Per Godard le danze iniziano a Locarno
Culla del cinema d'autore, il Festival del film di Locarno ha fatto dello spirito di scoperta la sua forza. E proprio a Locarno si aprono le danze per un progetto sul regista francese di origini svizzere Jean-Luc Godard.
Locarno è stato il primo festival a consacrare, a livello internazionale, la Nouvelle Vague con “Le beau Serge” di Claude Chabrol. Proprio da qui sta partendo un progetto su un esponente di spicco della Nouvelle Vague, ossia Jean-Luc Godard, regista francese di origini svizzere, Pardo d’onore a Locarno nel 1995 e presente in questa edizione del Festival con il “Film socialisme”.
Il percorso di Godard ci offre soprattutto lo spunto per parlare del cinema d’autore con il drammaturgo e regista italiano Carlo Rafele, ideatore del progetto sul regista franco-svizzero. Un esercizio non scontato, sicuramente inconsueto e per certi versi ardito.
swissinfo.ch: Carlo Rafele, parliamo di Godard, allora!
Carlo Rafele: No, parliamo d’altro. A Godard arriveremo comunque.
swissinfo.ch: Allora di che cosa parliamo?
C.R: Di cinema, di cinema d’autore, dei Cahiers, di una stagione di immortale giovinezza che non si riesce a oltrepassare. Parliamo del cinema di oggi, della Storia contemporanea che martella le nostre teste e che il cinema non riesce a raccontare.
swissinfo.ch: Il cinema ci prova…
C.R.: Il cinema tenta in questi anni di affondare lo sguardo nel puzzle della contemporaneità, come vediamo qui a Locarno. Eppure, mai come oggi vediamo quanto si sia fatto difficile gettare una macchina da presa davanti al “presente” e coglierlo in flagranza di reato.
swissinfo.ch: È diventato così gravoso rappresentare al cinema la sorte di noi contemporanei?
C.R.: Il cinema dovrebbe rischiarare, portare alla luce, ciò che rimane interrato sotto lo sciame di cronaca quotidiana che ci deflagra addosso. Come diceva Bréton: “Servono fanali nella notte del senso”!
swissinfo.ch: Certo, André Breton. Dimenticavo di ricordare che lei non è un critico cinematografico né un giornalista. Guarda al cinema come esperienza intellettuale in senso pieno: spettatore incantato che frequenta letteratura, teatro, filosofia.
C.R.: E c’è soprattutto una parolina magica che ha sempre turbato le mie notti, quella parolina che per Godard e per la generazione dei Cahiers si era fatta imperativo morale.
swissinfo.ch: Ovvero?
C.R.: Critica, critique. Ma in una accezione piena, in una veste ermeneutica. Oggi non si può fare cinema d’autore se non ci si interroga sui rapporti che le “cose”, i “fenomeni”, stabiliscono nel loro divenire… Se non si medita sulle “strutture” e sugli intrecci di linguaggi che la storia contemporanea consegna all’arte cinematografica.
Secondo me, uno dei più alti insegnamenti di Godard sta nel pretendere, da chi intende fare cinema, il “perché” voglia farlo! Battersi il petto innumerevoli volte e chiedersi: perché faccio questo film? Così, la critica diventa via d’accesso, passaggio nell’oltre.
swissinfo.ch: Verso dove, verso che cosa?
C.R.: Il non visto, il non detto, il non pensato, il non riconosciuto. Critica è lavoro da ricercatori audaci; sul critico grava il compito di giungere là dove l’autore dell’opera non ha trovato le “parole”, le ultime. Ricorda i “Sei personaggi in cerca d’autore”?
swissinfo.ch: Luigi Pirandello? Sì, certo, ma cosa c’entra?
C.R.: Ecco: la critica va subito a cercare le ragioni di quel numero, vuole sapere a tutti i costi perché quelle creature pirandelliane fossero “sei” e non otto, nove.
swissinfo.ch: E lo si può sapere?
C.R.: Certo. C’è stato, infatti, chi lo ha scoperto, spalancando uno scenario allegorico che lo stesso Pirandello non aveva previsto. Per Godard, per i Cahiers, è stata la stessa cosa: il loro sguardo critico ha permesso ad alcuni cineasti di ottenere quell’investitura e quella sovranità che, altrimenti, non avrebbero conquistato. I nomi sono tanti: da Mankiewicz a Hitchcock, da Max Ophuls a Orson Welles, da Bergman a Rossellini.
swissinfo: Nel suo ultimo lavoro “Film socialisme” dove corre e dove si ferma lo sguardo di Godard?
C.R.: È un nuovo miracolo. Sembra un Godard tornato alle origini, che raduna scampoli di umanità dentro una nave da crociera in viaggio per il Mediterraneo. Una umanità che continua a raccontarsi storie, che continua a ritenersi “affidabile”, sebbene nelle parole che pronuncia non ci sia più costrutto né credibilità: sono corpi e parole in balìa delle onde, sovrastati dal dilagare di un vento impetuoso.
“Sapevi – sussurra una voce sotterranea – che la parola kamikaze in giapponese significa divinità del vento?” Noi non lo sapevamo, però abbiamo visto e capito – grazie al lucido sguardo di un giovane regista che si firma Jean-Luc Godard – che ancora una volta tocca “destarsi”, pena il rischio di ritrovarci turisti in libera uscita, nell’attesa che qualcuno si incarichi di avvertirci dove andremo a morire.
swissinfo.ch: Che progetto ha in mente su Godard e perché è venuto a Locarno?
C.R.: Non potevo che iniziare le danze partendo da qui. Locarno è un Festival che mi capita di frequentare con gioia. A Locarno il cinema d’autore ha trovato la sua magnifica dimora.
In questi giorni sto incontrando amici cinéphiles, a cui domando consigli e suggerimenti: la mia speranza è poter coinvolgere le istituzioni culturali svizzere, rendere possibile che sia lo stesso Festival di Locarno, nel futuro prossimo, a ospitare questo evento.
swissinfo.ch: In concreto, cosa vorrebbe fare?
C.R.: Creare uno Spazio full-immersion su Godard e dintorni, un luogo a schermi multipli, con piccole sale-nicchia, dove si proiettino per 24 ore materiali di quell’unica, irripetibile stagione.
Quindi, non soltanto il cinema di Godard ma una congerie di documenti visivi che raccontino ogni suggestione di quella stagione éblouissante : documentari, ritratti di attori e attrici, profili dei direttori della fotografia e dei produttori, trailer, promozioni pubblicitarie… senza trascurare le condizioni produttive che hanno reso possibile quel cinema.
Appena fuori dagli “schermi”, lo spettatore potrà poi incontrare alcuni personaggi-testimoni di quell’epoca, i quali spiegano e commentano come fosse fatto quell’universo-mondo. Insomma, una fascinazione ininterrotta.
swissinfo.ch: Quali ospiti ha previsto?
C.R.: La lista è lunga, com’è facile arguire. E potrebbero esserci sorprese. Sempre che si riesca a trovare una base economica di sostegno.
swissinfo.ch: Da come ne parla sembrerebbe che per lei Godard sia ancora un cineasta da scoprire. A chi vuole offrirlo?
C.R.: A tutti, ai giovani e ai non giovani. Il lavoro di scoperta che si può produrre a partire dal cinema di Godard è ancora enorme. Pensi soltanto al miracolo delle inquadrature!
Quale altro regista ha saputo concepire l’inquadratura come perimetro assoluto, in grado di ospitare la carovana dei linguaggi multipli, che fanno irruzione d’improvviso, non previsti, utilizzando ritmi sincopati, per spezzare e ri-comporre la realtà secondo moduli non immaginabili, non pensabili, “indicibili”.
E sopra tutto questo si depone, infine, l’alito della poesia, il tono “sentimentale” del poeta, che non disdegna di catturare la fuga segreta di un violoncello, passato lì per caso.
Jean-Luc Godard (Parigi, 3 dicembre 1930) è un regista e critico cinematografico francese. È uno degli esponenti più importanti della Nouvelle Vague. Nasce da una ricchissima famiglia protestante di origine svizzera che appartiene alla alta borghesia (il padre faceva il medico e la madre era figlia di banchieri).
Nei primi anni Cinquanta si distingue per le sue radicali critiche cinematografiche su riviste come “Arts” e “Cahiers du cinéma”.
Dalla sua esperienza come impiegato nella costruzione della diga della Grande Dixence nasce l’idea per un primo cortometraggio, “Opération béton” (1955).
Ritornato a Parigi inizia a cimentarsi nei cortometraggi a soggetto. Nel suo quarto cortometraggio “Une histoire d’eau” (1958), collabora con il regista François Truffaut che l’anno seguente gli fornirà il soggetto per il suo primo lungometraggio.
L’esordio di Godard nel lungometraggio avviene nel 1959 con un film che diviene immediatamente il vessillo della Nouvelle Vague francese: “Fino all’ultimo respiro”.
“Film socialisme”, l’ultimo lavoro di Godard, è stato presentato nella sezione “Appellations Suisse” alla 63esima edizione del Festival del film di Locarno.
Una sinfonia in tre movimenti. Il Mediterraneo, una nave da crociera. Conversazioni molteplici in lingue diverse tra i passeggeri, quasi tutti in vacanza… La nostra Europa.
Una notte, una ragazza e il suo fratello minore chiamano i genitori a comparire davanti al tribunale della loro infanzia. Esigono spiegazioni serie su temi come la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza. La nostra umanità. Visita di sei luoghi di vere/false leggende, Egitto, Palestina, Odessa, Grecia, Napoli e Barcellona.
Drammaturgo, autore e regista di testi e programmi radiofonici. Carlo Rafele si è occupato di cinema negli anni ‘70, realizzando per RSI alcuni “Ritratti”, tra cui: “Marco Ferreri: L’Ape regista”; “Carmelo Bene: Un Amleto di meno”; “Roberto Benigni: Elogio di un cialtrone”.
Negli anni ‘80 ha scritto e realizzato per Radio Rai la tetralogia teatrale “Sguardi sull’Altrove”, dedicata a Gogol, Nietzsche, Rimbaud, Giordano Bruno.
Negli anni ‘90, ha trascorso lunghi periodi in Sardegna, scrivendo e realizzando presso la sede Rai di Cagliari il programma “La cultura italiana del secolo Ventesimo: alcuni fatti precisi”, in quattro cicli e 52 puntate.
Nel 2008 ha iniziato la stesura di un libro-romanzo che affronta il cinema d’autore, o “cinema di poesia”, lungo un itinerario narrativo che da Bergman, dalla Nouvelle Vague e dal Godard prima maniera, approda a Tarkovskij e Kieslowski.
Locarno
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