Ristorno a metà per i frontalieri italiani
Il governo ticinese ha deciso di congelare la metà del ristorno dei frontalieri italiani. Si tratta di un forte segnale per Berna e Roma a riprendere i trattati per un accordo di doppia imposizione. Si attendono le reazioni a questa misura che viola il diritto internazionale.
Nelle ultime settimane, la decisione era nell’aria. Giovedì sera è poi arrivata la conferma: il governo ticinese, dopo lunghi e accesi dibattiti, congelerà temporaneamente la metà delle imposte alla fonte versate dai lavoratori frontalieri in Ticino.
Per il 2010, si tratta di una somma complessiva di 56,8 milioni di franchi di imposte alla fonte. La metà, 28,5 milioni, sarà bloccata su un conto della banca cantonale ticinese vincolato. Tali fondi saranno liberati solamente dopo l’avvio di serie trattative tra l’Italia e la Svizzera in merito all’accordo di doppia imposizione.
Il governo centrale svizzero chiede inoltre un nuovo accordo sui frontalieri che contempli il principio della reciprocità. Infatti, la Svizzera non riceve indennizzi dall’Italia per i cittadini elvetici che sono attivi oltre frontiera.
Queste misure sono una reazione ai ripetuti attacchi mossi dal ministro delle finanze italiano Gilulio Tremonti nei confronti della Svizzera e al rifiuto dell’Italia di portare avanti i negoziati per un nuovo accordo.
Anche la cosiddetta blacklist, che ostacola le aziende svizzere interessate ad operare sul mercato italiano, è un problema che ha fatto discutere molto negli ultimi mesi, soprattutto in considerazione dei circa 50 000 frontalieri in senso inverso.
Decisione politica illegale
Marco Borradori, consigliere di stato ticinese, ha affermato che si tratta di una decisione politica. «È un segnale importante destinato alla Confederazione», ha aggiunto il leghista durante la conferenza stampa riferendosi alla ripresa dei negoziati con l’Italia.
Borradori, il suo collega di partito Norman Gobbi e Paolo Beltraminelli (Partito popolare democratico PPD) sono riusciti a fare pendere l’ago della bilancia verso il sì con una maggioranza di tre contro due.
La presidente del governo ticinese, Laura Sadis (Partito liberale radicale PLR), e Manuele Bertoli (Partito socialista PS) si sono invece espressi contro il congelamento dei fondi perché lo ritengono una violazione del diritto internazionale.
Durante l’incontro con i media, Sadis ha affermato che la decisione è illegale. «La legalità viene prima della collegialità», ha detto la presidente prima di motivare la sua posizione discordante. La decisione presa dalla maggioranza è molto problematica: «dobbiamo essere consapevoli del fatto che violiamo il diritto internazionale».
Effettivamente, bisognerà attendere le conseguenze della decisione del governo cantonale ticinese. In base all’accordo tra stati, la Svizzera è obbligata a pagare e i cantoni sono responsabili dell’esecuzione dei pagamenti. Una delle conseguenze potrebbe dunque essere che la Confederazione anticipi i fondi che il Ticino sta congelando.
Berna prende atto
Il Dipartimento federale delle finanze ha preso atto della decisione ticinese, afferma Mario Tuor, portavoce della Segretaria di stato per le questioni finanziarie internazionali. In linea di principio, il Consiglio federale ha comprensione per il malcontento del governo ticinese ed è anch’esso interessato alla ripresa di trattative serie. «La situazione attuale non soddisfa nemmeno il Consiglio federale», ha sottolineatoTuor.
Possibilmente, già nelle prossime settimane verrà avviato il dialogo, ha spiegato Tuor. Dall’ultima visita in Italia della presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey di inizio giugno in cui ha incontrato il premier Berlusconi, l’Italia si era dimostrata di nuovo aperta alle trattative. È già stato possibile concordare le date dei prossimi incontri.
«Tuttavia, non è chiaro se sarà possibile raggiungere qualcosa a livello di contenuto», ribadisce Tuor. Il Consiglio federale intende infatti trattare con Roma tutta una serie di questioni fiscali. Per non compromettere il nuovo avvio del dialogo, Calmy-Rey aveva esortato il Consiglio di stato ticinese a non congelare il ristorno.
«Ticino: repubblica delle banane»
In Ticino la decisione ha sollevato molte reazioni. Il PS ha parlato di «un’azione illegale senza prospettive chiare». Il quotidiano di sinistra liberale La Regione ha usato toni sarcastici definendo il Ticino una «repubblica delle banane».
Il PLR teme che la decisione non contribuirà a risolvere i problemi mentre saranno rese più complesse le relazioni con Berna. Dal canto suo, il PPD ha sostenuto la decisione del governo ticinese. Il capo della Lega, Giuliano Bignasca, si è espresso a favore del fatto che per una volta ci si opponga alla ‘Berna federale’.
In Italia, come prevedibile, la decisione non è stata accolta bene. Il sindaco del comune di frontiera Lavena Ponte Tresa Pietro Roncoroni ha parlato di un «ricatto politico», aggiungendo che questo è probabilmente il prezzo da pagare per la demagogia.
Il cosiddetto «Accordo tra l’Italia e la Svizzera relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine» è stato firmato nel 1979 ma è entrato in vigore retroattivamente nel 1974.
La quota del ristorno dell’imposta alla fonte era inizialmente del 40%, poi nel 1985 del 38,8%. La maggior parte delle imposte alla fonte verso l’Italia è versata dal Ticino (circa 90%), il restante 10% dai Grigioni e dal Vallese.
Nel caso dei frontalieri austriaci, solamente il 12,5% viene ritornato all’Austria. A tale riguardo, il Consiglio federale ha affermato che gli accordi non possono essere confrontati direttamente.
Nel caso italiano si tratta di ristorni validi solo per i frontalieri che vivono entro un raggio di 20 km dalla frontiera. Nel caso austriaco il ristorno vale per tutti i lavoratori.
Gli ultimi dati disponibili concernenti lo spostamento di frontalieri in uscita dal cantone Ticino risalgono al 2000, in occasione del censimento federale della popolazione.
I lavoratori che viaggiavano quotidianamente verso l’estero (quindi l’Italia) erano allora 429. A recarsi ogni mattina in Svizzera, partendo da sud, sono invece circa 50 000 persone (dati inizio 2011).
Nel 2002 è entrato in vigore l’accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone.
(traduzione e adattamento dal tedesco, Michela Montalbetti)
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