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Abbiamo bisogno di un altro tipo di guerra al terrorismo

Redazione Swissinfo

A poche settimane da Natale e dall'inizio delle vacanze, la gente cerca pace e senso di comunità. In tanti luoghi di lavoro, gli impiegati si riuniscono per i festeggiamenti di fine anno. Come al San Bernardino Inland Regional Center, in California meridionale, quando un impiegato del dipartimento della salute pubblica, accompagnato da sua moglie, ha attaccato e ucciso 14 colleghi e ferito altri 12.

Quel giorno ero nella vicina Los Angeles con il mio collega giornalista Joe Mathews, editorialista californiano e innovation editor di Zocalo Public SquareCollegamento esterno. Stavo andando a incontrare il responsabile dell’empowerment departmentCollegamento esterno, l’ufficio di coordinamento dei 96 consigli di quartiere di Los Angeles, per discutere i limiti e le opportunità di una democrazia locale più forte.

È un vero e proprio spaccato di quello che sta succedendo nel mondo: rendiamo le nostre democrazie più democratiche e contemporaneamente vediamo le nostre libertà e conquiste azzerate da attacchi terroristi e dalle conseguenti reazioni dei leader di governo.

Viviamo in un mondo dove, da un lato, la lotta per il potere e il controllo ha raggiunto livelli incredibili con azioni unilaterali, non solo per mano di terroristi ma anche par mano di Stati importanti, mentre dall’altro lato si fanno grandi sforzi per consolidare il potere democratico a tutti i livelli.

La politica della paura

Verso la fine della settimana in cui è avvenuto il massacro di San Bernardino (e altri attacchi simili in nord Africa e medio Oriente), il presidente statunitense Obama, il primo ministro britannico David Cameron, il presidente francese François Hollande e il presidente russo Vladimir Putin hanno annunciato nuovi bombardamenti contro Daesh (il cosiddetto Stato islamico o ISIS).

Bruno Kaufmann, esperto di democrazia e caporedattore di people2power, una piattaforma sulla democrazia diretta creata e ospitata swissinfo.ch. Zvg

Altri hanno usato l’uccisione di massa in California come pretesto per chiudere ulteriormente le porte alle persone che fuggono dalla violenza e dalla contro-violenza, ossia i rifugiati in cerca di protezione.

La strategia di diffusione della paura messa in atto dallo Stato islamico è inoltre sfociata in vittorie elettorali di forze politiche xenofobe come il Front National in Francia.

Tutto ciò ha creato un contesto difficile per i tre giorni del summit #ByThePeopleCollegamento esterno, un meeting globale di oltre 200 persone fra autorità locali, responsabili elettorali, accademici ed esperti da tutto il mondo all’Arizona State University (ASU).

Questa conferenza ha profondamente messo in dubbio l’ininterrotta politica del rischio calcolato, esercitata dai leader politici in reazione agli attacchi terroristici perpetrati in nome di gruppi religiosi estremisti.

«Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è un impegno ancora più consistente per rendere le nostre democrazie più forti», ha affermato Jonathan Koppell, il decano del College of Public Service and Community SolutionsCollegamento esterno dell’ASU. «Abbiamo un numero crescente di persone che credono che il governo non abbia senso e che la democrazia sia una cosa giusta».

La promessa del potere ai cittadini

Di fronte alla profonda messa in discussione di principi universali, delle procedure assodate e dell’ampia messa in pratica della democrazia moderna, la conferenza sulla democrazia tenutasi all’ASU ha sollevato una serie di punti riguardanti lo sviluppo del potere democratico: democrazia partecipativa, impegno civile e educazione civica.

Punti di vista

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In tutti questi campi, il cui scopo è l’incoraggiamento e il sostegno della cittadinanza attiva, gruppi di esperti da tutto il mondo hanno lavorato sodo e raggiunto risultati notevoli in molti paesi.

Le vicende raccontate alla conferenza sulla democrazia dell’ASU hanno fornito una visione di quanto avvenuto, dal bilancio partecipativo a Cluj, capitale della Transilvania, alla nuova legislazione di democrazia diretta in Colombia, all’utilizzo di tecnologia all’avanguardia nel governo autonomo della Groenlandia.

Eppure, molte persone coinvolte continuano ad operare isolate, all’interno di programmi accademici, di progetti legati alla tecnologia o in movimenti sociali circoscritti, il che non aiuta i leader politici o il grande pubblico ad interessarsi seriamente a loro.

Ciò crea un altro anacronismo per quanto concerne la democrazia democratizzante: mentre alcuni attori importanti impostano il loro programma su conflitto, linguaggio semplice e paura, altri, fra cui molte persone giunte al congresso in Arizona, tendono a evitare il confronto, i messaggi chiari e le strategie politiche nel loro insieme, scegliendo di non esporsi.

Gente responsabile sul campo

Quindi, nonostante tutte le buone intenzioni e l’insieme delle competenze qui riunite, c’è ancora molto da fare prima che il passo verso una maggiore partecipazione possa compensare le notizie negative che giungono da tutto il mondo.

Questa spiacevole dinamica include anche recenti elezioni e referendum, in cui presidenti in carica hanno cercato di mantenere il potere nonostante i limiti costituzionali, come in Armenia, in Ecuador o in Burundi.

Fortunatamente ci sono altri esempi, visti di recente in Burkina Faso, Tanzania, Myanmar e India, dove in una certa misura il potere democratico ha prevalso. E ci sono sforzi sempre più consistenti per far sì che, su scala globale, le procedure partecipative diventino la norma nei governi locali e regionali.

È in quest’altra maniera che la vera «guerra al terrorismo» sarà vinta in futuro e in modo sostenibile: non attraverso ordini esecutivi dettati da capi politici, ma attraverso persone responsabili sul campo, in famiglie, associazioni, villaggi o uffici, e nei giorni in cui si va a votare.

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di swissinfo.ch

Traduzione dal tedesco di Francesca Motta

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