Una politica estera senza coesione
Relazioni con l’UE, partecipazione all’ONU, neutralità: numerose le sfide che attendono dall’anno prossimo il nuovo responsabile del Dipartimento degli affari esteri. Un compito non facile, viste le divisioni che contrappongono i partiti di governo sugli obbiettivi della politica estera svizzera.
“L’interdipendenza tra gli Stati sta diventando sempre più forte. Molte decisioni vengono adottate in vertici internazionali, come il G20. Siamo inoltre sottoposti a rischi planetari, come il terrorismo, le migrazioni o i cambiamenti climatici. Tutto questo influenza sempre più la nostra politica: le frontiere tra politica interna ed estera si sgretolano sempre più”, ha avvertito la settimana scorsa la ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey, annunciando le sue dimissioni per la fine dell’anno.
Di fronte ai rapidi cambiamenti internazionali, i maggiori partiti non sono però ancora riusciti a trovare una coesione sui principali dossier che riguardano i rapporti con l’estero. In questi ultimi 20 anni il popolo svizzero è stato così chiamato più spesso a decidere su temi di politica estera, che non in tutto il secolo precedente. Solo sulle relazioni con l’UE sono state tenute dal 1992 ben 8 votazioni federali.
Neutralità attiva
Mancano inoltre un consenso e una visione chiara su come la Svizzera debba posizionarsi nel mondo dalla fine della Guerra fredda, ossia da quando lo statuto di neutralità ha perso d’importanza e non basta più a legittimare, da solo, il tradizionale ruolo di mediatore della diplomazia elvetica.
In questi ultimi anni Micheline Calmy-Rey ha cercato di rafforzare la presenza della Svizzera sulla scena internazionale attraverso una politica di “neutralità attiva”. Ha lanciato, ad esempio, numerose iniziative per permettere alla Confederazione di ritrovare un ruolo di mediatore in conflitti regionali e posizionarsi come attore riconosciuto nel campo dei diritti umani.
“Sono convinta che se vogliamo chiuderci su noi stessi e costruire dei muri attorno a noi, non serviamo gli interessi della Svizzera. Per preservare il benessere, la sicurezza e la sovranità nazionale dobbiamo invece coltivare maggiormente la nostra rete di relazioni e rafforzare il nostro influsso a livello internazionale”, ha spiegato la responsabile del Dipartimento degli affari esteri (DFAE).
Critiche da destra
Le iniziative lanciate da Micheline Calmy-Rey hanno però raccolto molto spesso dure critiche in Svizzera, soprattutto da parte della destra conservatrice, ostile a qualsiasi politica di neutralità attiva. “Neutralità significa trattenersi da ogni ingerenza, rimanere in silenzio e in disparte. Solo così si fanno gli interessi della Svizzera ed delle parti in conflitto, che cercano un mediatore per avviare un dialogo in tutta calma e discrezione”, afferma Ulrich Schlüer, deputato dell’Unione democratica di centro.
“Le apparizioni di Micheline Calmy-Rey sulla scena internazionale, le hanno permesso di profilarsi in modo spettacolare dinnanzi ai media e soddisfare il proprio orgoglio personale. Ma non sono servite a nulla, a cominciare dal suo passaggio attraverso la linea di demarcazione tra le due Coree. O hanno solo danneggiato la Svizzera, come la sua esibizione con il velo a Teheran, che ha suscitato irritazione da parte americana e israeliana”.
Ulrich Schlüer attende quindi un cambiamento di rotta dal futuro responsabile della diplomazia. “Abbiamo bisogno di un ministro degli esteri in grado di ripristinare i vecchi valori di una neutralità fondata sulla prudenza e la riservatezza”.
Dinamismo e competenze
La politica estera promossa dalla ministra socialista riceve invece ampi consensi dalla sinistra. “In un mondo sempre più globalizzato, la Svizzera deve muoversi con dinamismo e dimostrare una competenza specifica nei suoi punti di forza: il diritto umanitario, l’estensione del diritto internazionale pubblico e la mediazione. Intervenire in questi campi comporta a volte dei rischi, ma solo così possiamo esistere a livello diplomatico nel mondo”, ritiene Carlo Sommaruga, deputato del Partito socialista.
Una posizione condivisa da buona parte dai rappresentanti dei partiti di centro, nonostante diverse riserve sul lavoro svolto dalla responsabile del DFAE. “La neutralità non va di certo confusa con la passività: anche in futuro la Svizzera dovrà seguire una politica estera attiva per difendere i diritti umani e promuovere la pace”, dichiara Christa Markwalder, deputata del Partito liberale radicale.
“In tale ottica, Micheline Calmy-Rey ha sicuramente avuto il grande merito di rendere più visibile la politica estera svizzera. Molte sue iniziative non hanno però ottenuto il successo sperato e, soprattutto, non ha sempre mostrato l’atteggiamento migliore nei rapporti con l’Unione europea, in una fase molto difficile per i negoziati”.
Riconoscimento e progressi
Mentre continua a dividere i partiti, la politica di neutralità attiva raccoglie valutazioni piuttosto positive dalle organizzazioni che operano in favore dei diritti umani e della promozione della pace.
“L’impegno della diplomazia svizzera in numerosi processi di pace – come in Medio oriente, in Africa o nel Caucaso – non può sempre dare effetti a corto termine. Permette però di stabilire dei legami sia con dei partner regionali che con le grandi potenze e conferisce quindi alla Svizzera un certo riconoscimento, una propria importanza a medio e lungo termine”. ritiene Laurent Goetschel, direttore della fondazione svizzera per la pace Swisspeace.
Giudizi globalmente positivi giungono anche da Manon Schick, direttrice della sezione svizzera di Amnesty International. “La politica estera svizzera ha evidenziato vari progressi in questi ultimi anni, in particolare per migliorare gli strumenti di applicazione dei diritti umani nel quadro degli organismi dell’ONU. La Svizzera si è battuta tra l’altro per la creazione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, in cui oggi assume spesso un ruolo di leader, in difesa ad esempio dei diritti degli omosessuali o contro la pena di morte”.
Entrata in governo nel 2003, la socialista Micheline Calmy-Rey ha diretto da allora il Dipartimento degli affari esteri.
Lo scorso 7 settembre ha annunciato le sue dimissioni per la fine dell’anno.
Il suo successore sarà eletto dall’Assemblea federale il prossimo 14 dicembre, nel quadro della procedura di rielezione di tutti i membri del governo.
21 maggio 2000: il primo pacchetto di accordi bilaterali tra la Svizzera e l’UE viene approvato dal 67,2% dei votanti.
4 marzo 2001: gli svizzeri respingono con un 76,8% di voti l’iniziativa popolare “Sì all’Europa”.
3 marzo 2002: l’iniziativa popolare “Per l’adesione della Svizzera all’ONU viene accolta dal 54,6% degli aventi diritto al voto.
5 giugno 2005: il popolo accetta con il 54,6% di voti favorevoli la proposta di adesione della Svizzera agli accordi di Schengen e Dublino
25 settembre 2005: il 56,0% dei votanti dicono di sì
all’estensione dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone ai 10 nuovi membri dell’UE.
26 novembre 2006: un
contributo di 1 miliardo di franchi, destinato a favorire lo sviluppo e la democratizzazione degli Stati dell’Europa dell’Est, viene accettato dal 53,4% degli svizzeri.
8 febbraio 2009: il 59,6% dei cittadini si esprime in favore dell’estensione dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone a Bulgaria e Romania.
17 maggio 2009: l’introduzione del passaporto biometrico, conforme agli standard previsti dall’accordo di Schengen, è sostenuta dal 50,1% dei votanti.
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