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L’ultima impronta a Locarno di Irene Bignardi

Irene Bignardi firma la sua ultima edizione del Festival internazionale del film di Locarno Keystone

La 58esima edizione del Festival internazionale del film di Locarno, dal 3 al 13 agosto, è l'ultima sotto la direzione artistica di Irene Bignardi.

Un’edizione ancora tutta da vivere. Ma dopo l’annuncio delle dimissioni, è già tempo dei primi bilanci. Intervista.

Nella sede del Festival del film, c’è un brulicare di persone: il presidente Marco Solari, le segretarie, le collaboratrici più strette. Irene Bignardi ci riceve nel suo ufficio con un ampio sorriso e l’agenda che trabocca di impegni.

swissinfo: Quali le ragioni che hanno pesato di più sulle sue dimissioni?

Irene Bignardi: Il desiderio di una nuova scelta di vita, semplicemente. Cinque anni a Locarno sono un ciclo importante, basti pensare che il direttore del Festival di Venezia viene chiamato a tale funzione per 4 anni. Cinque anni sono tanti per un ciclo. E sufficienti per lasciare un segno.

Non sono più una bambina, e non vorrei nemmeno più esserlo. Ho compiuto 60 anni due anni fa, un fatto inevitabilmente pubblico poiché il mio compleanno cade proprio durante il festival. Ora voglio riprendermi la mia vita.

Sono stati anni bellissimi e credo anche di lasciare un’ impronta marcata. Ho lavorato benissimo con la mia squadra. Insomma, non ci sono ragioni di scontento, se non il fatto che la vita del direttore di Festival è molto dura.

swissinfo: Che cosa porterà nella valigia dei ricordi di questa esperienza?

I.B.: Senza dubbio tra i ricordi mi resterà la passione collettiva per il cinema, una passione vissuta con entusiasmo anche nei momenti più carichi. Ma anche con depressione quando le cose non vanno per il verso giusto.

Questa passione collettiva è sempre stata palpabile in tutti noi; anzi dovrei dire tutte perché la squadra è prevalentemente femminile. In questi cinque anni non c’era direttore o vice direttore. Tutte indistintamente sapevano di lavorare per un progetto comune, da portare a termine nel migliore dei modi.

E credo davvero che qualche risultato lo abbiamo ottenuto. Abbiamo portato il cinema del reale, come il video sui fatti del G8 di Genova fresco di moviola. Abbiamo aperto Locarno alla cinematografia afgana appena riconquistata, a tre mesi dalla fine della guerra.

Da Locarno abbiamo lanciato il cinema indiano, che è poi diventato una grande moda. Abbiamo scovate delle “cose” che poi sono subito piaciute anche agli altri. Anche ai festival più grandi che ci hanno poi seguito su questa pista.

Come nel caso del cinema indiano. Nel 2000 abbiamo proiettato in Piazza Grande “Lagaan”, primo film Bollywoodiano di qualità.

swissinfo: Quali delle novità introdotte le è più cara?

I.B.: E’ difficile dirlo. Un esempio? Aver rischiato di dare in Piazza un film indiano di 3 ore e 40. Scoprire che questo film, “Lagaan”, al pubblico è piaciuto immensamente tanto da richiedere nuove proiezioni, è stato motivo di grande soddisfazione. Una scommessa, rischiosa, vinta.

Ci sono naturalmente tante altre sfumature diverse che abbiamo introdotto a Locarno e che porterò con me, come bagaglio di un piccolo successo. Penso agli incontri con i scrittori nel 2001, alla lezione di musica di Ennio Morricone, a tutta una serie di eventi anche minuti, ma che hanno nutrito il pubblico.

Il pubblico di Locarno è molto speciale, perché non va alla ricerca del glamour o delle star, ma di tutto quanto al cinema è legato. In fondo abbiamo fatto di Locarno una piccola Biennale d’Arte. Dico questo perché abbiamo travalicato i limiti del tradizionale festival cinematografico, che pure a Locarno c’è.

Un altro esempio: abbiamo ampliato la sezione “In progress” a tutte le forme d’arte legate al cinema, laddove il cinema diventa arte, portando dei personaggi legati al cinema, ma non del cinema, che il cinema lo nutrono.

Queste sono le “cose” di cui sono fiera e, credo, che abbiano lasciato il segno.

swissinfo: Quanto è difficile oggi dirigere un festival, e un festival come quello di Locarno? E in quanto donna?

I.B.: La parte difficile in quanto donna è vivere lontano dal proprio campo base, che per me è Roma. Dove c’è la mia famiglia, dove ci sono i miei libri, dove pago le bollette. Se avessi avuto una moglie forse sarebbe stato molto più facile, anche come direttore di un festival.

La vita del direttore del festival è difficile in genere. E’ vero che i mezzi sono abbondanti, ma rimangono limitati rispetto ad una concorrenza sempre più ricca ed agguerrita.

Berlino, per esempio, ha un budget doppio del nostro. E parte del denaro viene usato per il glamour, cioè per il grande richiamo, il “surplus” che crea visibilità.

Locarno ha inoltre dei problemi connaturati. A cominciare dalle date, molto difficili. Non solo perché è tempo di vacanze, ma anche perché è il periodo in cui si realizzano molti film.

Inoltre ha alle spalle un piccolo paese quadrilingue, dove il potere contrattuale delle distribuzioni rispetto al mercato internazionale è molto modesto.

In più Locarno ha una fragilità innata: il momento magico delle proiezioni in Piazza Grande è legato ai capricci della meteo. Non va inoltre dimenticato il problema dell’ospitalità causato dalla chiusura di molti alberghi.

Insomma la vita del direttore di festival è complicata, quella del direttore del Festival di Locarno un po’ di più.

swissinfo: Di che cosa ha più bisogno oggi il Festival di Locarno, oltre che dell’elemento essenziale, ossia l’amore per il cinema?

I.B.: Ha bisogno che la gente senta dell’amore per Locarno. E’ importante che personalità pubbliche, politici, sponsor, si rendano veramente conto del potenziale del Festival.

Locarno non sarebbe sulla carta del mondo, se non come piccola e deliziosa cittadina ai bordi del Lago Maggiore, se non fosse per questo Festival.

Da Locarno si diffonde l’immagine di una Svizzera internazionale, colta, indipendente in termini di scelte culturali. E la Svizzera può anche veicolare quando c’è – e quest’anno c’è – del suo buon cinema. Il Festival, inoltre, ha un impatto economico non indifferente.

swissinfo: Fra pochi giorni inizia l’ultima edizione firmata Irene Bignardi: con quale spirito affronta questo ultimo grande appuntamento?

I.B.: Con lo stesso di sempre. Ma con un lieve senso di liberazione. Non da Locarno, non dal Festival. Ma dalla mia fatica.

swissinfo: Lei è sempre stata restìa a dare consigli sull’offerta cinematografica, ritenendo che ognuno di noi potesse scegliere liberamente il proprio percorso. Ma avrà certamente dei “coup de coeur”?

I.B.: Certo che ho i miei “coup de coeur”. Ma siccome esiste una giuria, non glieli dirò. Che dire allora? Presentiamo una retrospettiva magnifica su Orson Welles. A Porte Aperte i riflettori saranno puntati sul cinema del Maghreb.

E poi, di particolare, proponiamo anche la documentazione delle opere di impacchettamento di Christo. Ci saranno insomma tanti percorsi da seguire. Come sempre

swissinfo: E dopo il Festival, con quali verbi si coniugherà la sua vita?

I.B.: Riposare, oziare, leggere le pile di libri che mi aspettano. Riprendere a scrivere, anche libri. E tornare ad insegnare all’Università di Venezia.

swissinfo, Françoise Gehring, Locarno

L’edizione 2005 si terrà dal 3 al 13 agosto
15 i lavori in concorso per il Pardo d’oro
14 i film proiettati in Piazza Grande
Per i prossimi 3 anni la Confederazione garantirà al Festival 3,2 milioni di franchi
Nel 2004 il Festival è stato seguito da circa 900 testate di 39 paesi

Irene Bignardi è nata il 10 agosto 1943 a Mantova ed è cresciuta a Milano. Ha studiato Lettere Moderne all’Univesità Statale di Milano e Communications alla Standford University.

Ha lavorato come copywriter per la Olivetti e alla RAI. E’ stata critico cinematografico dell’Espresso, inviato di Cultura e critico cinematografico di Repubblica, sin dalla fondazione.

Il suo film preferito, che chiuderà l’ ultima edizione del Festival sotto la sua direzione, è Nashville, di Robert Altman. Il film del cuore è City Lights di Chaplin. Tra i registi prediletti Federico Fellini e Billy Wilder.

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