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“Una guerra tra giganti dell’orologeria”

Elemento fondamentale nella regolazione del meccanismo, la spirale è al centro della battaglia tra i fabbricanti svizzeri di orologi Omega.com

Una decisione dell'autorità svizzera della concorrenza ha rafforzato il braccio di ferro tra fabbricanti di orologi svizzeri sulle forniture di componenti. Il monopolio detenuto in questo campo dal leader mondiale Swatch Group, al centro della disputa, è diventato un vantaggio decisivo nella battaglia per il dominio nell'orologeria di lusso, rileva lo storico Pierre-Yves Donzé.

È una disputa decennale, ma non s’intravvede ancora l’epilogo. La Commissione della concorrenza (COMCO) ha infatti giudicato in luglio che i produttori di orologi svizzeri non sono ancora in grado di fare a meno di alcune componenti essenziali per il funzionamento degli orologi meccanici, che sono ora fornite quasi esclusivamente dal gruppo Swatch.

L’autorità anti-trust ha respinto un accordo di conciliazione concluso qualche mese prima tra la propria segreteria e il leader mondiale dell’orologeria. L’intesa mirava a una graduale riduzione della fornitura di movimenti meccanici e dei cosiddetti assortiment, da parte di Swatch Group.

Specialista dell’orologeria svizzera – tra gli altri, ha pubblicato un libro sulla storia del Gruppo Swatch – e professore di storia economica presso l’università di Kyoto, in Giappone, Pierre-Yves Donzé esamina le ragioni del conflitto.

“Durante il periodo tra le due guerre, la posizione dominante della Svizzera nel mercato globale è messa in questione dall’esportazione di orologi smontati e poi assemblati nei paesi in cui sono venduti.

Per rimediare a questo, si crea un cartello. Dalla fusione di una trentina di produttori indipendenti e dalla super holding ASUAG nasce la società Ebauches SA, che controlla tutta la produzione di componenti nell’orologeria in Svizzera.

Alcune fabbriche orologiere (Rolex, Omega, Patek Philippe) hanno il diritto di produrre componenti per sé, ma non di fornirle all’esterno.

Nel corso degli anni ’60, che segnano la liberalizzazione dell’industria orologiera, la maggior parte dei produttori perde la competitività sul mercato mondiale. Sempre di più propendono ad acquistare da Ebauches SA, che in seguito diventerà ETA, l’attuale braccio industriale di Swatch Group.

In seguito alla crisi orologiera degli anni ’70, su consiglio del consulente Nicolas G. Hayek, il gruppo Omega, allora conosciuto con la denominazione Società svizzera per l’industria orologiera (SSIH), unica fabbrica capace di un certo grado di indipendenza nella produzione, fa una fusione con Asuag (1983). Nasce così Swatch Group.

Per quasi vent’anni, questo monopolio non è un problema, dato che Swatch Group è più un produttore di movimenti che di orologi finiti. Ma riposizionandosi nell’orologeria di lusso e nella vendita di orologi finiti, il gruppo di Bienne dall’inizio degli anni 2000 si presenta come un concorrente dei suoi ex clienti”.

Pierre-Yves Donzé, professore di storia economica presso l’università di Kyoto

swissinfo.ch: In che chiave va letta la controversia tra fabbricanti di orologi svizzeri sulla fornitura di movimenti meccanici ed elementi di regolazione dei meccanismi di orologi?

Pierre-Yves Donzé: Questo è il fulcro della guerra che si fanno i principali gruppi orologieri da oltre dieci anni, e che si accentuerà ulteriormente in futuro. Per quasi vent’anni, Swatch Group non ha veramente tratto benefici da un monopolio ereditato dal passato più che creato volontariamente. Ma lo sconvolgimento che ha segnato l’industria dagli anni ’90, con la fenomenale crescita degli orologi di lusso, ha cambiato la situazione.

Posizionandosi in questo comparto, soprattutto con l’acquisto di Blancpain e Breguet e con il nuovo orientamento di Omega, il gruppo orologiero di Bienne ha notevolmente aumentato il proprio giro d’affari. Parallelamente, vi è stata la formazione di grandi gruppi orologieri concorrenti nel giro di qualche anno: Richemont (Cartier, Vacheron Constantin) e LVMH (Tag Heuer, Zenith, Hublot) sono diventati potenti attori dell’orologeria di lusso. Pertanto, la concorrenza per Swatch Group non è più giapponese (Seiko, Citizen), ma elvetica.

Il monopolio della produzione di movimenti meccanici e componenti oggi rappresenta un importante vantaggio competitivo per il suo detentore. È quindi logico che Swatch Group non voglia più rifornire marche concorrenti. Ma è anche comprensibile la decisione della COMCO di dare all’industria il tempo di adattarsi.

swissinfo.ch: C’è un legame con il dibattito pubblico che c’è stato sulla tutela del marchio “Swiss made”?

P-Y. D.: È proprio la stessa logica che è in atto. Per Swatch Group, aumentare dal 50 al 60% la quota di componenti per orologi che deve essere fabbricata in Svizzera era un modo per rafforzare la sua posizione rispetto ad altri gruppi. Questi ultimi non hanno potuto contestare pubblicamente questa posizione, altrimenti sarebbero stati messi al bando dall’industria.

Longines.com

swissinfo.ch: Eppure con la presentazione, in aprile, del suo nuovo movimento completamente automatizzato Simstem51, Swatch ha voluto dimostrare che era possibile creare e industrializzare nel giro di due anni un nuovo prodotto meccanico al 100% “Swiss made”.

P-Y. D.: La concezione di Simstem51 si spiega principalmente con il fatto che Swatch Group, l’unico gruppo orologiero svizzero presente anche nella gamma bassa e media (Tissot, Swatch, Calvin Klein, Longines), ha bisogno di uno strumento industriale performante per realizzare risparmi di un certo livello. Non può riposare sugli allori in questo settore ultra-competitivo. D’altra parte, produce anche movimenti al quarzo all’estero (cioè non “Swiss made”) per il mercato globale.

swissinfo.ch: Ma si può dar torto a Nick Hayek, CEO di Swatch Group, quando afferma che negli ultimi anni troppi produttori di orologi hanno semplicemente approfittato della vacca da mungere che è lo “Swiss made”, senza investire nella ricerca, nello sviluppo e in uno strumento industriale ad alte prestazioni?

P-Y. D.: Effettivamente, i grandi gruppi orologieri concorrenti di Swatch Group in teoria dispongono delle risorse finanziarie necessarie per fabbricare componenti, tra cui le famose spirali [molle che assicurano la precisione dell’orologio], che in realtà non sono molto difficili da produrre. Ma alcuni di essi hanno trascurato gli investimenti nei loro strumenti produttivi.

Paradossalmente, le pubblicità delle marche di orologi si concentrano quasi esclusivamente sulle innovazioni tecnologiche nei movimenti, quando in realtà le novità sono molto rare. Ciò che dovrebbe prevalere, non è inventare, ma dotarsi dei mezzi per essere indipendenti.

swissinfo.ch: A medio termine, la volontà di chiudere i rubinetti da parte del Gruppo Swatch porterà a una maggiore industrializzazione del paese o, al contrario, al trasferimento all’estero della produzione di componenti di orologi svizzeri?

P-Y. D.: La fabbricazione di movimenti di orologi è una questione delicata, perché tocca il nocciolo del know-how svizzero. Comunque, la mondializzazione dell’orologeria svizzera è già una realtà. Da 15 anni si constata un aumento del valore delle importazioni di parti di movimenti di orologi, mentre il numero di orologi esportati stagna. Ciò significa che il valore delle componenti straniere in ogni orologio svizzero diventa sempre più importante.

Attualmente, anche delle aziende cinesi e thailandesi sono in grado di produrre movimenti di pari qualità di quelli dell’ETA, il braccio industriale di Swatch Group. Quanto a TAG Heuer si è nel frattempo rivolta a Seiko per assicurarsi gli approvvigionamenti di spirali.

Ci si deve inoltre ricordare che lo “Swiss made” concerne solo il movimento e l’assemblaggio finale. Il design dell’orologio non è protetto dal marchio svizzero, anche se è un elemento essenziale di un bene di lusso. Quasi tutte le casse, i quadranti e i braccialetti degli orologi svizzeri sono fabbricati all’estero, soprattutto in Cina.

swissinfo.ch: Allora come si spiega il dominio quasi incontrastato dell’orologeria svizzera nel mercato mondiale?

P-Y. D.: Oggi, l’orologio non è più un oggetto utilitario, è un accessorio di moda, soprattutto maschile, un vettore di immagine e di emozioni. Ciò che fa la forza dell’orologeria svizzera è l’essere riuscita a trasformare delle risorse culturali – tradizione, eccellenza di un know-how radicato su un territorio – in risorse di marketing.

Nel 2002, Swatch Group crea un effetto bomba nel microcosmo orologiero annunciando l’arresto progressivo della fornitura di abbozzi dei movimenti di orologi ai suoi concorrenti.

Nel 2009, l’allora patron di Swatch, Nicolas G. Hayek, dichiara l’intenzione di non più fornire ai concorrenti componenti di orologi prodotti dal gruppo. La decisione causa un putiferio nella comunità orologiera, molto dipendente dalle filiali del gigante di Bienne, ETA e Nivarox.

Nel giugno 2011, la Commissione della concorrenza (COMCO) apre un’inchiesta e adotta misure cautelative, che consentono a Swatch Group di ridurre le forniture di componenti a terzi a partire dal 2012.

Nella primavera del 2013, la Segreteria della COMCO e Swatch Group sottoscrivono un accordo di conciliazione, che prevede una riduzione progressiva della fornitura di movimenti meccanici (insieme di componenti che permettono di far funzionare l’orologio) e di assortiment (elementi regolativi dei meccanismi degli orologi) ai clienti esterni.

Il 12 luglio, a sorpresa generale, la COMCO respinge l’accordo. L’autorità di vigilanza della concorrenza approva in linea di principio la riduzione graduale della fornitura dei movimenti meccanici, ma non quella degli assortiment. L’anti-trust motiva la decisione con il fatto che al momento non esiste un’alternativa alla spirale prodotta da Nivarox.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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