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L’Africa cresce, ma senza armonia

Aprendo il suo primo negozio in Sudafrica, una nota marca d'abbigliamento spagnola fa l'occhiolino alla nuova classe media africana AFP

Nell'ultimo decennio, l'economia africana è cresciuta a ritmo sostenuto favorendo la nascita di una classe media a vocazione imprenditoriale. Lo sviluppo resta però legato in modo eccessivo al settore delle materie prime.

«L’Africa subsahariana mostra una notevole solidità dovuta alle buone politiche macroeconomiche applicate in passato. Alcuni paesi hanno già ritrovato il tasso di crescita che avevano prima della crisi finanziaria», scrive la Segreteria di Stato dell’economia (Seco). Da almeno dieci anni, il tasso oscilla tra il 5 e il 6%.

Una delle conseguenze più evidenti – si legge in un rapporto della Banca africana di sviluppo – è l’emergere di una classe media che rappresenta ormai un terzo della popolazione africana.

Pubblicato in aprile del 2011, il rapporto rileva che nel 1980 il 26,2% della popolazione africana (111 milioni di persone) apparteneva alla classe media. Oggi la percentuale è salita al 34,3% (313 milioni di persone).

Per la Banca africana di sviluppo – il corrispondente regionale della Banca mondiale – appartiene alla classe media chi spende tra i 2 e i 20 dollari al giorno.

L’Africa come mercato promettente in grado di portare ossigeno alle asfittiche economie occidentali? È quanto suggeriscono regolarmente tutta una serie di pubblicazioni destinate agli investitori attirati da queste nuove schiere di potenziali consumatori.

L’impatto della crisi finanziaria

La Seco però invita alla prudenza. «Se la crisi che attualmente interessa i paesi ricchi dovesse persistere, le economie dell’Africa subsahariana non saranno risparmiate. Una ripresa economica eccessivamente lenta in Europa e negli Stati uniti avrebbe pesanti conseguenze sulle prospettive dei paesi africani per quanto riguarda le esportazioni, i flussi di capitali privati, gli aiuti ufficiali e il trasferimento di fondi», scrivono gli esperti della Confederazione in risposta ad una nostra domanda.

«In mancanza di meglio», continua la Seco, «le imprese europee (banche svizzere comprese) s’interessano all’Africa, soprattutto ai paesi produttori di petrolio. La classe media di questi paesi è sempre più desiderosa di accedere ai beni e allo stile di vita diffusi nei paesi sviluppati».

Da questo punto di vista, però, le economie africane continuano a dipendere dalle materie prime. «La crescita dell’Africa è in gran parte dovuta all’aumento dei prezzi delle materie prime, settore che insieme a quello delle infrastrutture attira il maggior numero d’investitori stranieri», ci spiega Nicolas Imboden, presidente della Camera di commercio Svizzera – Africa. «I tassi di crescita potrebbero dunque trarre in inganno e nascondere il reale stato di sviluppo dei paesi africani».

Imboden, che in passato è stato delegato del governo svizzero per gli accordi commerciali, aggiunge che «in Africa non esiste una regione o un paese il cui sviluppo sia così forte da fare da traino per i ritardatari. Nel sud-est asiatico, invece, un paese povero come il Laos sarà trascinato dalla dinamica regionale, indipendentemente dalla politica economica del suo governo».

Mali antichi

Tre volte più grande dell’Europa, un miliardo di abitanti, l’Africa è un mondo eterogeneo. Per André Soumah, impresario franco-ivoriano di Ginevra, sul futuro del continente avranno un impatto determinante i modelli di gestione ereditati dalle ex potenze coloniali.

«Se l’Africa riuscirà a decollare, lo farà nei paesi anglofoni, Nigeria compresa, dove per aprire un ufficio ci vuole una settimana. Per mettersi in affari negli altri paesi dell’Africa occidentale, invece, sono necessari dai 9 ai 12 mesi e il capitale viene divorato da tasse e costi amministrativi», afferma Soumah, presidente del gruppo ACE che ha appena firmato un contratto per la certificazione del cacao ivoriano.

Non vanno poi dimenticati i malanni di lunga data che affliggono la maggior parte dei paesi africani. «L’Africa è ancora il paese degli esploratori, di gente che arriva e riparte. C’è una mancanza di fiducia. Per gli investitori, l’Africa rappresenta una lotteria. Questo perché, contrariamente ai primi decenni d’indipendenza, non c’è stabilità nelle istituzioni. Ministri e responsabili cambiano velocemente. Sanno che non resteranno al loro posto a lungo e tendono ad approfittare della loro posizione per arricchirsi».

Dal canto suo, Nicolas Imboden aggiunge che «la diversificazione dell’economia africana è ancora lontana dall’essere una realtà. Ma fintanto che non ci sarà la creazione di valore aggiunto in settori come l’agricoltura e i servizi, l’Africa non avrà uno sviluppo sostenibile».

Investire nelle persone

Catherine Morand, che ha lavorato in Costa d’Avorio per Swissaid, è categorica: «Il fatto che degli investitori stranieri si interessino all’Africa e alle sue materie prime non significa che saranno creati dei posti di lavoro e che le condizioni economiche degli africani miglioreranno. Questi investitori sono come uno stormo di cavallette: si abbattono su una regione o su un campo che può dare loro molto e in fretta, poi si spostano altrove».

Per André Soumah, l’unica soluzione possibile «è investire nelle persone per formare gente capace di aprire e gestire un’impresa».

Secondo Nicolas Imboden, i candidati non mancano. «Dieci o venti anni fa, i giovani talenti africani avevano un’unica aspirazione: entrare nel sistema governativo per approfittare delle sue rendite. Oggi non è più così. Assistiamo alla crescita di una nuova classe imprenditoriale che scommette sulle proprie capacità. È un cambiamento molto importante, anche se per il momento interessa più l’import-export che la produzione di beni trasformati in loco».

Sudafrica

Importazioni: 760,5 milioni di franchi

Esportazioni: 760 milioni

(52% degli scambi con l’Africa subsahariana)

Nigeria

Importazioni: 257,5 milioni

Esportazioni: 268,9 milioni

(18%)

Ghana

Importazioni: 112,9 milioni

Esportazioni: 21,7 milioni

(5%)

Mauritius

Importazioni: 50,1  milioni

Esportazioni: 43,5 milioni

(3%)

Kenya

Importazioni: 29,2 milioni

Esportazioni: 52,6 milioni

(3%)

Fonte: Seco. Dati del 2010.

A partire dagli anni Venti del Novecento, diverse aziende s’insediano in Africa con il concorso di gruppi industriali svizzeri (Nestlé, Sulzer, Alusuisse, BBC, Bühler, Ciba, Geigy, Roche, Sandoz, Schindler, Oerlikon, Schmidheiny).

Gli investimenti riguardano soprattutto il Sudafrica, ma toccano anche l’Egitto e il Congo belga.

È con stati africani che nel 1962 la Svizzera firma i primi accordi di protezione e promozione degli investimenti.

La Direzione svizzera dello sviluppo e della cooperazione ha sempre prestato un’attenzione particolare all’Africa, scegliendo stati africani come paesi prioritari d’intervento. 

Dal 1982 la Svizzera partecipa alle iniziative della Banca africana di sviluppo e dal 1993 contribuisce attivamente alla riorganizzazione di questo istituto di credito.

Fonte: Dizionario storico della Svizzera

Traduzione, Doris Lucini

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