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Quando il talento supera l’handicap

Il paesaggio immaginario di Myriam Schoen swissinfo.ch

Un progetto molto originale a Friburgo consente a disabili mentali e psichici di utilizzare il loro talento creativo, lavorare in laboratorio, esporre e vendere come qualsiasi artista. Visita all'atelier CREAHM.

Il laboratorio è un po’ nascosto dietro la scuola Cormanon, alla periferia di Friburgo. A prima vista ci si potrebbe rammaricare che non sia collocato in una zona più centrale, considerato che dovrebbe essere la vetrina di 18 artisti, che vi lavorano da uno a tre giorni alla settimana. Ma altri vantaggi fanno pendere l’ago della bilancia a suo favore: è affittato per una cifra irrisoria dalla parrocchia, è arioso e luminoso, vi regna un disordine artistico fatto di opere, cavalletti, tavoli, barattoli di colori, pennelli sparsi ovunque. C’è anche una biblioteca di libri sulle arti.

Oggi, sono presenti otto artisti. Le presentazioni sono fatte intorno al tavolo della cucina, con caffè e biscotti. Poi ognuno torna al proprio posto. Alcuni parlano, altri non riescono. Elmar Schafer è su una sedia a rotelle: per mezzo di un pennello attaccato ad un casco, dipinge con la testa quadri pieni di movimento. Ognuno è nel suo mondo. C’è un silenzio speciale, fatto di concentrazione e di complicità.

Myriam, Josiane, Stéphane e gli altri

L’angolo di Myriam Schoen è un laboratorio nel laboratorio. Le sue composizioni dinamiche e colorate rappresentano spesso un paesaggio immaginario, permeato dei quattro elementi. Myriam mostra con orgoglio i suoi dipinti. Il loro numero dimostra chiaramente che lavora molto. Attraverso un apparecchio vocale, ci spiega che, in più dei tre giorni alla settimana al CREAHM, lavora un quarto giorno in un laboratorio a Berna. “Adesso devo andarci, vado a prendere il treno”, ci dice mentre trascina la sua valigia a rotelle.

Un po’ più in là, Josiane Lauper piega in quattro delle pagine di riviste che infila su un lungo ferro a lancia verticale, trasformato in una scultura di carta. Sul suo cavalletto, una tela minuziosamente colorata è in attesa delle sue prossime pennellate veloci e regolari. “Questa artista autistica mi tocca profondamente per la sua capacità di immergersi completamente nella creazione. Mi ha portato tanto perché i suoi lavori raccontano cose incredibili”, dice Ivo Vonlanthen, cofondatore del CREAHM.

C’è anche Stéphane Repond, un 31enne pieno d’immaginazione, che padroneggia una vasta gamma di espressioni e di tecniche. Sta disegnando con il gesso una creatura fantastica. “A 20 anni mi è stata diagnosticata la schizofrenia. Ho trascorso diversi periodi in ospedale. Ho iniziato a dipingere nel 2005, per passare il tempo, ed è diventata la mia passione”.

Stéphane è tornato da poco da un soggiorno “indimenticabile, fertile e meraviglioso” in un laboratorio associato nella Repubblica ceca. Con altri cinque membri del CREAHM e sei artisti normodotati, prepara una mostra di sei duetti per il mese di novembre, intitolata “Fuori Dentro”.

Professionalità

Il CREAHM, acronimo di “creatività e handicap mentale”, mira ad offrire condizioni professionali a disabili mentali e psichici, dotati per le arti plastiche.

“Trovo questo modo di lavorare interessante. Alla base c’è l’idea che, in questa popolazione come nelle altre, ci sono persone che hanno talento e che occorre offrire loro un luogo per poterlo esprimere. Qui non ci si occupa del problema di salute, si lavora tra colleghi. Se necessario si dà loro una mano”, spiega Ivo Vonlanthen.

“Non facciamo arteterapia. Non si tratta di fare una diagnosi o cercare la guarigione attraverso l’arte. Qui diamo una consulenza tecnica, abbiamo libri d’arte, abbiamo anche dei mandati. Gli artisti effettuano un periodo di prova prima di firmare il loro contratto. Devono rispondere a criteri ben definiti, effettuare un lavoro di qualità per essere mostrato al pubblico e venduto”, puntualizza l’animatrice Gisèle Poncet.

Il pittore Jean-Michel Robert dà una mano nel supporto. “C’è grande dinamismo. Si devono costruire cornici, comprimere i tubi e fissare i pennelli per coloro che non possono usare le mani. Le opere sono spesso molto originali, sprigionano molta libertà e anche forza, poiché l’essere umano è il centro della loro espressione, con i suoi tormenti, le sue angosce, le sue gioie. A questo livello non c’è differenza con il mio lavoro”.

Nulla a che vedere con la carità

Il CREAHM fissa i prezzi, identici per tutti. Il ricavato è suddiviso metà ciascuno tra l’artista e il laboratorio. “Alcuni vendono più di altri. È normale. Per esempio Véronique Bovet, morta l’anno scorso, vendeva tutto. La “Collection d’art brut” di Losanna ha acquistato diverse sue opere. Ma le esposizioni mostrano tutto il gruppo e ciò si equilibra, senza gelosie”, rileva la segretaria dell’associazione Sylvie Genoud.

Vendere è complicato. I prezzi raggiungono al massimo poco più di 1’000 franchi. Non è invece un problema esporre in luoghi pubblici, compreso all’estero. Ma non è facile trovare gallerie private, soprattutto per esporre tutto il gruppo, compreso chi vende meno.

Alcune però ci stanno ed espongono persino senza ricevere nulla in contropartita. Per esempio la Galerie de La Schürra nel canton Friburgo. “Mi piacciono questi artisti, sia sul piano del loro lavoro che su quello personale. Vogliono essere artisti a parte intera e non beneficiano di alcun aiuto pubblico. Ritengo che si debba aiutarli”, afferma il suo proprietario Nicolas de Diesbach, che è anche membro del comitato del CREAHM.

“Il pubblico era forse un po’ accondiscendente all’inizio. Ma la gente è venuta come alle altre mostre ed è stato venduto quasi tutto. Non si tratta tuttavia di vendite caritative: la gente compera perché le piacciono queste opere. Anche i giovani acquistano volentieri perché i prezzi sono abbordabili”, spiega de Diesbach.

“Quello che mi colpisce è che questi artisti, durante quasi 15 anni, hanno mantenuto ognuno la propria linea, la propria ispirazione e il proprio mondo, senza influenzarsi a vicenda. Se dieci artisti normodotati lavorassero insieme per tutto questo periodo, finirebbero col fare la stessa cosa”, commenta il gallerista.

Il primo laboratorio è creato in Belgio nel 1982 da Luc Boulangé, il quale è convinto che se si danno i mezzi alle persone con disabilità mentale o psichica dotate di talento, nel campo delle arti visive trovano un mezzo di espressione, un senso alla loro vita e un’identità di artista.

L’associazione friburghese è fondata nel 1998 dal professore universitario di psicologia Jean-Luc Lambert e dal pittore Ivo Vonlanthen. Il lavoro fatto nell’atelier è fondamentale per la propria sopravvivenza poiché questa dipende in larga misura dalle vendite delle opere esposte.

Questa arte si differenzia da altre, non per la specificità degli artisti, ma per il contesto in cui è creata.

Vincolati da un contratto, 18 artisti tra i 17 e i 55 anni frequentano il laboratorio uno, due o tre giorni la settimana, accompagnati da due animatrici.

Il contratto di collaborazione fissa i prezzi. Il ricavato è diviso metà ciascuno tra l’artista e l’atelier. Quest’ultimo non riceve alcuna sovvenzione pubblica. Riceve contributi dalla Loterie romande e da sponsor nonché le quote dei membri dell’associazione. Su un budget di 80mila franchi l’anno (affitto, stipendi di 3 persone, materiale), in media 20mila provengono dalle vendite.

Letteralmente “arte grezza”: questo termine è stato coniato dal pittore francese Jean Dubuffet (1901-1985) per descrivere l’arte di autodidatti, privi di condizionamenti culturali e di conformismo sociale. In generale malati, prigionieri o alienati, i creatori ignorano i canoni artistici e i valori culturali tradizionali.

Dal 1945, Jean Dubuffet va in cerca di lavori affrancati dalle norme culturali. Il pittore e scultore francese tesse rapidamente legami con scrittori, artisti e psichiatri svizzeri.

Nel 1971 Jean Dubuffet e la Città di Losanna avviano contatti per una donazione. Nel 1976 viene così creata nel capoluogo vodese la Collection de l’Art Brut.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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