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“Il nostro è uno dei pochi mestieri dove si mette la propria vita in gioco”

tre persone incordate sulla vetta di una montagna innevata
In Svizzera ci sono circa 1'500 guide di montagna diplomate. Manuel Lopez

Quando succede un incidente in montagna, come quello sulle Alpi svizzere in cui sono morti 5 alpinisti italiani, c'è chi punta il dito contro la guida. Ma se c'è qualcuno che mette a repentaglio la propria vita per la sicurezza degli escursionisti è proprio l'accompagnatore, spiega Pierre Mathey, guida alpina da oltre 25 anni. Intervista.

Con quasi 50 vette che superano i 4’000 metri, la Svizzera è una meta imprescindibile per gli amanti della montagna e dell’alta quota. Ogni anno migliaia di persone tentano di scalare il Cervino o la Jungfrau, spinte dal desiderio di ‘conquistare la vetta’.

“Chi non riesce a raggiungere la cima parla spesso di fallimento. Per me, l’unico fallimento è quando non si fa ritorno a casa”, afferma Pierre Mathey, 52 anni, guida da oltre 25 anni e segretario generale dell’Associazione svizzera delle guide di montagna (ASGMCollegamento esterno).

Dalle notizie che circolano sui media si direbbe che gli incidenti in montagna siano in aumento. È davvero così?

Pierre Mathey: No. Per fortuna sta succedendo il contrario. In proporzione al numero di persone che pratica la montagna in Svizzera, gli incidenti sono diminuiti, sia in estate che in inverno. Si osserva questa tendenza in quasi tutti i Paesi alpini.

La Francia è invece un caso particolare: il numero di incidenti è sempre stato piuttosto elevato. Ciò è probabilmente dovuto alla cultura del Paese, dove la ricerca dell’adrenalina e di esperienze forti è molto pronunciata. La Francia sta comunque lavorando molto nella formazione delle guide per ridurre il numero di incidenti.

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Per quale motivo in montagna si muore di meno?

P. M.: Oggi disponiamo di un equipaggiamento migliore, ad esempio apparecchi di ricerca di vittime di valanghe più evoluti. Ma non solo. Anche l’informazione e la prevenzione sono migliorate. Penso ad esempio al bollettino delle valanghe. La Svizzera è l’unico Paese al mondo che pubblica due bollettini al giorno, uno al mattino e l’altro nel tardo pomeriggio.

Un altro elemento importante è la formazione delle guide di montagna e la preparazione degli escursionisti amatoriali, che grazie ai club alpini possono partecipare a corsi di aggiornamento.

All’origine di un incidente c’è sempre un errore umano?

P. M.: C’è sempre una componente umana, ma parlare di “errore” non è sempre corretto. Quando si va in montagna bisogna accettare una certa dose di imprevedibilità. La montagna non è regolamentata e non è un luogo che viene periodicamente reso sicuro, a differenza ad esempio di una strada.

Si legge spesso che “la montagna ha ucciso una persona”. È sbagliato: la montagna non uccide. Certo, comporta alcuni pericoli obiettivi quali un crepaccio, una caduta di massi o una valanga. Tuttavia, siamo noi stessi a metterci in pericolo ogni qualvolta decidiamo di andare in montagna. Il nostro ruolo di guida è di gestire e ridurre questo rischio. Per il bene del cliente e di noi stessi.

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La maggior parte degli incidenti capita durante la discesa. Perché?

P. M.: Per due ragioni. Da un lato c’è la fisica: quando si sale si va contro l’attrazione terrestre fornendo uno sforzo fisico che ci protegge dalla caduta. Quando si scende, oltre alla gravità che ci spinge verso il basso, c’è la dinamica stessa della discesa, ciò che favorisce la caduta. Dall’altro lato c’è una spiegazione umana: si è affaticati e deconcentrati, avendo già fornito uno sforzo per raggiungere la vetta.

Il Cervino è la montagna al mondo che miete più vittime. Dalla prima scalata nel 1865 sono morte oltre 500 persone. È una zona pericolosa o semplicemente molto frequentata?

P. M.: Direi entrambe le cose. Ogni anno ci sono 3’000 persone che scalano il Cervino. In paragone, al Monte Bianco sono 20’000. Lì ci sono molti incidenti, ma non sempre fatali. La scalata del Cervino presenta invece una difficoltà particolare. Si passa su molte creste e quindi un passo falso comporta quasi sempre una caduta mortale.

People walking along a mountain path with the Matterhon in the background
The Matterhorn is one of the most iconic and dangerous peaks of Switzerland. KEYSTONE/ VALENTIN FLAURAUD

L’incidente di fine aprile in Vallese, in cui sono morte sette persone tra cui cinque alpinisti italiani, è tra i più gravi degli ultimi anni. Quali insegnamenti trarre da quella tragedia?

P. M.: Già da tre anni stiamo rafforzando lo scambio di informazioni per imparare da errori e incidenti. Nel caso del dramma alla Pigne d’Arolla è ancora presto per trarre delle conclusioni. Ma quando succede qualcosa del genere, è chiaro che c’è stata una serie di cose che non ha funzionato. È stato un concatenarsi di eventi casuali e negativi. Si tratta di un dramma orribile, che per fortuna capita una volta ogni 50 anni.

C’è però chi ha puntato il dito contro la guida che accompagnava il gruppo…

P. M.: Credo che non sia giusto parlare di un errore umano. La guida aveva sì un gruppo numeroso, ma si trattava di gente con esperienza. Difficile dire cosa sia successo. Forse in quel momento la natura è stata troppo forte per la guida.


Come praticare la montagna con sicurezza?

P. M.: È un insieme di cose: la formazione tecnica, l’esperienza e soprattutto la capacità di rimettersi in discussione. Di fronte alla natura bisogna restare umili perché essa sarà sempre più forte di noi. Non mi piacciono le espressioni quali ‘Abbiamo conquistato la vetta’. La natura non si vince. Non si va in montagna per conquistare qualcosa, ma per vivere un’esperienza indimenticabile, delle emozioni. Non a torto si dice che le guide di montagna sono dei fabbricanti di ricordi.

Sono obbligato ad avere una guida?

P. M.: No. Le Alpi sono un’eccezione mondiale: gli accessi sono liberi. Non ci sono pedaggi o regole.

Quanto guadagna una guida in Svizzera?

P. M.: La tariffa media è di 650 franchi al giorno. Va però detto che una giornata di lavoro può durare 10 o 12 ore e quindi il salario orario è molto basso. Per salire sul Cervino, ad esempio, ci vogliono due giorni e la tariffa standard è di 1’300 franchi. La guida è però sempre confrontata con un’incertezza economica: in caso di annullamento le entrate sono pari a zero.

È per questo motivo che il mestiere attira sempre meno giovani?

P. M.: Sicuramente, ma non solo. Forse nell’era della digitalizzazione si è meno disposti a uscire dal proprio guscio per andare nella natura, sudare, dormire all’addiaccio. Ai giovani spiego che la guida è sì una sorta di angelo custode, ma pure un incontro umano per il cliente.

Un suo collega ha detto che “quello della guida di montagna è l’unico mestiere dove ci si guadagna da vivere tentando di non perdere la vita”. Cosa ne pensa?

P. M.: A dire la verità… è una frase orribile (risata). È un mestiere rischioso, certo, ma il rischio è calcolato e sotto controllo. Però è innegabile: il nostro è uno dei pochi mestieri dove si mette la propria vita in gioco. Ritorno ancora sull’incidente alla Pigne d’Arolla: anche se la guida italiana avesse commesso un errore – sarà la giustizia a stabilirlo – ha dato la sua vita per tentare di salvare i suoi clienti. Cosa chiedere di più?

uomo con il casco e degli sci in mano
Pierre Mathey, 52 anni, è segretario generale dell’Associazione svizzera delle guide di montagna. Pierre Mathey

Come è cambiata la sua professione in oltre 25 anni di attività?

P. M.: Oggi la clientela è più mutevole, più internazionale. Ogni giorno o due cambia. Un tempo c’erano più clienti abituali. La gente ritornava o restava con la guida per più settimane. Anche la relazione con il cliente è cambiata. In passato la guida apriva la strada e il cliente seguiva. Oggi l’interazione è molto più forte. Il cliente è più informato e vuole condividere e discutere, non solo della montagna, ma di cose in generale.

Si è già ritrovato in situazioni critiche?

P. M.: Diverse volte. Ho già dovuto passare la notte all’addiaccio. Ma per fortuna non ho mai avuto gravi incidenti.

Quali sono le sfide legate al riscaldamento climatico?

P. M.: Alcuni itinerari non sono più praticabili a causa di frane o dello scioglimento di un ghiacciaio. In alcune zone, attorno ai 2’500 metri, bisogna costruire delle infrastrutture di accesso, ad esempio una passerella. Ci sono molte discussioni su fino a dove bisogna facilitare l’accesso alla montagna. Personalmente, sono dell’avviso che si debba agire con ragionevolezza: infrastrutture di accesso solo se sono indispensabili per garantire la continuazione dell’attività. Altrimenti bisogna lasciare la natura intatta, senza costruire ovunque teleferiche e strade.

Quali i consigli più importanti per gli amanti della montagna?

P. M.: Informarsi sulle condizioni meteorologiche e del terreno, disporre di un equipaggiamento adatto e portarsi appresso dei rifornimenti. Non va dimenticato che la stanchezza e il freddo ci pongono in pericolo di morte. Informazione e prevenzione sono essenziali. Ricordarsi di dire dove si sta andando e in caso di difficoltà o pericolo non esitare a chiamare i soccorsi.

Come riconoscere una guida esperta?

L’Associazione svizzera delle guide di montagna (ASGMCollegamento esterno) denuncia un aumento delle guide che lavorano in nero oppure senza un’autorizzazione appropriata. Oltre a rappresentare una concorrenza sleale, queste persone, per lo più provenienti dall’estero, possono mettere a repentaglio la vita dei loro clienti.

Pierre Mathey, segretario dell’ASGM, consiglia quindi di rivolgersi agli uffici delle guide o alle scuole di alpinismo presenti in ogni regione della Svizzera. Raccomanda anche di consultare la banca dati dell’associazione: se il nome della vostra guida figura su questa listaCollegamento esterno, allora significa che è qualificata e autorizzata ad accompagnarvi in montagna.

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