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Vite parallele: caro Alberto, cher Henri

Alberto Giacometti, 1931, fotografato da Jacques-André Boiffard. Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Una mostra a Zurigo racconta la corrispondenza creativa che ha unito per 30 anni Alberto Giacometti e Henri Cartier-Bresson.

Il fotografo per antonomasia e lo scultore svizzero per eccellenza rivivono nelle sale della Kunsthaus attraverso un gioco di rimandi, fra immagini e parole d’epoca.

La prima volta fu a Parigi, alla metà degli anni Trenta. Alberto era già una figura di punta nel gruppo dei Surrealisti di André Breton – Henri muoveva i primi passi nel mondo della fotografia. Quasi coetanei, belli e tenebrosi, Giacometti e Cartier-Bresson erano impegnati in una ricerca artistica che li porterà molto lontano. Le loro strade si incroceranno a più riprese, nell’arco di un trentennio.

Di questa relazione molto speciale, finora il grande pubblico conosceva solo i ritratti di Giacometti, realizzati da Cartier-Bresson tra il 1938 e il 1960. Si tratta delle più celebri immagini del Maestro, immortalato alle prese con le sue sculture filiformi e mentre ti guarda, l’occhio malinconico dritto in camera. Dietro l’obiettivo c’era una corrispondenza fra due talenti, da scoprire a Zurigo in un’esposizione semplice e affascinante, che racconta per parallelismi i percorsi di due grandi del Novecento.

È l’occhio che decide

“La fotografia? È riconoscere il ritmo delle superfici, delle linee e delle ombre. È l’occhio a decidere: l’apparecchio ha solo il compito di riportare su pellicola la decisione dell’occhio”. Da questa frase di Henri Cartier-Bresson prende le mosse la mostra da lui pensata in collaborazione col curatore della Kunsthaus di Zurigo, Tobia Bezzola. È stato l’ultimo progetto espositivo a cui ha lavorato il grande fotografo, che è scomparso nel 2004.

La mostra segue in parallelo le tracce dei due artisti. Le sculture di Giacometti, incluse alcune delle più celebri fra le cosiddette filiformi, dominano il centro delle sale del Kunsthaus. Tutt’attorno scorrono disegni, foto, quadri. Frammenti di vita e di un discorso artistico a quattro mani.

Sono sguardi e percorsi incrociati, che raccontano una lunga amicizia e la ricerca all’inseguimento dell’attimo fatale in cui l’occhio decide – e poi sta alla mano fermarlo in marmo e metallo, carta e pellicola, bianco nero e colore.

Da Parigi al Messico

I due si conoscono nei circoli del Surrealismo parigino, ma si incontrano davvero quando entrambi l’hanno superato. Cartier-Bresson, intanto, ha girato il mondo. Nel 1933 è a Salerno, dove immortala un vicolo sbertucciato dal degrado e lo trasfigura nella perfezione delle linee. Nel 1934 è in Messico: bianco e nero che scava impietoso i corpi e la miseria.

Giacometti intanto sperimenta e riduce, scompone e sintetizza. Piccole sculture aeree e giochi graziosi, come la “Main prise” – 1932: ruota e gabbia, corda e mano. Cartier-Bresson gli fa eco con il collage “Pour l’amour et contre le travail industriel” storia con ruote, dama col cappellino ed operaio dal baffo fiero.

L’arte del ritratto

Il gioco dei rimandi si fa gustoso nella sala dei ritratti. A sinistra gli schizzi a matita realizzati da Alberto, a destra le foto scattate da Henri. Sono Jean Genet, Jean-Paul Sartre, Igor Strawinsky, Matisse ..

Li scopri e li riconosci come rimbalzando, dai disegni alle foto. Giacometti percepisce tutto dei volti, ogni ruga ogni spigolo si fanno traccia fitta di grafite. Matita che racconta personalità: l’orecchio del compositore russo, il ventre proteso del pittore francese. Elementi che tornano, quasi per magia, negli scatti di Cartier-Bresson.

Per gli appassionati del genere, ci sono autoritratti di Giacometti in tutte le salse. Alberto a vent’anni, dipinto di mille colori. Alberto che nel 1963 si racconta a matita: gli occhi bucati, uomo in cerca eppure sgomento, mentre la vita gli scorre veloce attraverso.

Lo ritroviamo nelle tante immagini scattate dall’amico francese. Quella famosissima, dove lo sculture dal ciuffo ribelle è colto in movimento, fra le sue teste e le sue figure filiformi, gioco sublime di rimandi cinetici.

Ma soprattutto nel reportage nei Grigioni, anno di grazia 1962: Giacometti a Stampa, dove era nato. È allora che i due diventano vicini, racconta Henri. Lo scultore morirà in una clinica dei Grigioni nel 1966. Il fotografo nel 1973 appenderà la macchina fotografica al chiodo, per farsi a sua volta artista.

swissinfo, Serena Tinari, Zurigo

La mostra è stata ideata dal curatore del Kunsthaus di Zurigo Tobia Bezzola insieme ad Henri Cartier-Bresson. È stata l’ultima esposizione a cui ha lavorato il grande fotografo, scomparso nel 2004.

Alla realizzazione hanno partecipato la Fondazione Alberto Giacometti e la Fondazione Henri Cartier-Bresson. Le opere provengono da collezioni pubbliche e private.

Die Entscheidung des Auges – la decisione dell’occhio – è alla Kunsthaus di Zurigo fino al 7 agosto 2005. Il titolo è tratto da una citazione di Henri Cartier-Bresson: “la fotografia per me è riconoscere il ritmo di superfici, linee ed ombre. È l’occhio a decidere: l’apparecchio ha solo il compito di riportare su pellicola quello che l’altro ha deciso”.

In mostra ci sono fotografie, sculture, disegni e pitture realizzate da Alberto Giacometti e da Henri Cartier-Bresson. Lo scultore svizzero e il fotografo francese si sono conosciuti a Parigi, nel corso degli anni Trenta, e per tre decadi hanno coltivato un’amicizia personale e artistica.

La Kunsthaus di Zurigo è aperta dal martedi al venerdi, dalle 10 alle 21; dal venerdi alla domenica dalle 10 alle 17. Chiusa il lunedì.

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