Sappiamo da altre ricerche storiche – racconta Gross – che Bührle ha tratto profitto indirettamente dal lavoro degli schiavi nei campi di concentramento tedeschi per la produzione di armi, e sappiamo che dopo il 1945 ha fatto lavorare donne svizzere in condizioni quasi da campo di lavoro nazista. Abbiamo quindi un problema etico sulla provenienza del denaro”.

“Inoltre, utilizzò il denaro guadagnato in questo modo per costruire la sua collezione. Bührle iniziò a collezionare opere nel 1936, quando la persecuzione degli ebrei in Germania era nota e il mercato era stato trasformato dai collezionisti ebrei che vendevano le loro opere d’arte a causa della persecuzione nazista”.

Nel contratto Collegamento esternodi finanziamento con la città e il Cantone Zurigo, il consiglio di amministrazione del Kunsthaus si è impegnato a rimuovere dall’esposizione qualsiasi dipinto che si riveli essere stato saccheggiato agli ebrei o venduto a causa delle persecuzioni.

Posizioni morali ed etiche sbagliate

Il rapporto di Gross suggerisce che gli amministratori del Kunsthaus avrebbero dovuto istituire una commissione indipendente per valutare le singole opere sulla base delle ricerche di provenienza condotte dallo stesso museo e stabilire se dovessero essere ancora esposte al Kunsthaus. Una commissione di questo tipo, a suo avviso, solleverebbe dall’onere la gestione del museo.

Il rapporto contesta anche l’uso del nome di “Bührle” per descrivere la collezione, affermando che ciò “rende dignitoso il suo nome e quindi la sua intera collezione. Alla luce dei risultati di questo rapporto, ci si chiede se un’istituzione pubblica possa risolvere questo problema con la sua posizione morale ed etica”.

La Sultana di Edouard Manet.
Informazioni sul collezionista d’arte Max Silberberg, ucciso ad Auschwitz, nella rinnovata mostra della Collezione Emil Bührle. Keystone / Ennio Leanza

La città, il Canton Zurigo e gli amministratori della Kunsthaus hanno dichiarato in un comunicato comune di riconoscere che “una parte considerevole delle opere della Collezione Bührle era di proprietà ebraica prima della Seconda Guerra Mondiale”.

In qualità di committenti del rapporto di Gross, essi considerano loro dovere “determinare le misure appropriate nel più breve tempo possibile” e hanno aggiunto che “ulteriori ricerche sulla provenienza sono la prima cosa da fare. Questo costituirà la base per una valutazione delle opere d’arte perse a causa delle persecuzioni e per la ricerca di soluzioni eque e giuste”.

Le tre parti hanno sottolineato che la decisione di restituire o meno i dipinti agli eredi dei collezionisti ebrei spetta comunque alla Fondazione Bührle in quanto proprietaria della collezione. La Fondazione ha accettato di iniziare le discussioni su come procedere dopo la pausa estiva. In risposta al rapporto di Gross, il consiglio di amministrazione della Fondazione ha detto solo che “esaminerà il rapporto e lo commenterà a tempo debito”.

Ma due settimane prima che Gross pubblicasse il suo rapporto, la Fondazione Bührle ha annunciato che avrebbe cercato un accordo con gli eredi dei precedenti proprietari ebrei di cinque dipinti, di Monet, van Gogh, Gauguin, Courbet e Toulouse-Lautrec.

Una cassa per trasportare un quadro.
Una cassa da trasporto davanti a una parete su cui erano appesi i dipinti della Collezione Emil Bührle alla Kunsthaus di Zurigo. In un’ulteriore valutazione della provenienza, la Collezione EG Bührle ha trovato cinque opere che potrebbero rientrare nel campo di applicazione delle ultime linee guida per il trattamento dell’arte trafugata dai nazisti. Le opere sono state rimosse dalla mostra al Kunsthaus. Keystone / Michael Buholzer

La Fondazione ha dichiarato che la decisione non si basa su nuove ricerche, ma piuttosto sulle nuove linee guida internazionali per la gestione dell’arte perduta a causa delle persecuzioni naziste. Approvate a marzo da 25 Paesi, tra cui la Svizzera, le nuove “Best Practices for the Washington Principles on Nazi-Confiscated ArtCollegamento esterno” mirano a chiarire e rafforzare i Principi di Washington del 1998.

Per quanto riguarda un sesto dipinto, La Sultana di Edouard Manet, la Fondazione ha dichiarato che cercherà un “accordo simbolico” con gli eredi del collezionista d’arte ebreo Max Silberberg, anche se le circostanze della perdita non rientrano, secondo la Fondazione, nei criteri di queste Best Practices.

La volpe nel pollaio

Secondo Gross, l’annuncio non ha risposto alle domande aperte su come sono state condotte la ricerche di provenienza delle opere d’arte da parte della Fondazione, ma è apparso piuttosto come “una risposta di crisi per dimostrare che sono disposti a fare qualcosa”.

Il suo team ha analizzato da vicino altri quattro dipinti della collezione per valutare la ricerca di provenienza della fondazione. Nel caso della Testa di contadina (1885) di Vincent van Gogh, ad esempio, hanno scoperto che era di proprietà di un collezionista ebreo in epoca nazista. Ma la Fondazione Bührle aveva descritto la sua provenienza come “priva di indicazioni di collegamenti problematici” nella sua ricerca pubblicata.

Per Gross, una delle lezioni da trarre è l’importanza della ricerca indipendente sulla provenienza. Le nuove Best Practices approvate quest’anno affermano che “la ricerca sulla provenienza, in particolare per quanto riguarda le potenziali rivendicazioni, dovrebbe idealmente essere condotta da un organismo di ricerca indipendente per evitare possibili conflitti di interesse”.

La maggior parte delle ricerche sulla provenienza, tuttavia, aggiunge Gross, “è condotta dai proprietari, quindi questa è la regola, non l’eccezione”.

“È un grosso problema – conclude Gross –. È ovvio che la ricerca dovrebbe essere sempre indipendente, per evitare possibili conflitti di interesse. Ma nel caso dell’arte, le ricerche vengono condotte direttamente dalle persone che li possiedono: questo non è chiaramente indipendente”.

Alexander Jolles, presidente della Fondazione EG Bührle.
Alexander Jolles, presidente della Fondazione Collezione EG Bührle, al centro, accanto a Conrad Ulrich, presidente ad interim della Società d’Arte di Zurigo, a sinistra, e a Joachim Sieber, responsabile delle provenienze della Kunsthaus di Zurigo, durante una conferenza stampa sulla ricerca di provenienza della fondazione, il 15 dicembre 2021. Questa ricerca è stata duramente criticata dalla commissione indipendente di Raphael Gross. Keystone/Michael Buholzer

A cura di Mark Livingston/ts

Traduzione: Riccardo Franciolli

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