Chiesa e pedofilia: i dubbi delle vittime
I casi di pedofilia nel clero continuano a far discutere. La chiesa cattolica svizzera ha emanato nuove direttive per la prevenzione degli abusi. Ma le vittime ritengono che non si faccia abbastanza per contrastare il fenomeno e per aiutare chi ha subito abusi.
«Dove sono tutti i preti svizzeri accusati di abusi sessuali?», si chiede Gérard Falcioni, un maestro di sci e pastore nel villaggio di Bramois, nel Canton Vallese.
Falcioni da bambino ha subito per anni gli abusi del prete del suo villaggio. È una delle poche vittime di abusi in Svizzera a esprimersi apertamente contro la chiesa cattolica, fin dal 2002. Ha raccontato la sua storia, in due libri e in numerose interviste. Ma ora ne ha abbastanza.
«Combattiamo contro un muro di mattoni e non possiamo fare niente. Sono liberi di fare quello che vogliono», dice a swissinfo.ch. Non è l’unica voce che si chiede quali siano stati i reali progressi nella lotta contro gli abusi all’interno della chiesa cattolica.
Jean-Marie Fürbringer, presidente dell’associazione Faire le Pas, che aiuta le vittime di abusi sessuali, ritiene che la chiesa cattolica abbia aperto la porta al dialogo, soprattutto dopo che il tema ha avuto un’enorme eco nella stampa nel 2010. «Ma la nostra impressione è che ci siano ancora problemi e che continui a vigere una cultura del silenzio».
«Ufficialmente la chiesa ha teso la mano alle vittime e ha espresso il suo rammarico, ma non si è parlato di risarcimenti e continua a esserci un’estrema discrezione. L’impressione è che la chiesa non stia prendendo sul serio il suo ruolo», dice.
A suo avviso la chiesa cattolica è male informata sugli abusi. Preti di Lucerna con cui aveva parlato un paio di anni fa erano terrificati all’idea che il problema potesse essere più grave di quello che si immaginavano.
Secondo la commissione delle Nazioni Unite per i diritti dei minori, il Vaticano dovrebbe modificare la legge canonica in modo che rispetti la Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia, ratificata dalla Santa Sede nel 1990.
«Reagendo alle accuse di abusi sessuali su bambini, la Santa Sede ha sempre anteposto la difesa della reputazione della chiesa e la protezione degli autori degli abusi agli interessi dei bambini».
«Il comitato è gravemente preoccupato per il fatto che la Santa Sede non ha riconosciuto l’estensione dei crimini commessi, non ha preso le misure necessarie per affrontare i casi di abusi sessuali su bambini e per proteggere i bambini e ha adottato regole e prassi che hanno condotto a una continuazione degli abusi e all’impunità degli autori».
Il comitato ha sollecitato il Vaticano a fermare il trasferimento di autori di abusi o sospetti tali, trasferimenti che equivalgono a una copertura dei crimini commessi. Una commissione del Vaticano creata lo scorso anno dovrebbe investigare «tutti i casi di abuso su minori, come pure la condotta della gerarchia cattolica nella loro gestione».
Il comitato dell’ONU ha inoltre esortato il Vaticano a «rimuovere immediatamente dai loro incarichi tutti gli autori o le persone sospettate di abusi sessuali su bambini e di riferire la questione alle autorità competenti ».
Il Vaticano dovrebbe offrire una formazione sui diritti dei minori a tutti i preti e a tutti i membri di ordini religiosi e istituzioni che lavorano con i bambini.
Nuove direttive
Alla fine di gennaio, due settimane dopo che a Ginevra il Vaticano è stato messo sotto torchio dagli esperti delle Nazioni unite per la difesa dei minori sul tema degli abusi sessuali nella chiesa cattolica e dopo che è stato presentato il relativo rapporto (vedi riquadro), la chiesa cattolica svizzera ha pubblicato la terza edizione delle sue regole per la prevenzione degli abusi.
Le nuove direttive, afferma la Conferenza dei vescovi svizzeri, mettono un accento più forte sulla prevenzione e sulla formazione e inoltre includono gruppi e attività religiose che prima non cadevano sotto la responsabilità delle diocesi. Le direttive dovrebbero anche permettere una maggiore trasparenza sui trasferimenti dei sacerdoti. I nuovi impiegati devono ora presentare una copia della loro fedina penale.
«Se si leggono attentamente le direttive, si può constatare che le critiche dell’ONU non corrispondono all’attitudine coerente e trasparente della chiesa cattolica svizzera», afferma Joseph Bonnemain, il segretario della commissione di esperti istituita dalla Conferenza dei vescovi svizzeri per affrontare i casi di abuso.
Punta dell’iceberg
Secondo i dati recenti della Conferenza dei vescovi svizzeri, tra il 2009 e il 2012 le vittime che hanno denunciato abusi avvenuti a partire dal 1960 nelle diocesi svizzere sono state 193. Gli abusi sono stati compiuti da 172 preti e laici.
La maggior parte dei casi riguarda le diocesi di San Gallo, Coira e Basilea. Solo pochi sono recenti, la maggior parte delle denunce è stata fatta nel 2010, nel momento di maggior attenzione mediatica sul fenomeno. Nella maggior parte dei casi il termine di prescrizione è scaduto e spesso i preti coinvolti sono già morti. Solo pochi casi si sono conclusi con una condanna, una sospensione del sacerdote o un risarcimento.
L’associazione Faire le Pas continua a fornire la sua assistenza alle vittime di abusi da parte di sacerdoti, ma queste rappresentano solo il 5% circa del numero totale di persone che si rivolgono all’associazione. Fürbringer è convinto che si tratti solo della punta dell’iceberg. Molte persone avrebbero ancora paura di esporsi.
Jacques Nuoffer, presidente del gruppo Sapec, che rappresenta le vittime di preti pedofili nella Svizzera francese dice di essere stato incoraggiato nella sua attività dall’attitudine di alcuni responsabili della chiesa e dalle direttive che «vanno nella giusta direzione».
«Sono però applicate molto lentamente e solo a livello regionale. Ogni vescovo fa quello che vuole», dice Nuoffer, lui stesso vittima di abuso da parte di un prete nella regione di Friburgo.
Reagendo alle accuse del comitato dell’Onu sui diritti dei minori, il Vaticano ha affermato che il rapporto del 2014 sugli abusi sessuali su minori da parte di membri del clero è distorto, non equo e ideologicamente prevenuto.
L’arcivescovo Silvano Tomasi, rispondendo alle critiche contenuto nel rapporto sulla posizione della chiesa rispetto all’omosessualità, all’aborto e alla contraccezione, ha affermato che le Nazioni Unite non possono chiedere alla Chiesa di modificare il suo insegnamento morale, che «non è negoziabile».
Alla Radio Vaticana, Tomasi ha detto che il comitato dell’ONU è stato probabilmente influenzato da ONG favorevoli al matrimoni gay per rafforzare la «linea ideologica» del rapporto.
«Ci vuole tempo»
Bonnemain non è d’accordo con questa analisi. A suo avviso l’attitudine della chiesa verso le vittime, la sua gestione dei casi denunciati e dei casi sospetti come pure le norme procedurali sono «più precise e complete» di quanto lo fossero in passato.
Le nuove direttive, aggiunge Bonnemain, dovrebbero permettere un approccio più equilibrato a livello nazionale, ma la commissione di cui fa non ha una funzione di controllo, né tanto meno decisionale: «Preferiamo offrire aiuti al personale delle diocesi e delle altre organizzazioni religiose perché possano affrontare gradualmente il problema degli abusi sessuali con la serietà e le capacità necessarie. Si tratta di un lavoro di convinzione e incoraggiamento. Necessita di tempo».
Nel frattempo Nuoffer è determinato a continuare la sua lotta per la verità e la giustizia, per sé e per le altre vittime. I contatti con la diocesi di attinenza dell’autore dell’abuso non hanno finora dato frutto. In una lettera del 2012, che Nuoffer ha mostrato a swissinfo.ch, il capo della congregazione franco-svizzera dei missionari di san Francesco di Sales ha categoricamente rifiutato la sua richiesta di risarcimento e di informazioni.
«Voglio informazioni sul mio caso, il riconoscimento della responsabilità morale per il trauma che ho subito e un risarcimento», dichiara.
Nel dicembre scorso è stato chiamato a far parte, come rappresentante delle vittime, della commissione di esperti della Conferenza dei vescovi svizzeri, che sta esaminando anche la questione degli indennizzi.
Nello stesso tempo ricorda di aver ottenuto il sostegno di una dozzina di parlamentari della Svizzera francese per il suo progetto di creare un ente indipendente che esamini e faccia da mediatore in casi di abuso sessuale da parte di preti. Il modello è quello del centro di arbitrato creato con successo in Belgio.
«Dobbiamo trovare una soluzione per gli indennizzi nei casi in cui è già scattata la prescrizione e per applicare correttamente le misure di prevenzione. Ma finché è la chiesa a occuparsi della questione niente si muoverà. Ci sono ancora vescovi che fanno resistenza e che non sono favorevoli ai risarcimenti», afferma.
(Traduzione dall’inglese, Andrea Tognina)
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