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Contro le guerre una speranza dal turismo

Keystone

Uno studio della Fondazione svizzera per la pace – focalizzato su Croazia, Sri Lanka e Ruanda – ha messo in evidenza l'importante ruolo che il settore turistico può svolgere a favore delle regioni teatro di conflitti.

La guerra è sempre devastante: non soltanto per la popolazione coinvolta, ma anche per l’intero tessuto economico del paese, chiamato a riconvertirsi ed elaborare nuove strategie di sopravvivenza.

In quest’ottica, dopo la fine della Guerra fredda si sono moltiplicati gli studi dedicati al ruolo del settore privato nella promozione della pace. La Fondazione svizzera per la pace (swisspeace) ha voluto a sua volta fornire un contributo.

«Nel quadro della nostra analisi ci siamo occupati del comportamento degli attori turistici locali durante i momenti di crisi», spiega il direttore Laurent Goetschel.

In particolare, analizzando quanto accaduto in Ruanda, Sri Lanka e Croazia, i ricercatori hanno tentato di capire in quale modo il turismo opera per cercare di sopravvivere ai periodi più difficili, e come il settore può essere ricostruito una volta terminata la fase più critica.

I vantaggi della pace

In Sri Lanka, l’analisi di swisspeace ha evidenziato il contributo degli attori turistici in favore di una risoluzione pacifica del conflitto: «Alcuni operatori attivi nel turismo, in collaborazione con altri esponenti dell’economia, si sono impegnati per favorire dei negoziati di pace tra le parti», spiega il politologo.

Sotto l’egida dell’associazione «Sri Lanka First» sono infatti stati organizzati manifestazioni, dibattiti, iniziative destinate alle aziende: tutto per sensibilizzare la popolazione in merito al vantaggio – anche economico – di poter vivere e operare in un ambiente pacifico.

Questo caso di unione d’intenti «costituisce l’unico esempio di partecipazione attiva del settore turistico agli sforzi per risolvere una grave crisi, anche se i risultati sono stati purtroppo limitati», rileva Goetschel.

Generalmente, aggiunge, «gli attori economici non prendono apertamente posizione durante una guerra, per evitare di trovarsi in pericolo e per non essere svantaggiati una volta terminato il conflitto».

Gli affari come strumento

A differenza di quanto avvenuto nello Sri Lanka, gli autori dello studio scrivono che in Ruanda e Croazia «il settore turistico ha avuto un ruolo soprattutto nella ricostruzione durante il periodo seguente al conflitto». Infatti, «non vi è stata un’azione concertata degli operatori turistici per promuovere la pace». Per questo motivo, i ricercatori parlando di «sostegno non intenzionale».

I rappresentanti delle aziende turistiche di entrambi i paesi, interpellati dai ricercatori, hanno infatti affermato che «il solo fatto di esercitare un’attività commerciale costituisce già un contributo alla costruzione della pace».

Per esempio, «in Croazia diversi operatori turistici sono riusciti a sopravvivere durante i momenti più duri rilevando altre ditte quali un autonoleggio e delle officine di riparazione. Ciò ha permesso loro di continuare a esistere, assicurando nel contempo il mantenimento di quelle infrastrutture minime che consentono poi al turismo di rinascere», riassume Goetschel.

Inoltre, sottolineano gli autori, nell’area dell’ex Iugoslavia la richiesta turistica ha obbligato gli operatori turistici serbi, croati e montenegrini a cooperare, «poiché parecchi visitatori desiderano un itinerario che comprende parecchi Stati».

In Ruanda, dopo la fine delle ostilità, alcune aziende turistiche hanno utilizzato parte dei loro proventi per sovvenzionare la costruzione di scuole e di alloggi destinate alle fasce più sfavorire della popolazione e agli orfani.

Codice di comportamento

Le conclusioni dello studio, rileva Laurent Goetschel, evocano la possibilità di elaborare una sorta di codice di comportamento per gli attori del settore turistico. Non si tratterebbe tuttavia di criteri giuridicamente vincolanti, ma di elementi che li aiutino a muoversi efficacemente nei periodi di guerra.

In particolare: sensibilizzare le aziende in merito ai pericoli, ma soprattutto evidenziare in quale modo il loro comportamento può costituire uno contributo importante alla risoluzione pacifica della crisi.

Per esempio, se si decide di investire in una regione a grande potenziale turistico – ma devastata da un lungo conflitto etnico – è fondamentale che le aziende turistiche non effettuino discriminazioni nell’assunzione del personale, privilegiando un’etnia a scapito dell’altra.

Turismo e turisti

La posta in gioco è elevata, «proprio perché parecchie aree di grande interesse turistico sono contemporaneamente luoghi caratterizzati da situazioni assai tese: basti pensare a certe regioni dei Balcani e del Caucaso, al Medio Oriente, alla Penisola del Sinai, all’Etiopia, al Kenia, al Ruanda e al Burundi», rileva il direttore di swisspeace.

Osservando le precauzioni auspicate, da un lato si garantisce la durata e l’affidabilità delle collaborazioni istituite con i partner locali, dall’altro si contribuisce ad avvicinare i gruppi della popolazione precedentemente divisi dal conflitto.

Da ultimo, osserva Goetschel, «per certi turisti il fatto di trascorrere le vacanze – e quindi di spendere denaro – in regioni duramente toccate, cercando di prestare attenzione alle specificità locali, costituisce uno stimolo. E anche questo è un aspetto positivo».

Andrea Clementi, swissinfo.ch

Nel 1965, in piena guerra fredda, il consigliere nazionale socialista Max Arnold lanciò un appello in parlamento, affinché la Confederazione adottasse una politica di pace attiva e non fondata unicamente sulla neutralità armata.

A causa delle numerose resistenze, la Fondazione svizzera per la pace (swisspeace) fu fondata a Berna soltanto nel 1988 da un gruppo eterogeneo di promotori.

Nel 2001, unitamente a una quarantina di organizzazioni non governative, swisspeace ha creato il Centro per la promozione della pace, una piattaforma di consulenza e dialogo per gli attori del settore finanziata dal Dipartimento federale degli affari esteri.

L’obiettivo dello studio di swisspeace – effettuato in collaborazione con la Cologne Business School – era quello di individuare e analizzare i fattori che spingono le aziende, segnatamente quelle attive in ambito turistico, ad impegnarsi per promuovere la pace o a rinunciarvi.

La ricerca si è basata su studi di casi pratici grazie a interviste e fonti scritte. I paesi presi in considerazione sono stati la Croazia, il Ruanda e lo Sri Lanka.

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