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1991: i dilemmi europei del governo svizzero

Persone in attesa, foto in bianco e nero
Il Consiglio federale in attesa dei suoi ospiti nel giorno delle relazioni internazionali, il 14 giugno 1991. Da sinistra: Kaspar Villiger, René Felber, Arnold Koller, Jean-Pascal Delamuraz, Otto Stich, Falvio Cotti, Adolf Ogi. dodis

Nel 1991, la Svizzera festeggia il 700° anniversario della Confederazione. Ma il richiamo alle sue origini mitiche, mentre sono in corso i negoziati sullo Spazio economico europeo, non basta a occultare il disorientamento di fronte al processo di integrazione europeo.

“I negoziati si sono rivelati […] una serie ininterrotta di delusioni”, scriveCollegamento esterno il presidente delle Confederazione Flavio Cotti al ministro dell’economia Jean-Pascal Delamuraz il 28 marzo 1991. Delamuraz, insieme al ministro degli esteri René Felber, rappresenta la Svizzera nei negoziati tra Comunità economica europea (CEE) e Associazione europea di libero scambio (AELS) sullo Spazio economico europeo (SEE).

I documenti su cui si basa questo articolo sono stati pubblicati il 1° gennaio 2022 dal centro di ricerca Dodis, allo scadere del termine di protezione di trent’anni previsto dalla Legge federale sull’archiviazione.

Nella sua banca dati online, Dodis ha reso accessibile una selezione di circa 1’700 documenti sulla politica estera della svizzera nel 1991. 

Oltre ai documenti relativi alla politica europea della svizzera, la selezione riguarda temi come i rapporti con l’Europa dell’est, il crollo dell’Unione sovietica, la guerra in Iraq, l’adesione della Svizzera alle istituzioni di Bretton Woods, le relazioni economiche con l’estero e la cooperazione allo sviluppo.

Nel suo intervento, piuttosto insolito, il politico ticinese invita il collega a riconsiderare la strategia europea della Svizzera: “Ci si può in effetti chiedere se non sarebbe meglio interrompere il prima possibile i negoziati sullo SEE”. Cotti considera che un’adesione diretta alla Comunità europea potrebbe essere accolta con “maggiore simpatia dal sovrano.”

Nuove dinamiche europee

Dalla fine degli anni Ottanta, gli equilibri internazionali scaturiti dalla Seconda guerra mondiale sono in crisi. Lo sgretolamento del blocco comunista rimescola le carte geopolitiche. La neutrale Svizzera, abituata a muoversi in un mondo bipolare, fatica a trovare una nuova collocazione.

Il nodo più complesso da sciogliere per Berna è quello dell’integrazione europea. Fino a quel momento, la politica europea della Svizzera è stata strettamente connessa a quella dell’AELS. Il più importante trattato concluso con la CEE è l’accordo di libero scambio del 1972.

La Comunità economica europea (CEE), oggi Unione europea, nasce nel 1957 con il Trattato di Roma. Nel 1991 comprende, oltre ai membri fondatori Italia, Francia, Paesi Bassi, Lussemburgo, Belgio e Germania federale, anche il Regno Unito, la Danimarca, l’Irlanda, la Grecia, la Spagna e il Portogallo. 

L’Associazione europea di libero scambio (AELS) è stata fondata nel 1960 dagli stati europei che non potevano o non desideravano aderire alla CEE. Nel corso degli anni, vari stati dell’AELS hanno aderito alla CEE/UE, primi fra tutti Regno Unito e Danimarca nel 1972. Oggi dell’AELS fanno parte solo Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

Lo Spazio economico europeo (SEE) è un accordo, firmato nel 1992, che regola la partecipazione degli stati dell’AELS al mercato comune europeo. La Svizzera non ha aderito allo SEE; il suo accesso al mercato unico è regolato da vari accordi bilaterali con l’UE. 

Negli anni Ottanta, la dinamica dell’integrazione europea rischia però di emarginare l’AELS. Bruxelles frena sulle nuove adesioni, per dare la priorità alla costruzione del mercato interno, basato sulle quattro libertà di circolazione (persone, merci, servizi e capitali). È in questo contesto che nel 1989 il presidente della Commissione europea Jacques Delors propone una nuova forma di partenariato, che regoli l’accesso degli stati dell’AELS al mercato unico europeo.

Scontro con la realtà

Inizialmente, almeno agli occhi di Berna, lo SEE appare come una buona soluzione che permette di partecipare all’integrazione economica del continente salvaguardando la propria autonomia istituzionale.

Ben presto però i cambiamenti geopolitici che stravolgono l’Europa modificano il senso dei negoziati avviati nel 1990. “La caduta del muro di Berlino imprime alla discussione sullo SEE una dinamica del tutto diversa da quella che si prospettava all’inizio”, osserva lo storico Sacha Zala, direttore di Dodis. “Nel 1991 la Svizzera si scontra definitivamente con una realtà europea che non è più quella degli anni Sessanta.”

Il fronte dell’AELS si sfalda; l’obiettivo dell’adesione alla CEE perseguito dai due principali partner della Svizzera, Austria e Svezia, indebolisce la posizione negoziale di Berna. La CEE, ormaiCollegamento esterno “punto di riferimento per praticamente tutti i paesi europei”, è sempre meno disposta a fare concessioni e avanza anzi nuove richieste.

In particolare, Bruxelles fa capireCollegamento esterno “che un accordo sul traffico di transito è considerato una premessa per il trattato sullo SEE” (un tale accordoCollegamento esterno sarà raggiunto il 21 ottobre 1991, lo stesso giorno della conclusione delle trattative sullo SEE).

Un governo diviso

Al di là di questioni di sostanza, quali la libera circolazione delle persone o le norme di protezione dell’ambiente, il nodo più difficile da sciogliere rimane quello istituzionale. La CEE vuole mantenere il controllo sull’evoluzione del diritto comunitario ed è perciò poco propensa a cedere potere decisionale ai paesi dell’AELS. Il rapporto tra le due organizzazioni è sempre meno un rapporto tra partner alla pari.

Le difficoltà dei negoziati con la CEE fanno presto emergere profonde divergenze in seno al governo svizzero. Lo testimonia il verbaleCollegamento esterno di una seduta del Consiglio federale di metà aprile 1991.

In quell’occasione, Jean-Pascal Delamuraz e René Felber ammettono che i negoziati con la CEE non sono soddisfacenti, ma cercano di salvare il salvabile. La Svizzera non può fare il “cavaliere solitario”, ripete Delamuraz, mentre Felber invita a considerare anche “i numerosi punti positivi” dell’accordo. Nel frattempo, entrambi hanno però maturato la convinzione che lo SEE possa essere solo una soluzione transitoria in vista di un’adesione alla CEE.

La loro opinione è contestata da Otto Stich: “Un cattivo accordo non va mai considerato un passo nella giusta direzione”, afferma il ministro delle finanze. E aggiunge: “Uno SEE quale quello che si sta profilando significa una satellizazione della Svizzera”. Il ministro della difesa Kaspar Villiger concorda: “Stiamo andando verso uno stato coloniale con statuto di autonomia”.

Insoddisfazione è espressa, in forma e con obiettivi diversi, anche dagli altri consiglieri federali, Arnold Koller, Adolf Ogi e Flavio Cotti.

La civiltà europea e le banche

Nei mesi successivi, i segnali provenienti dai partner europei sono tutt’altro che incoraggianti. In maggio il ministro degli esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher, in visita in Svizzera, osservaCollegamento esterno lapidario che solo i membri della CEE possono difendere in modo ottimale i propri interessi nazionali.

Il presidente francese François Mitterand, che incontra Cotti e Delamuraz a Lugano in giugno, non è da meno: “Se rimanete in un bellissimo isolamento, le condizioni resteranno le stesse?”, chiedeCollegamento esterno ai suoi ospiti elvetici. E mentre evoca la sua visione di civiltà europea, aggiunge con una punta di malizia: “Non si può del resto fondare una civiltà sulle banche”.

Persone scendono da una scalinata
Il presidente francese François Mitterand, al centro, nella Villa Ciani di Lugano in compagnia del presidente della Confederazione Flavio Cotti (a destra) e del vicecancelliere Achille Casanova il 7 giugno 1991. dodis

La questione di una possibile richiesta di adesione alla CEE continua frattanto a influire sulla strategia negoziale della Svizzera. A fine maggio, Delamuraz e Felber tentano di dare priorità alla prospettiva di adesione, ma si scontrano con l’opposizione di alcuni colleghi, in particolare di Otto Stich, che consideraCollegamento esterno la CEE “ancora troppo centralistica e troppo poco democratica”.

A fine luglio, un documentoCollegamento esterno elaborato da un gruppo di riflessione del Dipartimento degli affari esteri spinge nuovamente per un’adesione in tempi brevi alla CEE: “Per le sue tradizioni federaliste e democratiche, la sua pratica del consenso, la Svizzera è chiamata a svolgervi un ruolo di primo piano”.

La Svizzera, una parte riluttante dell’Europa

“L’Europa è parte di noi stessi, e noi siamo parte di essa”, esclamaCollegamento esterno Flavio Cotti in settembre, a Sils in Engadina, nell’ambito dei festeggiamenti per il 700° anniversario della Confederazione. La retorica europeista della frase non basta però a nascondere le difficoltà del governo a trovare una posizione univoca.

Manca ormai solo un mese e mezzo alla tornata decisiva dei negoziati, prevista per il 21 ottobre nel Lussemburgo. I funzionari dei dipartimenti degli esteri e dell’economia che si occupano del dossier europeo raccomandanoCollegamento esterno al governo di chiarire al più presto la propria posizione sull’adesione e di valutare in una seduta successiva i risultati dei negoziati sullo SEE.

Ma il Consiglio federale prende tempo e si riunisceCollegamento esterno solo il 19 ottobre. Le posizioni tra i membri del governo continuano a essere distanti, le concessioni chieste alla Svizzera sul piano istituzionale lasciano tutti insoddisfatti.

La prospettiva dell’adesione

Alla fine, prevale tuttavia la posizione di Delamuraz e Felber: sì al trattato sullo SEE, ma solo come passo intermedio verso l’adesione alla CEE. L’adesione diventa ufficialmente un obiettivo del Consiglio federale.

Nella notte del 22 ottobre, Delamuraz e Felber accettano i risultati dei negoziati finali. “La prospettiva in cui il Consiglio federale pone questo accordo è quella dell’adesione”, spiegaCollegamento esterno il ministro degli esteri in novembre alla commissione della politica estera del Consiglio degli Stati. I parlamentari si dimostrano in maggioranza soddisfatti del lavoro del governo.

Un membro della commissione invita però alla prudenza: “La votazione sullo SEE non è ancora vinta “. Poco più di un anno più tardi, dopo una campagna di voto virulenta e con una partecipazione da record (78,7%), l’accordo sullo SEE sarà respinto dal 50,3% dei votanti e per la politica europea della Svizzera si aprirà un nuovo capitolo.


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