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Meret Oppenheim: le scintille dei sogni e degli oggetti

La "Colazione in pelliccia" (1936), al centro della retrospettiva offerta dal Museo d'arte di Berna Keystone

Il Kunstmuseum di Berna propone la più grande retrospettiva dedicata finora in Svizzera a Meret Oppenheim, che aveva firmato diverse opere diventate oggetti di culto del Surrealismo.

La mostra presenta oltre 220 manufatti, dipinti e disegni, tra cui il famoso “Déjeuner en fourrure”, custodito gelosamente dal Moma di New York.

Cresciuta un po’ in Germania e un po’ in Svizzera, già da giovane Meret Oppenheim decise di diventare un’artista, influenzata soprattutto dai nonni, che coltivavano nel Giura il piacere della scrittura e della pittura.

Così nel 1932, a 18 anni, se ne andò assieme all’amica artista Irène Zurkinden a Parigi, incurante degli avvertimenti del padre, per il quale nessuna donna aveva mai “fornito un contributo importante all’arte”.

Ma, per Meret Oppenheim, l’arte doveva essere come la libertà. “Non bisogna aspettare che la libertà ci venga data, bisogna prendersela”, aveva dichiarato in una memorabile conferenza tenuta nel 1975 a Basilea, in cui condannò millenni di discriminazione dell’ispirazione artistica femminile.

Musa del surrealismo

A Parigi, dove frequentava con poca assiduità l’Académie de la Grande Chaumière, la giovane donna incontrò Alberto Giacometti e Hans Arp, che la invitarono ad unirsi ai surrealisti e ad esporre le sue opere nel “Salon des superindépendants”.

L’esperienza nel gruppo di artisti, che dominava la scena culturale parigina di quell’epoca, la rese famosa nel giro di poco tempo. Prima ancora di farsi un nome come artista, Meret Oppenheim assurse a musa del Surrealismo, ritratta completamente nuda in una serie di immagini del grande fotografo Man Ray.

Probabilmente, i surrealisti l’avrebbero lasciata volentieri in questo ruolo. André Breton e compagni nutrivano una visione rivoluzionaria della donna, posta molto spesso al centro della loro creazione artistica.

Ma, nel contempo, i surrealisti coltivavano un culto assai romantico della rappresentazione femminile. La donna era innanzitutto oggetto di devozione, di desiderio, di ispirazione, di rivelazione tra l’artista e il mondo.

“Meret Oppenheim non voleva limitarsi ad apparire come la musa del Surrealismo. È diventata così una delle poche donne ad affermarsi come artista in questo gruppo, dominato quasi esclusivamente da uomini”, osserva Matthias Frehner, direttore del Kunstmuseum di Berna.

Il fascino dei sogni

Nel 1936, poco tempo dopo il suo arrivo a Parigi, Meret Oppenheim suscitò sensazione all’interno del movimento artistico, esponendo un piatto, una tazza e un cucchiaio ricoperti da uno strato sottile di pelliccia. “Déjeuner en fourrure” diventò immediatamente un oggetto di culto del Surrealismo.

Una “reliquia” che il Museo d’arte moderna (Moma) di New York ha accettato di concedere a Berna solo dopo tre anni di trattative. E a cui il Kunstmuseum non ha voluto assolutamente rinunciare, preferendo rinviare fino ad oggi la sua retrospettiva, programmata già nel 2003.

“Il valore di un’immagine dipende dalla scintilla che riesce a produrre”, aveva scritto nel 1924 André Breton, per il quale anche gli oggetti più banali dovevano servire a tradurre i sogni dell’artista in realtà. Negli anni ’30-40, prima di piombare in una lunga crisi depressiva, Meret Oppenheim produsse diverse altre “scintille” che rappresentano probabilmente il meglio della sua creazione.

Tra queste, diversi oggetti di uso quotidiano, trasformati dalle mani dell’artista, estraniati dalla loro funzione fino ad assumere un nuovo potere espressivo, come “Ma governante – my nurse – mein Kindermädchen” (1936) o “Pelzhandschuhe” (Guanti di pelliccia, 1936-39).

Ma anche numerosi dipinti – tra cui “Die Waldfrau” (La donna della foresta, 1939) o “Sonne, Mond und Sterne” (Sole, luna e stelle, 1942) – dai quali emerge il fascino esercitato dai sogni sull’artista. Per Meret Oppenheim, che dall’età di 14 anni aveva preso l’abitudine di trascrivere su carta le sue visioni oniriche, erano “gli artisti che sognano per la società”.

Spirito androgino

“Meret Oppenheim ha sicuramente lasciato in questi anni alcune delle opere più essenziali dell’arte del 20esimo secolo. Ma soprattutto va ricordata per la sua enorme ricerca creativa, una diversità di temi, materiali e forme artistiche che si riscontra solo raramente”, sottolinea Matthias Frehner.

Ritornata in Svizzera nel 1939, l’artista ritrovò soltanto dalla metà degli anni ’50, a Berna, la sua vena creativa. La sua arte, poco recepita inizialmente sulla scena elvetica, venne riscoperta dagli anni ’60.

Considerata da allora un’icona del femminismo nascente, Meret Oppenheim preferiva distanziarsi anche da questo marchio riduttivo. Considerava che l’arte doveva essere il prodotto di uno spirito androgino: “Lo spirito della donna è sempre stato presente nell’arte dell’uomo e così lo spirito dell’uomo ha sempre popolato l’arte femminile”.

swissinfo, Armando Mombelli

Di madre svizzera e padre tedesco, Meret Oppenheim è nata nel 1913 a Berlino.

Cresciuta a Steinen (Germania), Basilea, Delémont e Carona, nel 1932 se ne va a Parigi per diventare artista.

Accolta nel gruppo dei surrealisti, nel 1936 espone “Déjeuner en fourrure” e “Ma gouvernante – my nurse – mein Kindermädchen”, che diventano immediatamente oggetti di culto del Surrealismo.

Ritornata definitivamente in Svizzera nel 1939, Meret Oppenheim precipita in una crisi depressiva, da cui uscirà soltanto verso la metà degli anni ’50.

Nel 1975 ottiene il Premio d’arte della città di Basilea e nel 1982 il Grande premio della città di Berlino.

Morta nel 1985 a Basilea, oggi Meret Oppenheim viene considerata la più grande rappresentante femminile dell’arte svizzera del 20esimo secolo, assieme a Sophie Tauber-Arp.

La retrospettiva di Meret Oppenheim, intolata “Mit ganz enorm wenig viel” (Con molto poco, tanto) rimane aperta fino all’8 ottobre 2006.
La mostra propone circa 220 oggetti manufatti, dipinti e disegni dell’artista che, alla sua morte, aveva donato numerose opere al Kunstmuseum di Berna.

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