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“In Francia, la gente non è pronta a fare sacrifici per il bene comune”

Anita Doudaine
Anita Doudaine vive in Francia dal 2006. In Svizzera, era consigliera comunale a Olten per l'Unione democratica di centro (UDC, destra sovranista). zvg

Anita Doudaine era membro dell'Unione democratica di centro (destra sovranista), il principale partito a livello federale in Svizzera. Espatriata in Francia da 15 anni, ha partecipato attivamente al movimento dei Gilet gialli. In vista delle elezioni presidenziali francesi, Doudaine afferma di riconoscersi più nelle candidature della sinistra radicale che in quelle di estrema destra.

“Il popolo francese funziona e pensa in un altro modo, fa politica in maniera diversa”, afferma Anita Doudaine. Una differenza culturale che la 47 enne percepisce quotidianamente da quando vive a Charnas, nel dipartimento dell’Ardèche, un villaggio a metà strada tra Lione e Valence.

In Francia per amore

Originaria di Teufen, nel Cantone di Appenzello Esterno, nella Svizzera nord-orientale, Doudaine fa un apprendistato come disegnatrice edile e poi una scuola tecnica nello stesso campo. Lavora nella progettazione e nell’allestimento di stand fieristici.

Ed è proprio durante un salone a Pechino, in Cina, che incontra il suo futuro marito, un francese. Nel 2005, la donna emigra in Francia, per amore.

bambina
Anita Doudaine da bambina con il tradizionale “Tracht” svizzero-tedesco. zvg

Impegno politico in Svizzera

Accanto ai suoi studi, è attiva in politica, ma mai per un movimento specifico, poiché non può “identificarsi con nessun partito al 100%”.

La sua vita professionale la porta a Olten, nel Cantone di Soletta, nella Svizzera centrale, dove entra a far parte dell’Unione democratica di centro (UDC, centra sovranista). La ragione principale di questa scelta è l’opposizione del partito all’adesione all’Unione europea: “Non sono a favore dell’UE – almeno non nella sua forma attuale”, dice.

La non adesione all’UE diventa il filo conduttore del suo impegno politico. L’appenzellese si candida per il consiglio comunale (esecutivo) di Olten e viene eletta “Purtroppo non ho potuto terminare il mio mandato”, si rammarica.

Un’esponente UDC di estrema sinistra

Oggi non è più membro dell’UDC: “Ho lasciato il partito quando ho lasciato la Svizzera”. Doudaine continua comunque a sostenere l’UDC alle votazioni federali ed è al “70-80%” d’accordo con le sue politiche. Il suo più grande disaccordo è con la politica sociale e migratoria del partito.

In Francia, la donna non appartiene a nessun movimento politico perché, nemmeno lì, è “convinta al 100%”. Uno dei partiti a cui si sente più vicina è La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon (estrema sinistra). Tuttavia, preferisce uno dei suoi deputati, il giornalista e documentarista François Ruffin, al presidente del partito. Doudaine afferma di avere anche un debole per il Nuovo Partito Anticapitalista di Philippe Poutou (estrema sinistra), che è antieuropeo.

La Francia è il Paese che ospita la più grande comunità di svizzeri e svizzere all’estero, con quasi 201’000 persone registrate presso le rappresentanze consolari.

In vista delle prossime elezioni presidenziali, che si terranno il 10 aprile (primo turno) e il 24 aprile (secondo turno) 2022, SWI swissinfo.ch raccoglie le testimonianze degli svizzeri e delle svizzere di Francia che sono – o sono stati/e – attivi nei principali partiti politici elvetici, allo scopo di offrire un punto di vista svizzero sulla politica francese.

I partiti svizzeri rappresentati sono: Partito socialista (sinistra), Unione democratica di centro (destra conservatrice), Alleanza del Centro (centro) e I Verdi (sinistra).

Interrogata sul paradosso di essere stata membro dell’UDC in Svizzera e di sostenere la sinistra radicale in Francia, Doudaine risponde che “alla fine c’è un certo numero di punti in comune tra idee che sono molto di sinistra in Francia e molto di destra in Svizzera”. Pensa alla linea talvolta molto critica di questi partiti nei confronti dell’UE e al fatto che si rivolgono a una frangia piuttosto proletaria (in Francia) e rurale (in Svizzera) della popolazione.

Nessuna possibilità per l’estrema destra

Anita Doudaine ritiene che La France insoumise e il Nuovo Partito Anticapitalista abbiano “non solo idee, ma anche soluzioni”, cosa che non sarebbe il caso di Marine Le Pen (Rassemblement national, estrema destra), di Éric Zemmour (Reconquête, estrema destra) o del presidente uscente Emmanuel Macron (La République en marche, centro). Critica questi ultimi per non fornire indicazioni concrete su come finanziare le loro “grandi idee di riforma”, a differenza di François Ruffin di La France insoumise. “Trovo che questo sia importante per sapere se le idee possono essere attuate o meno”.

“Da quando vivo in Francia, non ho mai visto la popolazione così divisa.”

Per l’espatriata svizzera, i due principali candidati di estrema destra Marine Le Pen e Éric Zemmour sono in competizione, “e va benissimo così”, aggiunge con una risata. È contenta che il presidente di Reconquête sia un candidato alla presidenza, perché questo “riduce il rischio che uno dei due superi il primo turno”. In ogni caso, aggiunge con convinzione, “per me nessuno dei due à eleggibile!”.

Crede che Valérie Pécresse (I Repubblicani, destra) ed Emmanuel Macron saranno al secondo turno delle presidenziali, il 24 aprile, anche se non vede “grandi differenze tra i loro due programmi”.

Catastrofico

“Catastrofico” è l’aggettivo con cui Anita Doudaine descrive il mandato quinquennale del presidente uscente. “Da quando vivo in Francia, non ho mai visto la popolazione così divisa”. Deplora lo smantellamento degli ospedali e la privatizzazione delle case di riposo.

Tuttavia, riconosce che non tutti i problemi attuali possono essere imputati a Macron: “È anche responsabilità dei Governi precedenti che hanno messo delle pezze qua e là”, senza mai affrontare i reali problemi, che ora sono “urgenti” e per i quali “bisognerà trovare soluzioni radicali”.

Secondo lei, l’ascesa degli estremi in Francia, sia a destra che a sinistra, “è il risultato degli ultimi venti anni di politica”.

candidati e candidate alla presidenza francese 2022
Kai Reusser / swissinfo.ch

I Gilet gialli

La crisi dei Gilet gialli (Gilets jaunes) è la conseguenza di “uno Stato dimissionario”, sostiene. A partire dal novembre 2018, centinaia di migliaia di persone che indossavano dei gilet gialli di emergenza hanno organizzato blocchi e marce, inizialmente per protestare contro l’aumento delle tasse sul carburante, ma anche più in generale contro il calo del potere d’acquisto e per denunciare lo sfasamento tra il Governo e la realtà sul territorio.

“La gente è in difficoltà quando gli aiuti previsti non arrivano, quando l’elettricità, il gas e la benzina sono così tassati che non se li può più permettere, quando persone che hanno lavorato tutta la vita ricevono solo 700 euro al mese e lo Stato non fa nulla”, afferma Doudaine, impiegata presso un’amministrazione. È anche colpa di una politica molto incentrata sulle città e le aree urbane, “mentre nelle campagne non ci sono nemmeno i trasporti pubblici”, dice.

Così, per solidarietà, Doudaine ha partecipato attivamente al movimento dei Gilet gialli e “di tanto in tanto” si reca ancora alle manifestazioni. Tuttavia, tre anni dopo l’inizio della crisi, “c’è una certa rassegnazione”. Ha l’impressione che le cose non siano migliorate di molto.

Un Paese impossibile da riformare

L’appenzellese è consapevole che i Governi in Francia non hanno comunque un compito facile, perché ogni volontà di profonde riforme porta quasi sempre a grandi manifestazioni. Per questo crede che la democrazia diretta non sia possibile in Francia: “La gente non è disposta a fare sacrifici personali per il bene comune, nemmeno chi guadagna relativamente bene”.

Doudaine non crede che il popolo francese accetterebbe decisioni che hanno ottenuto solo una maggioranza risicata in votazione popolare. “Accettare il processo democratico richiede tempo, ci si deve abituare, durante più generazioni”, dice.

Per dare più voce in capitolo al popolo, sostiene, ci vorrebbe una trasformazione radicale del sistema politico francese. Perché “una democrazia diretta con un o una presidente e una maggioranza in Parlamento non è possibile. Lui o lei avrebbe troppa influenza sulle votazioni”.

Anche se non vede molti punti positivi nella centralizzazione francese, intravvede comunque un vantaggio rispetto al sistema svizzero: la rapidità. “Le decisioni possono essere prese rapidamente e questo permette di reagire velocemente ai problemi urgenti”, dice.

Traduzione dal francese: Luigi Jorio

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