La Tunisia in marcia verso la democrazia
A un anno e mezzo dalla rivoluzione, la Tunisia è tuttora alle prese con una grande sfida: costruire una nuova nazione. Un processo di transizione democratica che la Svizzera ha accompagnato fin dal principio.
Subito dopo la caduta del regime di Ben Ali, il 14 gennaio 2011, il governo svizzero ha deciso di «impegnarsi a fondo per sostenere il processo di transizione», cosciente dell’«importanza storica» di questi eventi. È quanto afferma Pierre Combernous, che dal settembre 2010 – qualche mese prima dell’inizio delle manifestazioni – ricopre la carica di ambasciatore svizzero in Tunisia.
Nonostante l’eredità di Ben Ali non sia sempre facile da gestire e che nei vent’anni di dittatura il potere e la ricchezza siano stati concentrati nelle mani del presidente e della sua cricca, oggi ci sono molte ragioni per essere ottimisti.
«La rivoluzione tunisina è stata inusuale. Rispetto agli altri paesi arabi, noi ne siamo usciti piuttosto bene», spiega Moez Bouraoui, presidente di Atide, una delle tante ONG sostenute dalla Svizzera e che in ottobre è stata incaricata di sorvegliare lo svolgimento delle elezioni. «Si tratta di una delle rivoluzioni più pacifiche della storia dell’umanità».
La Tunisia non è stata costretta a ripartire da zero, sottolinea Haykel Ben Mahfoudh, consulente presso la DCaf Tunis, una fondazione che promuove il buon governo. «Questo paese ha una lunga tradizione istituzionale, con basi politiche e giuridiche».
Una nuova costituzione
Gli esperti tunisini e stranieri sembrano avere le idee in chiaro su ciò che va fatto e come. «Stiamo scoprendo la democrazia e la libertà nelle sue diverse sfaccettature, con tutti i rischi che questo comporta», commenta Haykel Ben Mahfoudh. «Penso però che se non ci prendiamo il tempo di spiegare il processo di transizione democratica, corriamo il rischio di alimentare le frustrazioni».
Nell’ottobre 2011, il popolo tunisino ha eletto l’assemblea costituente, un’istituzione transitoria incaricata di elaborare la nuova costituzione nazionale. Un’impresa per nulla evidente, perché per fondare una democrazia, come sottolineato da Haykel Ben Mahfoudh, c’è bisogno di tempo e in molti si lamentano che dalla caduta di Ben Ali poco o nulla è cambiato.
«Per la prima volta nella storia sono state organizzate delle elezioni libere, con un forte tasso di partecipazione. I tunisini stanno scoprendo la democrazia. È meraviglioso e allo stesso tempo complicato, dato che il processo implica molti calcoli politici», commenta l’ambasciatore Pierre Combernous.
«Non viviamo in un mondo perfetto dove basta scegliere un modello, metterlo sul tavolo e dire: “È fatta”. Siamo in un mondo reale, nel quale i politici – che finora non avevano mai potuto esprimere le loro idee – si confrontano per la prima volta. È normale che le persone si sentano frustrate, perché si aspettano dei risultati».
«La Tunisia è riuscita a fare cose incredibili da quando si è messa in marcia la rivoluzione», conferma Geoffrey Weichslbaum, direttore di Democracy Reporting International, un’ONG che lavora in Tunisia dal febbraio 2011, con l’appoggio elvetico.
Geoffrey Weichslbaum cita in particolare la rapida organizzazione delle elezioni e la costruzione di un consenso politico su alcuni temi cruciali, come la scelta dei testi di riferimento per la nuova costituzione. «Certo, non tutto è perfetto. Si può sempre far meglio. Ma io sono molto ottimista».
La persistente povertà e l’aumento dei prezzi influenzano però il modo in cui i tunisini percepiscono oggi la rivoluzione, scoppiata tra l’altro a causa di problemi economici. «Quando la vita quotidiana non migliora, l’impressione è che le cose non vadano nella buona direzione», sottolinea Geoffrey Weichslbaum.
Apprendere a dialogare
Stando al presidente dell’ONG Atide, Moez Bouraoui, la povertà avrebbe inoltre spinto delle persone a vendere il proprio voto. «Per la gente che vive in situazione di povertà estrema, non ha senso parlare di democrazia. Se qualcuno viene e ti offre 30 dinari (18 franchi) per un voto, non immagini nemmeno che sia antidemocratico».
Ma la democrazia non si limita a una scheda di voto, ricorda Moez Bouraoui. «La democrazia significa anche che quando due persone non sono d’accordo, possono discutere e accettare di essere in disaccordo. E continuano a considerare l’altro come un cittadino degno di rispetto. Il fatto di non condividere le stesse opinioni non deve diventare un motivo di esclusione».
La Tunisia, secondo il direttore di Atide, ha ancora un lungo cammino davanti a sé per raggiungere questa meta. L’ONG tenta di sensibilizzare i cittadini a queste tematiche, organizzando degli incontri pubblici con alcuni membri del parlamento. La popolazione ha così la possibilità di esprimere le proprie angustie, di porre domande e discutere in un territorio neutrale.
«Le discussioni sono spesso animate perché i tunisini non sono abituati ad affrontare un dibattito democratico. Gridano, si insultano, ma i deputati accettano comunque di giocare la partita. Penso che se ripeteremo l’esperienza diverse volte, le cose andranno nella giusta direzione».
Moez Bouraoui si rammarica però che il regime di Ben Ali abbia fatto perdere alla popolazione il sentimento di appartenenza al proprio paese. «Le persone pensano soltanto a loro stesse e non al loro paese. Il regime ha fatto fuggire dalla Tunisia tutta l’elite intellettuale, coloro che oggi potrebbero contribuire alla vita politica, a far avanzare il paese».
L’ambasciatore Pierre Combernous resta tuttavia ottimista: gli sforzi fatti dai tunisini per superare i problemi e elaborare un nuovo modello di democrazia fanno ben sperare. «La Tunisia ha così tante carte in mano che non può che vincere la partita».
La cooperazione svizzera in Tunisia si concentra su tre settori: il sostegno della transizione verso la democrazia e i diritti dell’uomo; lo sviluppo economico e la creazione di nuovi posti di lavoro; la gestione durevole della migrazione e la protezione dei gruppi di popolazione più esposti.
I progetti vengono coordinati da diversi uffici: la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), l’Ufficio federale delle migrazioni (UFM) e la Divisione sicurezza umana del ministero degli affari esteri.
La DSC si concentra sull’assistenza tecnica, mentre la SECO si focalizza su progetti commerciali ed economici.
Entrambi lavorano a livello regionale e nazionale, in stretta collaborazione con le autorità tunisine.
La Svizzera ha aperto due uffici nel sud del paese, a Medenina (vicino alla costa mediterranea) e a Kasserine (nei pressi della frontiera algerina).
I progetti gestiti a Medenina concernono la promozione dell’impiego e la riabilitazione delle scuole.
A Kasserine, la Svizzera aiuta a migliorare l’approvvigionamento in acqua nelle zone rurali e a costruire delle stazioni di epurazione negli spazi urbani.
L’Associazione tunisina per l’integrità e la democrazia delle elezioni è stata fondata nel marzo 2011 per promuovere i valori democratici, in particolare il diritto di voto.
Le attività dell’ONG spaziano in tre campi: sensibilizzare e informare sul diritto di voto, promuovere la sua diffusione e sorvegliare le elezioni.
Democracy Reporting International ha iniziato a lavorare in Tunisia nel febbraio 2011, formando la società civile a diventare “guardiana” del processo democratico.
Mette inoltre a disposizione le proprie competenze per lo sviluppo e il rafforzamento delle organizzazioni civili su diversi temi, come le questioni elettorali e costituzionali.
(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.