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L’autonomia della Banca nazionale messa a dura prova

L'ex presidente della BNS Philipp Hildebrand, costretto a rassegnare le dimissioni all'inizio di quest'anno Keystone

Lo choc provocato dalle dimissioni in gennaio di Philipp Hildebrand dalla presidenza della Banca nazionale svizzera (BNS) è stato ormai superato. La politica monetaria della banca centrale continua invece ad essere nel mirino di politici e gruppi di pressione.

Un anno fa, la decisione della BNS di fissare una soglia minima di 1,20 franchi per 1 euro aveva suscitato grande scetticismo e numerose critiche. A destra, l’Unione democratica di centro (UDC) aveva giudicato questa strategia troppo rischiosa, soprattutto dopo le perdite subite dalla BNS nei suoi interventi precedenti sui mercati valutari. I partiti di sinistra e i sindacati avevano invece accusato la banca centrale di eccessiva prudenza.

A detta di vari economisti, operatori finanziari e giornalisti, il tentativo di ancorare il franco avrebbe avuto conseguenze molto pesanti nel caso in cui l’euro fosse crollato ulteriormente. Tra queste, un’inflazione dilagante e la formazione di una grande bolla immobiliare.

Le critiche si sono poi concentrate sulla persona di Philipp Hildebrand all’inizio di quest’anno, in seguito alle rivelazioni sulle transazioni valutarie effettuate dalla moglie dell’ex presidente della BNS, sospettata di aver aproffittato di informazioni privilegiate sulle operazioni della banca centrale. Hildebrand è stato costretto a rassegnare le sue dimissioni, dopo che la stampa aveva pubblicato i suoi dati bancari, sottratti illegalmente da un informatico della Banca Sarasin.

La vicenda ha inoltre oscurato la reputazione dello stratega dell’UDC Christoph Blocher e di altri membri del partito di destra, finiti sotto inchiesta per aver trasmesso alla stampa i dati bancari rubati e per presunta violazione della legge federale sulle banche.

Dato il clamore della vicenda, che aveva messo in cattiva luce i controlli interni della BNS, molti partiti hanno ribadito in quei giorni la necessità di garantire l’indipendenza della BNS. L’istituto di emissione ha continuato però a rimanere al centro di varie critiche.

Strategia rischiosa

Nessuna banca centrale può operare in un vuoto politico, dal momento che sue scelte hanno un impatto molto grande su tutta la popolazione, osserva Charles Wyplosz, docente presso l’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo di Ginevra.

“Visto il suo enorme portafoglio di riserve di valuta estera, la BNS dovrà affrontare problemi di gestione. In particolare, sarà continuamente chiamata a trovare degli sbocchi per piazzare i miliardi di euro che detiene. Le pressioni politiche sono quindi inevitabili: molti politici si preoccupano per i rischi di tale strategia”, rileva l’esperto di mercati valutari.

In marzo, il parlamento ha respinto le proposte dell’UDC, volte a limitare gli interventi della banca centrale sui mercati valutari e ad imporre un livello minimo fondi disponibili per coprire eventuali passivi.

“Questa strategia rappresenta di fatto un intervento nella politica monetaria dell’Unione europea. In che modo la BNS potrà vendere le sue riserve di euro senza influenzare le infrastrutture della stessa zona euro?”, si chiede il deputato dell’UDC Hans Kaufmann, che si dice preoccupato per le possibili ricadute delle operazioni valutarie compiute dall’istituto di emissione.

A detta dello specialista di questioni economiche del partito di destra, la BNS sta mettendo troppe uova in un solo paniere. Secondo i suoi calcoli, la banca centrale elvetica detiene ormai il 10% del debito pubblico tedesco. Questi fondi rischiano di perdere il loro valore, se le agenzie di rating dovessero abbassare la posizione della Germania nelle loro classifiche.

“Invece di attuare una politica restrittiva d’investimento nei titoli di Stato, stiamo sostenendo la creazione di un fondo separato con il mandato di adottare scelte strategiche in determinati settori, come le telecomunicazioni o le materie prime. Ciò non equivale ad intervento in materia di politica monetaria, ma ad un intervento nella politica d’investimenti”.

Pressioni da ogni parte

Socialisti e sindacati hanno cercato invece di far pressione sulla BNS, affinché aumenti la soglia minima di cambio ad 1,40 franchi per 1 euro. In tal modo si allieverebbero le conseguenze del franco forte per l’industria d’esportazione e quella turistica, salvaguardando i posti di lavoro.

Susanne Leutenegger-Oberholzer, deputata del Partito socialista, ha invitato questa estate la BNS ad imporre tassi di interesse negativi e controlli dei capitali per ridurre l’afflusso di investitori stranieri che cercano di piazzare i loro patrimoni in Svizzera.

Oltre alle pressioni politiche, la BNS è confrontata anche con quelle che provengono da altri importati gruppi d’interesse: associazioni di datori di lavoro, piccole e medie imprese (PMI), operatori turistici, fondi di pensione, banche e Cantoni hanno fatto sentire in vari modi la loro voce.

Swissmem, l’associazione mantello delle imprese del settore meccanico ed elettrotecnico, chiede a sua volta un deprezzamento del franco, attraverso un tasso di cambio più alto.

La BNS si è fatta dei nemici anche nel settore finanziario, esprimendosi in favore di regolamentazioni più severe per limitare le attività di investment banking e di un aumento dei fondi propri minimi che le banche devono detenere.

Non tutti i gruppi d’interesse guardano in modo negativo la politica monetaria seguita dalla BNS. La Federazione delle imprese svizzere (economiesuisse) – che rappresenta un ampio ventaglio di settori economici – ha sostenuto sia la politica generale e che la soglia minima di 1,20 franchi per 1 euro.

Alcuni Cantoni si sono lamentati per la riduzione delle eccedenze versate loro ogni anno dalla BNS, una misura adottata in seguito alle perdite subite dall’istituto di emissione sui mercati valutari. Secondo Andreas Huber-Schlatter, segretario della Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, la BNS sta tuttavia facendo un buon lavoro.

“L’obiettivo della banca centrale non è quello di produrre profitti, ma di garantire la stabilità dei prezzi. Abbiamo sempre sostenuto questo principio”, afferma Huber-Schlatter.

Nonostante queste parole, la BNS dovrà attendere ancora alcuni anni prima di tornare alla normalità. E nel frattempo sarà inevitabilmente sottoposta alle pressioni che giungono sia dall’estero che dall’interno del paese.

Fondata nel 1907, la Banca nazionale svizzera è incaricata, conformemente alla Costituzione, di condurre la politica monetaria nazionale, perseguendo l’interesse generale del paese.
 
La BNS ha come obbiettivi principali di garantire la stabilità dei prezzi, favorire un’evoluzione congiunturale positiva e il benessere della popolazione.
 
L’istituto di emissione funge tra l’altro da banca dalla Confederazione e regolamenta i flussi interbancari. Su mandato della Confederazione, ha inoltre il monopolio per l’emissione di banconote e la messa in circolazione di monete.
 
La BNS opera in modo indipendente dal governo, ciò significa che può fissare autonomamente i tassi di interesse, e stabilisce la sua politica monetaria in funzione di una previsione di inflazione a medio termine.
 
Gli utili della BNS sono ripartiti tra i cantoni (due terzi) e la Confederazione (un terzo).

Il 9 gennaio scorso il presidente della BNS Philipp Hildebrand ha rassegnato le sue dimissioni, in seguito alle speculazioni su delle operazioni valutarie eseguite da sua moglie, sospettata di aver approfittato di informazioni privilegiate sugli interventi della banca centrale.

In seguito a questo caso, gli organi di controllo della BNS hanno deciso in marzo di rafforzare le loro direttive interne in materia di operazioni finanziarie private da parte dei membri della direzione.

Il 18 aprile il governo ha nominato alla presidenza della BNS Thomas Jordan, già membro della direzione e presidente ad interim dell’istituto di emissione dalla partenza di Philipp Hildebrand.

La procura pubblica di Zurigo ha deciso di perseguire l’informatico della Banca Sarasin che aveva sottratto illegalmente i dati bancari di Philipp Hildebrand.

In giugno, una commissione parlamentare ha revocato l’immunità politica dello stratega dell’UDC Christoph Blocher, sospettato di aver trasmesso i dati bancari di Hildebrand alla stampa.

Traduzione Armando Mombelli

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