Dentro e fuori i confini
Passaggio a Charbog, villaggio smembrato dalla nuova frontiera. Tra Uzbekistan e Kirghizstan, nella striscia di terra di guardie e militari.
Un’ONG locale sostenuta dalla Svizzera promuove il dialogo tra cittadini e guardie e li informa sui rispettivi diritti. Che spesso ignorano.
Nervosismo. Il nostro arrivo alla barriera orizzontale che funge da dogana uzbeka sembra suscitarne parecchio.
“Niente fotografie”, ci dicono immediatamente i militari in servizio. Poi controllano accuratamente i nostri visti. Una procedura, anche grazie al sostegno svizzero, ormai risparmiata ai locali.
“Si è infatti ottenuto che chi risiede in un raggio di 30 km dalla frontiera non necessita più di un visto”, dice Damira Tukhtasinova, responsabile di Tarrakiyot, ONG attiva in 12 villaggi transfrontalieri del Pahta-Abad.
E per fortuna: sono ottenibili soltanto presso le ambasciate, nelle capitali. Lontanissimo da questo paesotto sperduto nell’est della Ferghana Valley.
Dove la gente, passaporto alla mano, passa il confine magari di pochi metri. Anche soltanto per recarsi al bazar, sempre vicinissimo ma ormai in un altro Stato…
Al cospetto del capo
In compagnia di pochi indaffarati abitanti locali, percorriamo a piedi i 200 metri che separano baracche, barriere ed armi dei militari “di qua” da quelli “di là”.
Nel mezzo, un paio di vie sterrate ed alcune case. Terreno uzbeko o kirghizo? Non sembra chiaro nemmeno a chi ci abita. Raggiungiamo la dogana kirghiza. Altri sguardi stupiti, infastiditi. Ancora controlli.
Di ritorno nella Charbog uzbeka, troviamo un imponente uomo di mezza età in divisa mimetica ad aspettarci. È il responsabile della dogana. Non crede alla validità dei nostri visti.
Restiamo tranquilli (sappiamo che tutto è in ordine) e consegniamo nuovamente i passaporti.
Si discute. Ad un certo punto tuona: “Qui decido io cosa è legale e cosa no”. Un istante di tensione. Poi, forse anche grazie alle targhe diplomatiche di cui disponiamo, tutto si risolve nella calma.
Abusi?
L’episodio illustra parte delle difficoltà sorte in queste discoste aree transfrontaliere dopo l’indipendenza.
Dei confini piombati improvvisamente dal cielo, a dividere società molto semplici, composte da contadini che hanno sempre convissuto. In relativa indipendenza dallo Stato.
Improvvisamente, la popolazione di villaggi come Charbog si è trovata confrontata con nuove entità: le “onnipotenti” guardie di confine. Che, in alcuni casi, hanno abusato dei loro reali o presunti poteri, ad esempio esigendo denaro per permettere il transito.
“Inoltre, a causa delle frontiere mal definite e poco percepite dalla popolazione, sono nate dispute o confusioni in merito all’accesso all’acqua, alle forniture d’energia o ai diritti di cittadinanza”, sottolinea Damira Tukhtasinova.
Attenzione ai giovani
“La gente è cosciente di quanto la nuova realtà sia artificiale. Ma i giovani crescono in una società forzatamente divisa”, sostiene la responsabile di Tarrakiyot.
“È pericoloso. Soprattutto se, prima o poi, inizieranno a provare risentimenti verso le altre etnie. Magari a causa delle ristrettezze nelle quali vivono”.
“Noi tentiamo di stemperare le tensioni”, continua Damira. “Promovendo incontri e seminari, formando dei mediatori locali od informando cittadini e guardie sui loro diritti. Che spesso non conoscono affatto”.
Gli ambasciatori dell’amicizia
Dallo scorso settembre, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) sostiene finanziariamente l’attività di Tarrakiyot.
Il tutto nell’ambito di un progetto lanciato nel 1999 (Regional Dialogue and Development – RDD), che vuole essere un contributo alla stabilità della regione e che comprende pure una rete di “ambasciatori dell’amicizia”.
Ex-personalità (scienziati, dottori, giornalisti, politici), stimate e conosciute, che negoziano con autorità locali o nazionali alla ricerca di soluzioni per i problemi transfrontalieri.
“Tuttavia i confini non vanno solo demonizzati: sono ad esempio utili a controllare e combattere il fondamentalismo religioso o il traffico di droga”, ci dice Tulkun Bekmuratov, il leader degli ambasciatori uzbeki.
“Ma un giorno le frontiere spariranno nuovamente”, conclude sorridendo. “Ne siamo convinti”.
swissinfo, Marzio Pescia, Jean-Didier Revoin, Charbog
Sono quattro i problemi generati dai nuovi confini:
difficoltà di transito per persone e merci;
l’utilizzo comune di terreni e risorse idriche ormai divise;
l’accesso alle infrastrutture e alle scuole;
i diritti di cittadinanza.
L’organizzazione non governativa (ONG) Tarrakiyot vuole promuovere il dialogo nelle comunità transfrontaliere della regione di Pahta-Abad, nell’est della Ferghana Valley, in Uzbekistan.
La sua attività si concentra in un’area che comprende 12 villaggi tagliati in due dalla frontiera (in totale 12’000 abitanti). Nella zona la lunghezza complessiva del confine con il Kirghizstan è di 60 km.
Tarrakiyot beneficia del sostegno della DSC dal settembre 2003.
Il gruppo degli “ambasciatori dell’amicizia” è invece attivo, e sostenuto dalla Svizzera, già dal 2001.
Il tutto s’inserisce nel quadro del progetto svizzero “Regional Dialogue and Development Project” (RDD) che vuole essere un contributo alla prevenzione di tensioni e conflitti nella regioni di confine della Ferghana Valley.
Il budget di RDD prevede un importo di circa 4 milioni di franchi per 3 anni d’attività.
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