Prospettive svizzere in 10 lingue

Massimo Rocchi, giocoliere della parola

Massimo Rocchi, maestro della mimica e della gestualità Marion Nitsch

Al comico italo-bernese Massimo Rocchi è stato consegnato a Thun, in occasione della Borsa degli Spettacoli dell'atp, il Premio svizzero della Scena 2008.

Umorista e acrobata della parola, oltre che maestro della mimica e della gestualità, nei suoi spettacoli – tra i più famosi äuä e Circo Massimo – Rocchi gioca con le lingue e le culture con ironia e grande spirito d’osservazione.

swissinfo: È rientrato dall’India proprio per ricevere il Premio svizzero della Scena. È un premio così importante per lei?

Massimo Rocchi: È un premio importantissimo perché è un premio giusto, svizzero, esatto. Nella Svizzera tedesca, per dire ‘ricevere un premio’ si usa l’espressione ‘einen Preis kriegen’ e ‘krieg’ è anche la radice di guerra, quindi immaginatevi questo premio! Per me è un premio inaspettato che ricevo dalla mia patria, la terra dove vivo e spero sia un premio ai miei 35 anni di attività.

swissinfo: Non è l’unico riconoscimento che le è stato conferito in Svizzera: nel 1997 ha ricevuto il Prix Walo, nel 1999 il Paul Haupt Preis, nel 2005 lo Swiss Award e nel 2006 lo Schweizerischer Kabarett-Preis. Che significato ha questo nuovo premio?

M.R.: Io sono un attore, ho frequentato scuole di teatro e incontro il pubblico teatrale; questo è per me un premio importantissimo; so che non è regalato. Fino al 2001 ho fatto parte della commissione; so che si discute fino all’ultimo giro e poi si vota, un voto segreto: e com’è, è.

Ed è soprattutto un premio che mi viene dato da colleghi e colleghe, da direttori di teatro, da tutte quelle persone che creano in Svizzera una rete di opportunità a chi incomincia a fare teatro.

swissinfo: Com’è iniziata la sua carriera teatrale?

M.R.: Ho 51 anni, ne avevo 16 quando incontrai il teatro. Un mio amico mi disse “sono innamorato di una ragazza, se mi accompagni al corso di teatro, lunedì ti passo il compito di chimica”.

E così smisi di nuotare e cominciai a fare teatro, per entusiasmo quasi sportivo. Ero molto timido e anche un po’ malaticcio. Facendo teatro incominciai a vedere gli occhi di altri su di me e ad accorgermi che riuscivo ad apparire. Questo mi fece molto bene.

Poi presi letteralmente una cotta – non per una ragazza ma per il teatro – lo desiderai e diventai una locomotiva, la locomotiva di Guccini che mi fece partire prima per Bologna – all’Accademia di Arte Drammatica e a Scienze delle Comunicazioni – poi per Parigi dove per 4 anni andai alla ricerca di teatro, ubriaco di teatro, di questa passione, non pensando che non sapevo il francese, che dovevo lasciare l’Italia, che andavo come un Don Chisciotte incontro a dei giganti.

swissinfo: A Parigi ha frequentato le scuole di mimo di Etienne Decroux e Marcel Marceau ma la sua fama è di acrobata della parola. Quand’è che anche le lingue sono diventate importante nel suo lavoro?

M.R.: Il mio incontro con la parola è avvenuto in Svizzera grazie ai dialetti, grazie ai racconti. Lo svizzero è un essere umano che ha una gran voglia di raccontare. Racconta molto, forse perché legge di più di altri.

swissinfo: Suo padre era un filologo delle lingue antiche. Non è che il rapporto ludico che lei ha con le lingue è nato un po’ anche in famiglia?

M.R.: Mio padre non parlava mai in casa, quando parlava, parlava greco e latino. Quando io e le mie sorelle tornavamo a casa affamati, ad esempio, non ci diceva ‘mangiate piano, sembra che non vi diamo mai da mangiare’. No, pronunciava una frase in latino tratta dall’Eneide di Virgilio che significava ‘erano così affamati dal viaggio che si mangiarono pure le mense’.

Oppure un’altra espressione che usava spesso era “cave canem” ‘attento al cane’, a cui, per prenderlo un po’ in giro, rispondevo “perché, il cane è in cantina?”. Si, penso che molto rimane. È un po’ come l’uva e il vino: non hanno niente in comune. Chi può mai immaginare che il vino sia figlio dell’uva?

swissinfo: Nei suoi spettacoli ha dimostrato sempre uno spiccato senso di osservazione e analisi per gli ambienti circostanti pur tenendo la politica a distanza. Quali sono i temi che predilige?

M.R.: La politica è marginale nel mio lavoro, ne parlo ma m’interessa di più il modo che noi abbiamo di vedere la vita. Mi piacerebbe e m’impegno a far ridere anche senza chiamare in causa i politici.

M’interessa ad esempio l’essere umano a tavola, o m’interessa di più capire perché in Ticino una sigaretta è una ‘paglia’. Perché ‘paglia’, che la paglia è quella che sta sulla ‘cadrega’! Oppure che so, perché in Italia ‘il meteo’ in Svizzera diventa ‘la meteo’? Perché in Svizzera un negozio di occhiali è una ‘brilleria’? Cosa sono queste parole?

swissinfo: Qual è il suo rapporto con il pubblico?

M.R.: Il mio rapporto con il pubblico è come quello di un pesce con l’acqua. Io non ho paura del pubblico, il pubblico mi dà la felicità della mia identità professionale, che a volte è più grande di quella umana.

Il pubblico mi dà una sicurezza anche economica, perché è la mia sovvenzione, se gli piaccio viene se non gli piaccio non viene. Ho accettato questo rischio e il pubblico è per me anche qualcosa di immateriale. Perché non è la gente. Io il pubblico non lo conosco ma lo sento, lo sento molto bene.

swissinfo: Cos’è importante per un comico?

M.R.: La prima cosa che occorre dimenticare come comico è di voler far ridere. La persona che dice “sono comico, stasera devo far ridere il pubblico”, per me non è un comico, è un barzellettiere.

Il comico è una persona che non sa di fare il comico, è una persona che prende dei rischi, una persona che accetta anche il ‘bid’, un’espressione francese stupenda per dire ‘fiasco’. Il comico ci dà sempre l’opinione C fra A e B. Chi non accetta di far fiasco non toccherà mai la parte sconosciuta del pubblico con l’opinione C.

Comunque il comico è qualcosa che non si può descrivere. Un comico è quell’essere umano che va sul palcoscenico e prima ancora di respirare sente che il pubblico sorride.

Ma il comico non è fatto solo di spontaneità, è fatto anche da un diagramma che è dato dal talento, dalla sensibilità e anche dallo studio e dall’informazione.

swissinfo: Quali sono le sue fonti d’informazione principali?

M.R.: L’esperienza, teletext, la radio e internet ma con un grande filtro. Ci sono dieci firme, non nel senso di fabbriche, ma nel senso di nomi che io cerco ogni settimana. E poi è molto importante per me vedere com’è vestito il signore o la signora del telegiornale o come vengono date le previsioni del tempo.

Occorre avere 3 orecchie come comico … e fortuna.


swissinfo, Paola Beltrame, Thun

Massimo Rocchi è nato l’11 marzo 1957 a Cesena dove ha compiuto gli studi liceali e intrapreso le prime esperienze teatrali. Rocchi continua la sua formazione prima all’Accademia di Arte Drammatica di Bologna e poi a Parigi alla scuola di Etienne Decroux e alla Scuola Internazionale Marcel Marceau.

Nel 1986 realizza lo spettacolo di pantomima “Spiagge Italiane”, e 3 anni dopo “Mammamia” che presenta in Svizzera e in Italia. Nel ’91 crea “L’oracolo del deserto”, nel ’93 “Massimo & Rocchi” e nel ’94 “äuä” lo spettacolo che gli assicura la notorietà in Svizzera. Nel 97 produce “Je viens de partir” e “Adele” e nel 2001 la versione tedesca di “Circo Massimo” a cui fa seguito 2 anni dopo quella in svizzero tedesco.

Nel frattempo lavora per la televisione: nel 91 e 92 in Italia al “Costanzo Show”, tra il 92 e il 94 in Spagna con Raffaella Carrà nella trasmissione “Hola Raffaella”, dal 97 al 99 in Germania e successivamente alla DRS svizzera in “Benissimo” e “Piccobello”.

Attualmente Rocchi sta girando un po’ in tutta la Svizzera con lo spettacolo “Circo Massimo” che nel mese di luglio farà tappa anche a Lugano.

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