La notizia dell'uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul è stata accolta con grande indignazione anche in Svizzera. Ma che risposta possono dare le autorità federali? Molte voci chiedono un embargo della vendita di armi al paese arabo.
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Storico di formazione e grigionese di origine, mi interesso soprattutto di questioni politiche e sociali.
L’ammissione da parte del governo saudita delle responsabilità di membri dei suoi servizi segreti nell’uccisione del giornalista dissidente ha costretto i governi dei paesi occidentali a reagire. Anche le autorità svizzere sono confrontate con la necessità di dare risposte adeguate a una vicenda che ha profondamente indignato l’opinione pubblica.
Fra le possibili misure, la più discussa nella capitale federale è quella di un embargo sulla vendita di armi. Il presidente del Partito socialista Christian Levrat ha evocato questa possibilità già nel fine settimana. Dopo che lunedì la cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato l’immediata interruzione delle forniture di armi all’Arabia Saudita, l’idea ha ottenuto il sostegno anche di vari parlamentari svizzeri di centro-destra.
“Sarebbe il caso di bloccare eventuali richieste di autorizzazione per la fornitura d’armi finché tutto sarà chiarito”, ha dichiarato per esempio ai microfoni della radio pubblica svizzera SRF la consigliera nazionale liberale-radicale Corina Eichenberger, membro influente della Commissione per la politica di sicurezza.
Impatto limitato
Un simile embargo avrebbe tuttavia verosimilmente un impatto relativamente limitato su Riad. “L’Arabia Saudita è praticamente chiusa per l’esportazione di materiale bellico svizzero”, spiega il portavoce della Segreteria di Stato per l’economia (Seco) Fabian Maienfisch. La prassi stabilita nel 2009 dal Consiglio federale permette solo le esportazioni di pezzi di ricambio e munizioni per materiale bellico fornito in precedenza (essenzialmente sistemi di difesa antiaerea) e di alcune armi di piccolo calibro per uso privato.
L’anno scorso la Svizzera ha venduto all’Arabia Saudita materiale bellico per un valore di 4,8 milioni, pari a circa l’1% del totale di esportazioni elvetiche di armi. In passato però l’Arabia Saudita è stata un cliente di prim’ordine per l’industria svizzera degli armamenti, come si vede nel grafico sottostante: nel 2009 e nel 2010 il valore delle vendite ha superato i 130 milioni di franchi. Buona parte dell’importo era legato alla fornitura di cannoni antiaerei e dei relativi sistemi di puntamento, come conferma la Seco.
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In anni recenti, la fornitura di armi all’Arabia Saudita è stata spesso al centro del dibattito. Forti polemiche aveva suscitato per esempio la decisione del Consiglio federale nel 2016Collegamento esterno di autorizzare la vendita a Riad di pezzi di ricambio per sistemi di difesa antiaerea, nonostante l’intervento saudita nello Yemen.
In questo senso, un eventuale embargo sulla vendita di armi al regime saudita avrebbe una notevole portata simbolica, tanto più se supportato da parlamentari di centro-destra che ancora pochi mesi fa si erano espressi in seno alla Commissione parlamentare per la politica di sicurezza a favore di un allentamento delle norme sull’esportazione di materiale bellico.
Altre misure
Intanto la Svizzera sta valutando anche altre possibili risposte al caso Kashoggi. Lunedì pomeriggio il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha convocato per la terza volta l’ambasciatore saudita a Berna. Al rappresentante d’affari saudita il DFAE ha chiesto “un’inchiesta rapida e chiara” su quanto accaduto a Istanbul, come dichiarato dalla segretaria di Stato Pascale Baeriswyl ai microfoni della radio pubblica svizzera RSICollegamento esterno.
A Berna si discute anche di possibili sanzioni nei confronti di Riad. La Svizzera attende tuttavia i risultati dell’inchiesta e le mosse della comunità internazionale. Se il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovesse adottare sanzioni contro l’Arabia Saudita, la Svizzera è pronta a metterle in atto, ha fatto sapere il DFAE. Nel caso in cui fosse l’Unione Europea a decidere delle sanzioni, il Consiglio federale valuterebbe la possibilità di applicarle a sua volta, conformemente a quanto stabilito dalla legge federale sugli embarghiCollegamento esterno. La questione potrebbe essere discussa mercoledì nel corso della seduta del Consiglio federale.
Il quotidiano Tages Anzeiger ha inoltre rivelato che Berna potrebbe anche congelare i colloqui finanziari con l’Arabia Saudita che avrebbero dovuto prendere avvio l’anno prossimo. I colloqui dovrebbero servire tra l’altro a facilitare alle banche svizzere l’accesso al mercato saudita. Anche una visita del ministro delle finanze Ueli Maurer a Riad, prevista per l’anno prossimo, potrebbe essere cancellata.
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L’embargo in Medio Oriente ostacola le esportazioni svizzere
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L’industria elvetica degli armamenti teme di perdere contratti milionari a causa del divieto di vendere armi agli Stati del Medio Oriente. In Svizzera, le restrizioni all’esportazione di materiale bellico intendono impedire che le armi vengano usate per commettere violazioni dei diritti umani.
In seguito all’offensiva militare dell’Arabia Saudita contro i ribelli Houti nel vicino Yemen, il governo svizzero ha deciso nel mese di marzo di imporre restrizioni sulle esportazioni verso il lucrativo mercato mediorientale.
Già confrontata con il franco forte, l’azienda statale di armamenti Ruag comunica che dal marzo 2015 non ha ottenuto l’autorizzazione di esportare verso il Medio Oriente. «Le richieste di esportazione sono in sospeso per la maggior parte dei paesi toccati dalla moratoria», indica l’azienda in una e-mail spedita a swissinfo.ch. Il danno finanziario è stimato a «diverse decine di milioni di franchi», scrive Ruag.
Il pericolo, aggiunge l’azienda con sede a Berna, è di perdere terreno nei confronti di altri concorrenti a lungo termine. «Inoltre, la nostra base industriale in Svizzera rischia di indebolirsi. Se le restrizioni dovessero protrarsi, i siti di Ruag in Svizzera [che impiegano 4'300 persone] verranno colpiti in modo significativo».
La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha confermato che le severe restrizioni all’esportazione concernono anche il Kuwait, la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e l’Egitto, paesi coinvolti nel conflitto in Yemen.
Nel 2014, Bahrein e Emirati Arabi Uniti hanno effettuato ordinazioni per oltre 14 milioni di franchi ciascuno. Le ordinazioni dell’Arabia Saudita - un paese che negli ultimi anni è stato tra i grossi clienti di Ruag - sono state di poco inferiori ai 4 milioni.
Lettera di protesta
In giugno, diverse lobby sostenute da politici hanno inviato una lettera di protesta al governo, stando a un articolo della Neue Zürcher Zeitung (NZZ). Nella lettera si deplora che le restrizioni elvetiche hanno avvantaggiato gli esportatori di altri paesi, in particolare la Germania. Secondo la NZZ, anche l’attività del fabbricante di materiale bellico Rheinmetall Air Defence, con sede in Svizzera ma di proprietà tedesca, subisce le conseguenze del blocco delle esportazioni in Medio Oriente.
Le perdite dell’industria degli armamenti appaiono però sotto una luce diversa, se si pensa ai crimini di guerra perpetrati nel conflitto in Yemen, fa notare la sezione svizzera di Amnesty International (AI). «È risaputo che i caccia sauditi hanno bombardato obiettivi civili», sottolinea a swissinfo.ch Alain Bovard, esperto di commercio d’armi presso AI.
In Svizzera, prosegue, «la lobby delle armi è ben rappresentata e abbastanza potente per imporre delle modifiche nella legge che giovano agli interessi finanziari dei suoi membri». Alain Bovard fa riferimento alla controversa modifica legislativa dello scorso anno - adottata per un solo voto - che facilita le esportazioni di materiale bellico.
Con questa modifica, le esportazioni svizzere sono vietate soltanto nei paesi in cui sussiste un rischio importante che le armi vengano utilizzate per commettere violazioni dei diritti umani. Altrimenti, spetta al governo decidere caso per caso.
Indonesia, un cliente prezioso
Gli armamenti venduti all’estero rappresentano soltanto lo 0,26% di tutte le esportazioni elvetiche dello scorso anno. Tra i principali clienti ci sono la Germania e l’Indonesia, un mercato emerso nel 2014 e che sta ora colmando la lacuna lasciata dal Medio Oriente. Lo scorso anno, una cospicua ordinazione dell’Indonesia ha fatto salire il valore degli armamenti svizzeri venduti all’estero a 563,5 milioni di franchi (contro i 461 milioni del 2013).
Nei primi sei mesi del 2015 le vendite sono leggermente cresciute (217 milioni) grazie, ancora una volta, alle ordinazioni indonesiane. L’industria di materiale bellico è tuttavia lontana dalla cifra raggiunta nel 2011: 873 milioni di franchi.
Tangenti in India?
Malgrado una percentuale relativamente piccola se paragonata a quella di altri settori di esportazione, l’industria degli armamenti è considerata un ramo importante ed è il principale fornitore dell’esercito svizzero.
La natura stessa dei suoi prodotti pone però l’industria bellica sotto stretta osservazione, in Svizzera e all’estero. L’India ha ad esempio avviato un’inchiesta nei confronti di due aziende con sede in Svizzera accusate di aver versato delle tangenti per assicurarsi dei contratti.
Alcuni mesi fa, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha però respinto la richiesta indiana di assistenza giudiziaria nei confronti della Rheinmettal Air Defence e della SAN Swiss Arms (entrambe in mani tedesche). Le informazioni fornite dalle autorità indiane non soddisfacevano i requisiti della legislazione pertinente [sull’assistenza giudiziaria internazionale per questioni penali] e l’MPC non è quindi stato in misura di dar seguito alla domanda di assistenza giudiziaria, si legge un comunicato. Nessuna delle aziende coinvolte ha risposto alle domande di swissinfo.ch.
Armi riesportate illegalmente
Non è la prima volta che l’industria svizzera degli armamenti finisce nel mirino. La legislazione sull’esportazione di materiale bellico è stata inasprita nel 2012, dopo la scoperta che delle armi di fabbricazione elvetica erano state riesportate verso Stati terzi.
Alain Bovard di AI osserva ad ogni modo che la Svizzera ha fatto in generale passi avanti per ciò che riguarda il commercio di armi. «In un paio di occasioni le autorità elvetiche si sono mostrate alquanto ingenue, ma il comportamento della Svizzera è tutto sommato positivo».
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