Prospettive svizzere in 10 lingue

La “Svizzera latina” esiste davvero?

due palme, una bandiera svizzera al vento e alcune panchine in riva a un lago
In Ticino, a sud delle Alpi, crescono le palme e splende spesso il sole. Keystone

Gli svizzeri francesi e gli svizzeri italiani - i "latini" - sono spesso visti come una sorta di alleanza politica che si schiera contro gli svizzeri tedeschi. La realtà è però alquanto diversa.

C’è un momento, durante il viaggio in treno da Berna a Ginevra, in cui si entra in una galleria. All’improvviso, si sbuca al di sopra delle acque turchesi del Lago Lemano, circondato da un lato da montagne a strapiombo che sembrano emergere dall’acqua e dall’altro da un mosaico di vigneti terrazzati. In particolare quando splende il sole, è difficile non pensare che si è arrivati a sud.

Anche quando si esce dal tunnel ferroviario del San Gottardo, tra il cantone germanofono di Uri e il Ticino, si giunge in una zona solitamente soleggiata e ricca di palme.

In Svizzera, i confini virtuali che dividono le varie regioni linguistiche hanno un nome: i cosiddetti “röstigraben” e “polentagraben” segnano non solo il passaggio dal tedesco al francese e all’italiano, ma pure quello da una cultura all’altra, da un qualcosa di settentrionale a un qualcosa di più latino.

Per descrivere gli italofoni e i francofoni del paese si usa infatti spesso l’espressione “Svizzera latina”. Linguisticamente, quelle romanze o neolatine sono lingue lontanissime dai suoni gutturali del tedesco. Politicamente, invece, il mito del fossato tra le regioni linguistiche va rivisto, secondo una ricerca Collegamento esternorecente del think-tank svizzero Avenir Suisse. Dopo aver considerato 30 anni di votazioni, e analizzato il comportamento degli elettori nella Svizzera tedesca, francese e italiana, sono giunti a una conclusione: «La Svizzera latina non esiste».

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Diana Erlenmaier

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Divergenze su Europa e cittadinanza

Secondo lo studio, «il fatto di parlare una lingua diversa dal tedesco non basta per forgiare un’identità comune». Non solo. I ricercatori hanno anche evidenziato che gli italofoni e i francofoni votano spesso in maniera contrastante.

Concentrandosi su due grandi tematiche sottoposte alle urne – Europa e cooperazione internazionale, identità e cittadinanza – Avenir Suisse ha rilevato che i cantoni italofoni e francofoni figurano quasi sempre su fronti opposti, rispetto alla media nazionale (tracciata dai cantoni germanofoni).

Sulle questioni europee, la differenza arriva fino a uno «spettacolare» 30%, con il Ticino che ha quasi sistematicamente sempre votato contro un ulteriore avvicinamento all’Unione europea e i cantoni francofoni più aperti rispetto alla media nazionale. Nel 1992, ad esempio, oltre il 70% dei francofoni si è espresso in favore dell’adesione elvetica allo Spazio economico europeo. In Ticino, il grado di approvazione è stato di circa il 40%. Oltre 20 anni dopo si ritrova lo stesso schema, sebbene invertito: nel 2014, quasi il 70% dell’elettorato italofono ha votato per l’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, mentre la quota è stata del 43% nella Svizzera francese.

Lo stesso vale per le votazioni concernenti il concetto di identità. Sebbene le differenze siano meno marcate, Avenir Suisse ha rilevato che rispetto alla media svizzera il Ticino è meno propenso ad accelerare le procedure di naturalizzazione. I cantoni francofoni sono al contrario chiaramente a favore. Più di recente, in occasione della votazione sulla naturalizzazione facilitata dei giovani stranieri di terza generazione, il divario tra le due regioni linguistiche è stato del 20%. Analogamente, in materia di asilo, il Ticino vota in modo più «restrittivo», mentre i cantoni francofoni sono più «permissivi».

Italofoni e francofoni: concorrenti, non alleati

Perché allora il mito della solidarietà latina continua a esistere? Tibère Adler, responsabile della ricerca di Avenir Suisse, spiega che l’idea dello studio è nata l’anno scorso, in occasione dell’elezione del nuovo membro del governo svizzero. Al fine di mantenere un equilibrio regionale in seno al governo federale, composto di sette membri, i politici germanofoni erano dell’idea che il seggio lasciato libero da Didier Burkhalter, di Neuchâtel, spettasse a un rappresentante latino. Alla fine, a imporsi è stato il ticinese Ignazio Cassis, il primo consigliere federale del cantone dal 1999.

Tra i candidati, la cosiddetta solidarietà latina è però venuta meno. Diversi francofoni hanno rivendicato il seggio, sostenendo che non era affatto giunto il momento del Ticino. Secondo Tibère Adler, questa duplice visione delle alleanze non è affatto rara e, anzi, rispecchia un paradosso: la maggioranza germanofona si considera semplicemente come «svizzera», mentre considera gli italofoni e i francofoni come «gli altri». Ma questo non tiene conto delle sfumature che separano non solo le due lingue latine, ma pure le diverse zone della Svizzera francese, una regione tutt’altro che omogenea.

Marco Chiesa, deputato ticinese dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), concorda: pur essendo il vicepresidente di Helvetia Latina, un’associazione a favore della «diversità linguistica» nell’amministrazione federale, afferma che è persino difficile parlare di un’identità comune tra un banchiere di Ginevra e un contadino del canton Vaud (entrambi francofoni). Politicamente, aggiunge, nella battaglia per aggiudicarsi i rimasugli lasciati dalla maggioranza germanofona a Berna, a prevalere tra italofoni e francofoni è più la concorrenza che la collaborazione. Entrambe le minoranze si battono infatti per il proprio riconoscimento.

 «Il fatto di parlare una lingua diversa dal tedesco non basta per forgiare un’identità comune».
Avenir Suisse

«Dimenticati» dalla capitale

Negli ultimi anni, questa competizione si è intensificata, specialmente da parte ticinese. Chiesa e Adler rammentano che gli italofoni ripetono spesso di sentirsi «dimenticati» da Berna. È indiscutibile che il cantone a sud delle Alpi – che conta solo 350’000 abitanti ed è geograficamente isolato dal resto della Svizzera – sta attraversando un periodo di cambiamenti. Confrontato con la fuga dei cervelli dalla vicina Italia e la pressione dei frontalieri sul mercato del lavoro interno («il numero di frontalieri è raddoppiato», dice Chiesa), il cantone ha visto la crescita esponenziale del partito di destra populista Lega dei Ticinesi, che fa leva sulla questione identitaria.

«Siamo sempre i perdenti!», sostiene Marco Chiesa, deplorando l’accordo sulla libera circolazione con l’Ue. Un’intesa, afferma, da cui il Ticino trae molto meno beneficio rispetto ad altri cantoni di frontiera quali Basilea, San Gallo o Ginevra. Ma si tratta davvero di perdenti o piuttosto di una minoranza che sa bene come far sentire la propria voce?

«Giocano su questa cosa, si vittimizzano», ritiene Tibère Adler parlando del movimento di destra in Ticino. Sebbene siano in atto dei cambiamenti strutturali nell’economia cantonale, questa retorica è esagerata, in particolare in seno alla «tatticamente efficace» Lega, sostiene.

Culturalmente sì, politicamente no

Quindi, la “Svizzera latina” esiste oppure no?

«Assolutamente», soprattutto quando si parla di radici, cultura e lingua, risponde Chiesa. Il fatto di evidenziare queste caratteristiche comuni attraverso un’organizzazione quale Helvetia Latina favorisce la «coesione nazionale», sottolinea.

Ma quando si tratta di politica, e del «gioco degli interessi comuni» che caratterizza il sistema svizzero di ricerca di un consenso, ognuno pensa per sé e i germanofoni hanno in questo senso molto più da offrire, sostiene Chiesa. Anche nel quotidiano, puntualizza, «se si chiede a un ticinese con chi vorrebbe lavorare, la risposta è: con uno svizzero tedesco».

Lingue in Svizzera

La Svizzera ha quattro lingue nazionali: tedesco, francese, italiano e romancio. Il tedesco (compreso il dialetto svizzero tedesco) è parlato dal 63% della popolazione, il francese dal 23% e l’italiano dall’8%. Meno dell’1% della popolazione svizzera indica il romancio quale lingua principale.

Traduzione dall’inglese di Luigi Jorio

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