La via bilaterale sta diventando un rompicapo
Il sistema di accordi bilaterali, che regolano i rapporti tra la Svizzera e l'Unione europea (UE), sembra aver raggiunto i suoi limiti. Berna e Bruxelles sono però ben lungi dal trovare un’intesa su come uscire da questa impasse.
14 dicembre 2010: i ministri degli esteri degli Stati membri dell’UE hanno firmato la condanna a morte del “bilateralismo”, ossia la via degli accordi bilaterali, che costituisce da una decina d’anni la base dei rapporti con la Svizzera.
“Se l’attuale sistema di accordi bilaterali ha funzionato bene in passato, la sfida principale per i prossimi anni sarà di andare oltre questo sistema, che è diventato complesso, difficile da gestire e ha chiaramente raggiunto i suoi limiti”. Queste le conclusioni espresse quel giorno dal consiglio dei ministri degli esteri sulle relazioni tra l’UE e i paesi dell’Associazione europea di libero (AELS), di cui fa parte anche la Svizzera.
Per i Ventisette, le cose sono chiare. Se la Svizzera non intende aderire all’Unione europea o allo Spazio economico europeo, non può neppure continuare a pretendere dall’UE accordi bilaterali su misura, per lo più statici. Bisogna quindi riformulare il bilateralismo e istaurare meccanismi istituzionali per garantire “l’uniformità dei settori del mercato interno e delle politiche dell’UE, a cui la Svizzera partecipa”.
Principi fondamentali
Bruxelles chiede in particolare l’adeguamento dinamico da parte elvetica ad una legislazione europea in continuo mutamento, come pure un’interpretazione omogenea di questi accordi. L’UE vorrebbe inoltre un “meccanismo indipendente di sorveglianza e di esecuzione delle decisioni di giustizia” e “un meccanismo di risoluzione delle vertenze”.
Oggi tutte le istituzioni dell’UE rispettano questa dottrina alla lettera. La recente decisione della Svizzera di ripristinare dei contingenti per limitare la manodopera proveniente dai paesi dell’Europa centro-orientale, che hanno aderito nel 2004 all’UE, è stata ritenuta illegittima da Bruxelles e ha rafforzato la sua convinzione che un cambiamento è necessario.
“Dobbiamo riconoscere che abbiamo raggiunto un punto in cui diventa necessario rafforzare la nostra ambizione comune e raggiungere una nuova tappa”, ha recentemente dichiarato a swissinfo.ch il presidente della Commissione europea, José Manuel Durão Barroso.
“Questo rinnovamento della nostra cooperazione dovrebbe basarsi su quattro principi fondamentali”, definiti nel dicembre 2010 dai Ventisette. “Un accordo preliminare e senza ambiguità su queste questioni fondamentali ci permetterà di concludere le trattative in corso su dossier importanti e di aprire altri negoziati su temi d’interesse comune”.
Posizioni lontane
Per l’avvocato svizzero Jean Russotto, che segue da vicino l’evoluzione dei rapporti tra la Svizzera e l’UE a Bruxelles, “il messaggio è stato certamente sentito, ma non ascoltato”.
Di fronte alla “frustrazione” dei suoi partner europei, il ministro svizzero degli esteri, Didier Burkhalter, ha presentato il 25 aprile una serie di proposte, che sono attualmente oggetto di consultazioni all’interno del governo e che dovrebbero portare a proposte concrete nel mese di giugno.
Il problema è che la Svizzera e l’UE non si trovano sulla stessa lunghezza d’onda: mentre Berna formulerà delle proposte seguendo una logica – immutabile – di conservazione della sovranità nazionale (e di rifiuto dell’acquisizione automatica della legislazione europea), Bruxelles persegue una logica “europea”.
“Dal dialogo si sono ormai cristallizzati dei punti fondamentali di divergenza, a prima vista inconciliabili nella situazione attuale”, rileva Jean Russotto.
Quadro istituzionale
Mentre per l’UE il dossier istituzionale rimane assolutamente prioritario, secondo la Svizzera va invece inserito in un “approccio globale e coordinato” dei rapporti con i Ventisette. In altre parole, a detta di Berna, le questioni istituzionali devono far parte di un “pacchetto”, che includa anche gli accordi settoriali in fase di negoziazione (in particolare l’energia) o auspicati da uno dei due partner (sicurezza dei prodotti chimici, fiscalità, ecc.).
Altro punto di divergenza: mentre l’UE intende creare un “quadro istituzionale orizzontale”, applicabile a tutti gli accordi con la Svizzera – passati e futuri – che riguardano l’accesso al grande mercato interno europeo, la Confederazione vorrebbe limitarlo agli accordi futuri e pretende che venga dapprima creato un “modello” nel settore dell’energia.
Gli approcci si differenziano anche nei dettagli. Ad esempio, per gli accordi e la risoluzione delle controversie, l’UE ha chiesto l’istituzione di meccanismi di monitoraggio “indipendenti” dalle autorità elvetiche e “sovranazionali”.
Berna non vuole “giudici stranieri”
Per Bruxelles, la soluzione è relativamente semplice: basterebbe seguire il modello già applicato per lo Spazio economico europeo (SEE), che riunisce i Ventisette e tre paesi dell’AELS (Norvegia, Islanda e Liechtenstein ). I paesi dell’AELS hanno infatti istaurato in quest’ambito una loro autorità di sorveglianza per monitorare l’attuazione corretta dell’accordo SEE e una loro Corte di giustizia, entrambe sovranazionali.
Questo approccio “è realizzabile dal profilo giuridico, con una serie importante di adeguamenti. Dal profilo politico è invece molto delicato per la Svizzera”, osserva Jean Russotto.
Agli occhi di Berna, l’UE sta piazzando la barra troppo in alto. La Svizzera non ha ancora digerito il suo “no” popolare al SEE del dicembre 1992 e l’immagine attuale dell’Europa è piuttosto disastrosa. In breve, per le autorità elvetiche non è pensabile che dei “giudici stranieri” siano chiamati a decidere su questioni svizzere.
Il governo elvetico intende, in particolare, lasciare in mani svizzere – l’autorità garante della concorrenza e il Tribunale federale, eventualmente creando un organo speciale in seno a quest’ultimo – il compito di garantire la corretta attuazione degli accordi bilaterali.
Bruxelles ha già detto “no”
In caso di divergenze nell’interpretazione degli accordi e di controversie, Berna suggerisce di ispirarsi alle soluzioni previste nel quadro della partecipazione della Svizzera allo spazio di Schengen: discussioni a livello politico, attuazione di misure di “compensazione adeguate e proporzionate” e, se necessario, una procedura di arbitrato in caso di contenziosi.
L’ambasciatore dell’UE in Svizzera, Richard Jones, ha già indicato che queste richieste non possono essere accettate dai Ventisette. Secondo Bruxelles, infatti, le soluzioni proposte da Berna porrebbero la Svizzera in una posizione migliore rispetto agli altri partecipanti al mercato unico.
“Le scelte da campiere ora sono fondamentali”, sottolinea Jean Russotto. “A meno di una soluzione istituzionale ragionevole, i rapporti tra la Svizzera e l’UE resteranno in una fase di stagnazione e d’incertezza giuridica. Un’opzione da evitare per non danneggiare gli operatori economici svizzeri”.
Nel 1992, il popolo svizzero ha respinto la proposta di adesione allo Spazio economico europeo. In seguito a questa decisione, le autorità elvetiche hanno deciso di seguire la via degli accordi bilaterali con l’UE.
Nel 1999 la Svizzera e l’UE, formata allora da 15 paesi, hanno concluso un primo pacchetto di accordi bilaterali, destinati innanzitutto a garantire una reciproca apertura dei mercati.
Gli accordi bilaterali I, entrati in vigore nel 2002, concernono i seguenti settori: libera circolazione delle persone, appalti pubblici, agricoltura, ricerca, trasporti terrestri e trasporto aereo.
Nel 2004 Berna e Bruxelles hanno concordato un secondo pacchetto di accordi bilaterali, volti a rafforzare la cooperazione in altri settori.
Gli accordi bilaterali II, entrati in vigore tra il 2005 e il 2008, riguardano l’adesione della Svizzera ai trattati di Schengen e Dublino, la fiscalità del risparmio, i prodotti agricoli trasformati, i media, l’ambiente, la statistica, la lotta contro la frode, le pensioni, nonché l’educazione e la formazione professionale.
Dopo l’approvazione da parte del popolo svizzero del protocollo aggiuntivo sulla libera circolazione delle persone, gli accordi bilaterali sono stati estesi nel 2006 anche ai 10 paesi che hanno aderito all’Unione europea nel 2004.
Nel 2009 il popolo svizzero ha accettato il rinnovo dell’accordo sulla libera circolazione, giunto a scadenza il 31 maggio di quell’anno, e la sua estensione a Romania e Bulgaria, diventati membri dell’UE nel 2007.
Traduzione e adattamento di Armando Mombelli
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