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Lex USA bye bye, il governo cerchi altra via

La ministra Eveline Widmer-Schlumpf non è riuscita a portare in porto la Lex USA Keystone

La legge che avrebbe dovuto aiutare le banche svizzere ad uscire dai guai con il fisco americano senza infrangere il diritto elvetico è abortita. La Camera del popolo ha nuovamente rifiutato di entrare in materia, condannandola definitivamente. Al governo l’arduo compito di trovare un’alternativa.

La cosiddetta “Lex USA” elaborata dal governo federale avrebbe dovuto sospendere per un anno, a partire da luglio, delle disposizioni del diritto svizzero, per consentire alle banche che hanno aiutato clienti a frodare il fisco americano di trasmettere a Washington dati sui dipendenti ed eventuali persone esterne coinvolti in tali operazioni. Senza questa sospensione, le banche chiamate a rispondere dei loro atti negli Stati Uniti  violerebbero il diritto elvetico se fornissero i dati all’erario USA. D’altra parte, non trasmettendoli, sarebbero perseguite dalla giustizia americana.

La proposta governativa ha diviso le due Camere del parlamento: per due volte, quella dei cantoni l’ha sostenuta, mentre quella del popolo non le ha dato scampo. Vani sono stati gli avvertimenti della ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf, secondo la quale occorre assolutamente una base legale formale, poiché un’ordinanza emanata dall’esecutivo federale non sarebbe sufficiente per applicare completamente il programma di cooperazione proposto da Washington alle banche.

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La Lex USA silurata dalla Camera del popolo

Questo contenuto è stato pubblicato al Niente sorprese questa volta per la “Lex USA”. Dopo l’inattesa approvazione da parte dei senatori, non ha invece superato lo scoglio della Camera del popolo la legge proposta dal governo per aiutare una decina di banche svizzere a risolvere il loro contenzioso fiscale negli Stati uniti ed evitare che altri istituti bancari finiscano sotto inchiesta. I deputati hanno rimandato il testo al…

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Unilaterale e alla cieca

Una proposta unilaterale che Berna poteva solo accettare o rifiutare e un programma i cui contenuti non sono stati resi noti nemmeno ai parlamentari. Sono proprio questi aspetti che hanno indispettito molti senatori e soprattutto la maggioranza dei deputati, la quale ha rifiutato di avallare la legge, percepita come un diktat statunitense, per consentire l’applicazione di un piano di cui ignorano i dettagli.

Seppur contro voglia e dopo aver formulato aspre critiche, la maggioranza della Camera dei cantoni aveva accettato di ingoiare l’amaro boccone, giudicando concreti i rischi paventati da Eveline Widmer-Schlumpf di un effetto domino che, oltre alle 14 banche svizzere sulle quali sono pendenti delle inchieste, potrebbe impigliare nelle maglie della giustizia americana molti altri istituti elvetici. Un pericolo dalle conseguenze imprevedibili, che potrebbe persino minacciare l’esistenza stessa di alcune banche e avere un impatto negativo incalcolabile su tutta la piazza finanziaria ed economica svizzera, ha ammonito la ministra.

Un naufragio

Di parere diverso, invece, la maggioranza della Camera del popolo, secondo la quale il pericolo potrebbe venire proprio da un sì alla legge urgente. Ciò potrebbe indurre altri stati a formulare pretese analoghe, ha affermato martedì, a nome della commissione preparatoria della Camera del popolo, Ruedi Noser.

Ovviamente esiste il pericolo che, senza la legge urgente, numerose banche svizzere siano perseguite penalmente negli Stati Uniti. Ma il governo federale dispone di sufficienti competenze per poter agire da solo, ha aggiunto il deputato liberale radicale. E i tentativi di Eveline Widmer-Schlumpf di convincere del contrario la maggioranza della Camera del popolo sono falliti. Dopo il rifiuto di entrare in materia a schiacciante maggioranza di martedì, i deputati hanno ribadito la decisione mercoledì in modo altrettanto inappellabile: 123 no, contro 63 sì e 4 astensioni. Un verdetto che ha lasciato costernata la ministra di giustizia.

Segnale agli USA

Il governo si ritrova ora in mano una patata bollente. Entrambe le Camere hanno approvato a netta maggioranza una dichiarazione, giuridicamente non vincolante, che lo invita a fare tutto quanto in suo potere per permettere alle banche, sulla base del diritto attuale, di cooperare col Dipartimento di giustizia americano. Nel testo si esprime l’auspicio che si giunga a una soluzione nella vertenza fiscale tra le banche elvetiche e gli Stati Uniti.

Con questa dichiarazione il parlamento ha voluto trasmettere un messaggio rassicurante agli Stati Uniti: la Svizzera vuole una soluzione alla vertenza fiscale ed evitare una cascata di procedimenti contro le banche, ha spiegato il relatore della commissione preparatoria della Camera dei Cantoni Konrad Graber.

A suo avviso, infatti, le autorità americane si stanno innervosendo. Ai loro occhi, ha spiegato, l’offerta unilaterale alle banche elvetiche include vantaggi non indifferenti. Vi è il rischio che le autorità USA ritirino l’offerta. Ciò che importa agli americani, in fin dei conti, “è che il parlamento permetta agli istituti bancari di cooperare con loro”.

Speranze delle banche nel governo

Un intervento governativo per definire un apposito quadro giuridico è stato sollecitato mercoledì dall’Associazione svizzera dei banchieri (ASB), che in una nota ha espresso rammarico per la bocciatura della Lex USA da parte della Camera bassa del parlamento.

Senza la certezza del diritto, gli istituti non possono soddisfare le condizioni del programma americano, osserva l’organizzazione appellandosi all’esecutivo. E in tal caso le conseguenze per il settore finanziario e per l’intera economia elvetica vengono considerate incalcolabili. La Svizzera non può trattare con leggerezza il rischio di un’ulteriore accusa contro un istituto, ammonisce.

L’ASB promette peraltro che le banche si impegneranno per garantire che vengano salvaguardati il più possibile gli interessi dei loro dipendenti.

La controversia fiscale tra Berna e Washington sui cittadini americani che hanno nascosto averi in banche svizzere dura ormai da cinque anni. L’UBS, che per prima era stata presa di mira dalle autorità fiscali statunitensi, era riuscita a risolvere la vertenza nel 2010. Anche per gli altri istituti di credito elvetici si prospetta ora una soluzione globale. Ecco le principali tappe del conflitto.

19 giugno 2008: Bradley Birkenfeld, ex collaboratore dell’UBS, ammette davanti a un giudice di aver aiutato clienti a frodare il fisco quando era alle dipendenze della banca.

19 agosto 2009: Stati Uniti e Svizzera firmano l’accordo definitivo sulla vicenda UBS. Berna trasmetterà entro un anno i dati relativi a 4’450 conti UBS. Washington rinuncia a misure unilaterali per ottenere informazioni. Inoltre la banca paga una multa di 780 milioni di dollari.

16 novembre 2010: Dopo l’ultima trasmissione da parte della Svizzera di dati riguardanti i casi di assistenza amministrativa, l’autorità fiscale statunitense IRS ritira definitivamente l’azione civile contro l’UBS. Vuole comunque continuare ad indagare su altre banche svizzere.

Febbraio 2011: Gli USA hanno nel mirino il Credit Suisse (CS) e varie altre banche quali HSBC Suisse, le banche cantonali di Basilea e Zurigo, Julius Bär e la Banca Wegelin.

9 dicembre 2011: Il Dipartimento di giustizia americano chiede alle banche svizzere il nome dei consulenti della clientela. Il diritto elvetico vieta però la consegna diretta di documenti con nomi di dipendenti.

Gennaio 2012: Il governo elvetico decide che si possono fornire dati bancari criptati alla giustizia americana. La chiave per decifrarli dovrebbe venir consegnata solo nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa o giudiziaria, oppure dopo una soluzione globale della vertenza fiscale. Sotto pressione la Banca Wegelin, il più vecchio istituto di credito elvetico, vende le sue attività non americane al gruppo Raiffeisen.

11 aprile 2012: Il Tribunale amministrativo federale (TAF) ferma la consegna di dati bancari agli Stati Uniti. I giudici danno ragione ad un cliente del Credit Suisse che si opponeva all’assistenza amministrativa accordata dalla Svizzera al fisco americano.

4 dicembre 2012: Stati Uniti e Svizzera siglano un accordo sull’applicazione della legge fiscale americana denominata FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act) che dovrebbe entrare in vigore nel 2014. Gli Stati Uniti vogliono tassare i conti che le persone assoggettate a imposta negli Stati Uniti detengono all’estero.

3 gennaio 2013: La banca privata Wegelin, accusata dalle autorità americane di complicità in evasione fiscale, si dichiara colpevole e dovrà pagare una multa di 74 milioni di dollari.

29 maggio 2013: Il governo elvetico adotta un progetto di legge urgente per consentire a tutte le banche svizzere di mettere una pietra sul passato e di regolarizzare le loro relazioni con le autorità statunitensi. Il progetto di Lex USA è trasmesso alle Camere federali, chiamate ad esprimersi nella sessione parlamentare estiva.

5 giugno 2013: La Camera del popolo sospende l’esame del progetto. Prima di deliberare, esige che il governo fornisca maggiori informazioni al parlamento sul programma proposto da Washington per consentire alle banche di regolarizzare il loro passato.

12 giugno 2013: La Camera dei cantoni approva il disegno di legge, apportandovi qualche modifica.

18 giugno 2013: La Camera del popolo rifiuta di entrare in materia.

19 giugno 2013: Entrambe le Camere campano sulle proprie posizioni. Il secondo rifiuto della Camera del popolo affossa il progetto. 

(Fonte: Agenzia telegrafica svizzera, ats)

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