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Birmania: niente compromessi sui diritti umani

La leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi è il simbolo della lotta prodemocratica birmana Keystone

L'8 agosto si inaugurano le Olimpiadi di Pechino e, lontano dai riflettori, si ricordano i 20 anni dell'insurrezione popolare in Birmania, repressa nel sangue dal regime militare. Intervista ad André Van der Schueren dell'Associazione Svizzera-Birmania.

L’8 agosto 1988 il mondo (ri)scopriva l’esistenza di un paese rimasto isolato per decenni. Lo faceva nel modo più terribile, captando le notizie frammentarie che parlavano di un massacro nelle strade di Rangoon (oggi Yangon). La giunta militare era intervenuta con forza per reprimere le dimostrazioni degli studenti e dei monaci, scesi in strada in nome della democrazia.

swissinfo: Dove si trovava l’8.8.88 e quali sono i suoi ricordi di quel giorno e degli avvenimenti che seguirono?

André Van der Schueren: Mi trovavo a Ginevra e se ricordo bene nei media svizzeri non c’era alcuna notizia. Mi sono informato soprattutto sui giornali francesi. Seguivo ciò che succedeva in Birmania dal 1987, epoca in cui stavo terminando un lavoro di gemmologia nelle miniere di rubini di Mogok, a nord di Mandalay.

Mi impressionò la conversazione avuta con una giovane donna birmana sui problemi sociopolitici sotto il regime del generale Ne Win. Solamente più tardi appresi che si trattava del futuro premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, figlia del generale Aung San, l’eroe dell’indipendenza birmana.

Quando ho saputo degli avvenimenti del 1988 e dell’azione di “Daw Suu” ho messo da parte i rubini per concentrarmi sugli aspetti politici del paese.

swissinfo: Durante la rivolta è emersa appunto la figura di Aung San Suu Kyi, nuova icona della lotta non violenta. Quali gli effetti della sua azione e del suo pensiero, considerando che ha passato buona parte degli ultimi anni agli arresti domiciliari?

A. V.d.S.: Si potrebbero dire molte cose su di lei, ma mi piace descriverla così: è il simbolo di tutte le speranze e le aspettative di un popolo oppresso da uno dei regimi militari più crudeli del pianeta.

Avrebbe potuto lasciare la patria e portare avanti la sua azione dall’esterno. Ha però deciso di rimanere a Rangoon e questo ha dato forza ai numerosi gruppi antigovernativi sparsi sul territorio. Qualcuno ha detto che Aung San Suu Kyi è troppo testarda, contraria al compromesso. Ma quando si ha a che fare con gente intrattabile come il generale Than Shwe, capo della giunta, non si può cedere. Inoltre, sui diritti umani non si discute: non si scende a compromessi.

swissinfo: Dimenticando per un momento i disagi provocati dal ciclone Nargis, quali sono i problemi maggiori ai quali è confrontato oggi il popolo birmano?

A. V.d.S.: La situazione sul piano economico è disastrosa e ovunque vi è un’assenza totale del rispetto dei diritti fondamentali, tra cui la libertà di espressione. La transizione democratica, annunciata a più riprese dai militari, continua a farsi attendere. Da 20 anni la popolazione delle campagne è costretta al lavoro forzato, bambini inclusi, mentre sulle donne si continua a perpetrare quell’orribile crimine che è lo stupro.

Seppur in modo decisamente meno brutale, sono stato anche io vittima dei soldati birmani. Mentre mi trovavo nel nord-est per indagare sui campi di produzione di oppio ed eroina, sono stato arrestato e incarcerato perché non avevo documenti con me. Dopo quattro giorni un ufficiale mi ha accompagnato alla frontiera thailandese, dove avevo dovuto lasciare il mio passaporto. Mi congedò con una frase che non scorderò mai: «Never again». Fortunatamente non hanno trovato i filmati che trasportavo.

swissinfo: La comunità internazionale sta facendo tutto il possibile per migliorare la situazione in Birmania?

A. V.d.S.: Seguo da vari anni il lavoro delle diverse commissioni e devo dire che sia il Consiglio di sicurezza dell’ONU che il Consiglio dei diritti umani costituiscono degli strumenti efficaci. Tuttavia, fino a quando Cina e Russia manterranno la loro posizione frenando ogni tentativo a favore di un maggiore rispetto dei diritti fondamentali, non ci saranno progressi sostanziali.

L’embargo americano o europeo nei confronti della Birmania? Purtroppo non serve a nulla. I militari se ne fregano, dal momento che possono rivolgersi alla Cina e ad altri paesi asiatici. In futuro sarà quindi fondamentale agire sulle autorità di Pechino, sulla Russia e sull’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale ASEAN e sperare che si mostrino più cooperativi.

swissinfo: Come valuta l’atteggiamento della Confederazione?

A. V.d.S.: La nostra associazione è da tempo in contatto con il Dipartimento federale degli affari esteri, al quale abbiamo periodicamente presentato i nostri resoconti sulla situazione in Birmania. Siamo tra le associazioni birmane più importanti del mondo: il nostro operato è riconosciuto dal governo birmano in esilio a Washington, con il quale abbiamo uno stretto legame; la nostra sede è per di più a Ginevra, centro di tutti i colloqui internazionali.

Il Consiglio federale ha manifestato un’attitudine esemplare per ciò che concerne le misure restrittive adottate nei confronti della giunta (congelamento degli averi bancari, proibizione di entrare in Svizzera, divieto di commercializzare armi,…). Abbiamo però notato che ci sono ancora diverse società e banche elvetiche che fanno affari con la Birmania per vie parallele. Sarebbe forse il caso di intervenire anche su questo fronte…

swissinfo: Su quali punti intende insistere l’Associazione Svizzera-Birmania in occasione dei 20 anni dalla rivolta?

A. V.d.S.: Data la concomitanza con l’apertura dei Giochi olimpici di Pechino organizziamo una manifestazione assieme ai militanti tibetani di fronte al Museo olimpico di Losanna.

Vogliamo ricordare che l’8.8.88 a Rangoon sono stati massacrati migliaia di civili che manifestavano pacificamente. Ci sono le prove che lo documentano. Purtroppo non ci sono invece cifre precise su quanto successo nel settembre 2007 con la rivolta dei monaci.

swissinfo, intervista di Luigi Jorio

Creata nel 1992 da un gruppo di persone interessate alla Birmania, l’associazione con sede a Ginevra si è fissata l’obiettivo di fornire aiuto e sostegno alla popolazione e di aiutare i movimenti democratici.

Nel 1993 ha riunito sei premi Nobel per la pace presso la sede ginevrina dell’ONU a sostegno della leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi e di tutti i prigionieri politici.

L’associazione condivide il concetto di boicottaggio turistico del paese formulato da Aung San Suu Kyi, la quale ha invitato gli stranieri a non visitare il paese attraverso gli operatori turistici che collaborano, anche solo indirettamente, con la giunta militare.

Come indicato nella sua pubblicazione “Birmania, la guida alternativa”, l’associazione elvetica incita al contrario la gente a viaggiare in Birmania in modo responsabile e cosciente, andando a visitare anche le zone meno turistiche e a discutere con la popolazione locale.

Ex colonia britannica, la Birmania (ufficialmente Unione del Myanmar dal 1989) ottiene l’indipendenza nel 1948. Un colpo di stato nel 1962 mette fine alla giovane democrazia.

La soppressione dei partiti politici e la repressione delle libertà isolano il paese dal resto del mondo.

Nell’agosto del 1988 la giunta militare soffoca con la forza una serie di proteste studentesche. I morti e i feriti si contano a migliaia.

In occasione delle elezioni libere del 1990, la Lega Nazionale per la Democrazia NLD (guidata dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi) ottiene oltre l’80% dei voti. La giunta si rifiuta di cedere il potere, arrestando Aung San Suu Kyi (tutt’ora agli arresti domiciliari) ed altri leader dell’NLD.

Nel maggio 2008 è stata approvata in referendum la nuova costituzione. Il testo è stato contestato dalla NDL in quanto esclude la partecipazione della leader del partito alle future elezioni.

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